Il dovere di un impegno organizzato



Giancarlo Infante    25 Aprile 2019       0

L’intervento di Pierluigi Castagnetti su “Il Domani d’Italia” (e su "Rinascita popolare", in risposta alla lettera di Alessandro Risso) ha attirato la mia attenzione particolarmente nel punto in cui sostiene: “Semplicemente non credo, nella situazione storica che viviamo, all’opportunità di dar vita a una forza politica a ispirazione religiosa: il Concilio Vaticano II, l’ottantanove del crollo del Muro, la fine delle ideologie, la globalizzazione che ha cambiato le condizioni delle nostre democrazie, la rivoluzione digitale che ha rotto gli equilibri nella distribuzione della conoscenza e – dunque – della rappresentanza, impongono anche ai credenti di andare oltre, molto oltre, le nostalgie di un passato, glorioso ma irripetibile. Sono convinto che se Sturzo e De Gasperi fossero ancora tra noi ci spronerebbero a inventare scenari e soggetti inediti”.

Ora, mi permetto d’interloquire con lui, visto che a questo tipo di discussione dice di essere interessato.

Rifletto, intanto, sul fatto che la traduzione nella cosa pubblica dell’ispirazione cristiana tiene conto dei tempi storici vissuti concretamente. Senza per questo vederne sminuita la sostanza e la potenza vivificatrice. Il tumultuoso sviluppo del cammino umano, richiamato sommariamente da Castagnetti, richiede semmai un tasso di generosità in più, anche in relazione a un impegno in cui coinvolgersi con lealtà e chiarezza, proprio per i riferimenti cui ci colleghiamo e per quello che siamo.

Noto che egli collega la contrarietà a dare vita ad un soggetto politico “d’ispirazione religiosa” anche al superamento del periodo in cui la contrapposizione si è giocata in gran parte nella dimensione ideologica.

Molto ci sarebbe da dire sul punto. Per ora, mi limito a sottolineare come, in realtà, oggi sia trionfante una sola ideologia: quella variante degenerata del liberalismo che mette in cima a tutto denaro e potere, slegati da ogni responsabilità sociale.

In ogni caso, Castagnetti sa bene che tutte le forze politiche d’ispirazione popolare o democratico cristiane, compresa quella DC in cui abbiamo insieme militato, non sono mai state, né in Italia, né in Europa e neppure in America Latina, caratterizzate da un connotato ideologico.

A differenza di quanto riguarda la DC tedesca, il Partito popolare spagnolo, e tante altre organizzazioni popolari o dc ancora vive e vegete, quella esperienza italiana giunse a conclusione non certo perché ne era stata superata “l’ideologia”. Bensì, per l’accumularsi di “cattive pratiche” e l’adagiarsi su un’ottica meramente gestionale e di potere, per la distanza progressiva maturata con i propri blocchi sociali ed elettorali di riferimento, per quelle tensioni interne accumulatesi nel tempo, incancrenite ed accentuate pure dal fuggi fuggi generale creatosi in occasione di una “mani pulite” non prevenuta in tempo da un autentico “rinnovamento”, agli inizi sottovalutata e peggio affrontata nel corso del suo sviluppo da un gruppo dirigente debole e indeciso.

Tutta la storia del movimento popolare e democratico cristiano è, dunque, segnata da un’impronta fortemente programmatica.

In questo, anche in questo, emerge la grandiosità di pensiero e di capacità politica di don Luigi Sturzo. Egli, già nel 1902, avvertì da subito la necessità di sostanziare su di una base concreta l’autonomia di pensiero e di elaborazione politica. In primo luogo, da assumere nei confronti della Chiesa e della sua gerarchia, le quali non potevano essere trascinate in battaglie, pur necessarie, ma potenzialmente destinate a intaccare l’universalità del loro magistero e delle loro sollecitazioni pastorali.

Oggi, la questione di una presenza pubblica di cittadini ispirati cristianamente si pone nuovamente. Ovviamente, sotto altri profili rispetto a quelli dei tempi di Sturzo. Ancora una volta, però, si pone sul piano delle “cose” attese dalla gente.

Esiste una questione che riguarda l’identità, che non deve essere sottovalutata. L’averlo fatto, invece, ha significato, inopinatamente, far apparire la destra, oggi più segnatamente la Lega, una sponda d’approdo valida e persino coerente.

È chiaro che la questione dell’identità, se non bene interpretata e se ad essa non viene offerto uno sbocco politico ragionevole e generosamente vissuto, per prima cosa nei confronti degli “ultimi”, se non supera la mera auto rappresentazione e delimitazione o “difesa” dei propri recinti, può sempre lasciare che emergano posizioni integraliste e confuse.

Nel rispondere a ciò, e riflettendo sui tanti di noi che si stanno “rifugiando” nell’astensionismo elettorale, si deve guardare alle condizioni oggettive di questo Paese e, quindi, definire le modalità della ripresa di un impegno.

Il partire dalle “cose”, il coinvolgersi in forma organizzata nella ricerca pragmatica di possibili soluzioni da offrire a tutto il Paese, senza distinzione alcuna, potrebbero creare occasioni di convergenza e di collaborazione con ben più ampi ambiti sociali e politici, aprendo e facendoci andare oltre il nostro steccato. È sotto questo profilo che il concetto di “coalizione” tanto caro a De Gasperi può sostanziarsi e prefigurare nuovi sviluppi del quadro che ci troviamo dinanzi.

Non si tratta di provare a ripetere antiche esperienze. Non si possono ridurre proposte di rinnovato, libero e autonomo impegno alla riapertura di capitoli di storia già completamente letti ed esauriti.

Bensì, di prendere atto, invece, che nessuna vecchia o nuova forza politica è stata ed è grado di porre mano all’urgenza di introdurre più solidarietà, assicurare maggiore giustizia sociale, garantire il rispetto della dignità umana, il diritto al lavoro, rigenerare Stato e istituzioni, rendere effettivo il rispetto del cittadino, anche nelle sue dimensioni di soggetto fiscale e di consumatore, garantire la difesa della vita, della famiglia, dei gruppi sociali intermedi, delle autonomie amministrative.

Per questo, solo per questo, è necessario che quanti sono ispirati cristianamente escano dalla loro indifferenza e irrilevanza, con abnegazione e chiarezza. Non certo per fare un partito autoreferenziale sollecitato solo dalle loro esigenze, ma per contribuire, assieme a tanti altri cittadini, credenti e non credenti, a partecipare ad una politica più ragionevole, costruttiva, moderna e senza divisioni preconcette.

Dobbiamo intervenire non per sottolineare la nostra identità in sé, ma per quel tantissimo che la nostra identità presuppone e richiede in relazione alla difesa del diritto naturale, della Persona, della famiglia, della dignità del lavoro, dell’adeguatezza dell’educazione e della formazione delle nuove generazione, nell’impegno per la Pace e per il disarmo.

Altrimenti, tutte le discussioni fiorite, paradossalmente in concomitanza di un centenario sturziano mal compreso e poco adeguatamente interpretato, su “partito sì, partito no” assomigliano davvero all’arzigogolato ragionamento di don Ferrante sulla peste, di manzoniana memoria.

Oggi, nel contesto in cui ci troviamo, una iniziativa politica libera e autonoma appare la vera risposta da dare all’invito ad “andare oltre, molto oltre” la nostalgia di cui parla Castagnetti.

Non dobbiamo dimenticare che il recente passato degli ultimi 25 anni ha dimostrato che la risposta all’indifferenza e all’irrilevanza non è certo venuta efficacemente, e con risultati tangibili, dagli amici politici d’ispirazione cristiana che hanno pensato di militare a destra come a sinistra, rinchiusi in recinti altrui e andando molto poco “oltre”.

I bilanci sono sotto gli occhi di tutti. Fallimenti a destra, fallimenti a sinistra sulle questioni economico finanziarie, in materia di lavoro e occupazione, sull’impresa e le categorie sociali, sulla difesa della vita, della famiglia, per ciò che riguarda l’innovazione scientifica e tecnologica, la scuola e l’educazione. Non abbiamo visto davvero tanta capacità e possibilità di incidere realmente, mentre si è stati pienamente partecipi di quel bipolarismo che ha impoverito il Paese, non l’ha rafforzato e arricchito.

Oggi dobbiamo fare la nostra parte nel riproporre la forza di quelle idealità e pensiero politico che risollevarono l’Italia. Lo devono fare i veri liberali, coloro che si ispirano al pensiero socialista. Lo devono fare anche i cattolici democratici.

Il dibattito è aperto, e non ci sottraiamo certamente a un confronto che possa essere costruttivo e convergente con coloro che, oggi, condividono una ispirazione ma prospettano conclusioni diverse, o non ne presentano affatto.


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