Maggioritario, sistema di minoranza



Mario Morcellini    8 Dicembre 2024       0

La vicenda elettorale italiana è stata prevalentemente ispirata al proporzionalismo, e dunque a una rappresentanza politica che riduceva al minimo tecnicismi o alterazioni nell’espressione della volontà degli elettori. Il voto godeva di un valore percepito che oggi è decisamente più appannato. L’astensione era un fenomeno contenuto e le percentuali di partecipazione rimanevano alte, spesso superiori anche ad altre democrazie. Poi si è scatenata la campagna mediatica e politica volta a canonizzare il primato della governabilità fondato su argomenti che ormai si confondono con gli slogan.

Pochi si sono interrogati sul rischio di un aumento progressivo dell’astensionismo, in parte obiettivamente correlato al nuovo sistema. È venuto allora il momento di fare un bilancio di quella febbre mediatico-politica, mettendo in campo un’analisi d’impatto, qui abbreviata per restare nei termini di una rubrica. Il bilancio dei miglioramenti nella governabilità dice effettivamente che si sono ridotti i tempi di formazione dei governi; ma non è andata sempre così, dunque non si può parlare di una rivoluzione automaticamente positiva. A limitare gli entusiasmi si pongono alcune obiezioni: una crescente e inquietante disaffezione al voto, verificatasi anche quando c’è stato un vero e proprio cambio di orientamento politico, che avrebbe potuto comportare una rimobilitazione di aree già astensioniste. A ciò si aggiunge la stagione dell’antipolitica, un costrutto che peraltro dobbiamo in parte all’acume del sistema informativo che lo ha cavalcato e amplificato. Ciò ha comportato la diffusione di un populismo linguistico, culturale ma anche politico: davvero un bel bilancio per chiunque si sottoponga alla forza dei dati e punti a un’analisi comparativa. In questo caso il confronto è infatti ceteris paribus e dunque non mente.

Sempre a proposito di impatto, un’evidenza salta agli occhi: la vittima designata di questa offensiva politico-mediale è stato il centro. Per definizione, infatti, il maggioritario polarizza pochissime forze, tendenzialmente due, spingendo sulla leva legittima dell’identità; alimenta una sistematica denigrazione dell’altro e un incattivimento della comunicazione politica senza precedenti. Un secondo bel guadagno da annotare con la matita rossa. Ma non è finita. La rottamazione del centro ha indebolito l’opzione più moderata degli elettori e soprattutto il voto di ispirazione cattolica. Per valutare appieno questo fenomeno, si rifletta su quanto a lungo la geniale integrazione degasperiana di un’aggregazione tra tali aree sociali sia stata l’architrave del sistema politico.

La nuova stagione è stata puntualmente improntata a una postura divisiva anche nelle aggregazioni più compatte e, comunque, il clima di antagonismo è cresciuto rispetto al passato. Le criticità di questa involuzione sono confermate dalla non lunga durata di molte fasi politiche che sembravano eterne, e hanno dato luogo a un dibattito superficiale, fatto di titoli echeggianti la Seconda o Terza repubblica ma senza una reale comparazione costi/benefici.

Ecco alcuni dati di fatto per una verifica meno impressionistica: il bipolarismo non ha una seria capacità di attrazione sugli astensionisti, ma anche sui giovani che infatti votano “in modo proporzionale”. La percezione diffusa è che il non voto rappresenti un vantaggio per l’autarchia della politica. Per di più ha favorito come mai cambi di casacca e travestimenti opportunistici, e penalizza comunque tutto ciò che è nuovo, dal civismo alle esperienze territoriali non riconducibili ai due blocchi, senza contare che assistiamo a uno slittamento della centralità del Parlamento come fonte legislativa, verso un ruolo spesso solo esecutivo.

Tutti questi temi sono sociologicamente scottanti, non tanto per osservare la realtà di oggi quanto per pensare il futuro della democrazia italiana, se vogliamo un Parlamento più rappresentativo. In questo contesto richiamiamo ancora la questione cattolica, che presunte élite dirigenti hanno euforicamente chiuso distribuendola su diversi fronti, convinti così di perseguire la modernizzazione e il progresso politico del Paese. Alzi la mano chi crede che ciò sia avvenuto, a partire dalla scarsa lucidità e lungimiranza dei politici di sinistra, apparentemente convinti che gli espedienti elettorali possano mascherare e coprire la crisi di attrazione dei partiti. In generale, colpisce la leggerezza con cui i partiti elaborano il problem solving della dissociazione dalla politica di una vasta area di elettori. E non manca neppure una lezione per un centro rianimato dai cattolici: chi lo rivaluta ricordi quanto nel Novecento essi fossero più influenti di oggi. Ma il divide et impera del maggioritario li ha resi graditi e compatibili solo se si accucciano sui poli esistenti.

Ma resta un dubbio semantico pro futuro: si può chiamare maggioritario un sistema che, già dalle elezioni europee, si è rivelato minoritario?

(Tratto da www.formiche.net)


Il primo dei commenti

Lascia un commento

La Tua email non sarà pubblicata.


*