Politica e democrazia pensionate dagli algoritmi



Giuseppe Ladetto    23 Aprile 2019       0

Nell'intero Occidente è in corso un dibattito sul futuro della democrazia. Per la più parte degli opinionisti, con tale termine si intende la liberaldemocrazia, considerata l'unica incarnazione storica dell'ideale democratico. Di conseguenza, ogni altra possibile interpretazione di tale ideale viene respinta ed equiparata a modelli totalitari o autoritari.

Di qui, le forti preoccupazioni per l'emergere, fra la gente, di sentimenti di delusione nei confronti degli approdi a cui hanno condotto le politiche liberaldemocratiche (liberiste in economia e libertarie in ambito civile, sempre all'insegna di un individualismo estremo) e altrettanto per l'attenzione rivolta ad esperienze ritenute più capaci di assumere decisioni nei confronti delle molte situazioni critiche.

Ho già avuto modo di soffermarmi su tale argomento. Ora, voglio invece mettere in evidenza i seri pericoli che corre la democrazia, comunque aggettivata, partendo da un altro angolo visuale, rivolto ai percorsi sui quali lo sviluppo tecnologico si sta incamminando.

Per il sottoscritto, e credo per molte persone, la democrazia deve garantire ai cittadini la partecipazione alla definizione delle scelte che determinano le loro condizioni di vita e consentono di raggiungere gli obiettivi, anche ideali, a cui aspirano. La democrazia è libertà, e libertà è partecipazione, diceva Giorgio Gaber in una nota canzone che esprimeva il sentire di una intera generazione.

Molti liberaldemocratici ritengono invece che la democrazia sia esclusivamente fondata su periodiche elezioni, libero mercato, diritti individuali, rispetto delle procedure e del ruolo della magistratura. Quanto alla partecipazione, basterebbe il mercato che dà al consumatore la libertà di scelta dei prodotti e dei servizi consentendogli di orientare l'offerta e quindi la direzione di marcia della società. Dubito che Gaber e molti con lui sarebbero soddisfatti di una partecipazione che ci riguarderebbe nella sola dimensione di consumatori, anche perché la vita non si risolve soltanto nei consumi.

Da tempo, la democrazia è disattesa in ragione del crescente spazio assunto in ambito decisionale da istituzioni e poteri ad essa estranei, che stanno ed operano al di fuori degli ambiti nazionali in cui si svolge l'attività politica. Si tratta dei molti organismi sovranazionali di varia natura i cui poteri non sono delegati dai cittadini; ad essi, si aggiungono le multinazionali, la finanza internazionale, i giganti della comunicazione e i gestori delle reti informatiche. Prendendo atto di ciò, Sergio Mattarella, nel lontano 1989, quando il fenomeno cominciava a delinearsi, ebbe a dire (in un'intervista a Gianpaolo Pansa) che: “In tutto l’Occidente è in corso un processo che spinge i veri centri di decisione a trasferirsi fuori dalla politica. Esiste davvero il pericolo che i partiti diventino una sovrastruttura che galleggia su altri centri di potere, né palesi, né responsabili”.

Oggi, si sta profilando un nuovo e più rilevante pericolo. Supercomputer, robot e algoritmi, nel loro insieme, vengono a costituire un complesso marchingegno che toglie sempre più spazio al ruolo lavorativo e decisionale degli esseri umani.

I robot sostituiscono sempre di più gli operai nei lavori manuali, fino a ieri di tipo ripetitivo (alle catene di montaggio) e ora anche di tipo complesso. Algoritmi sono in grado di guidare macchine e computer nello svolgimento di attività professionali in vari ambiti: medico, chirurgico, legale, giudiziario, organizzativo, finanziario ecc.

Yuval Noah Harari in “Homo Deus” (Breve storia del futuro) ci presenta molti esempi di quanto in materia sta già accadendo. Mi ha colpito un caso che illustra. Una squadra di baseball americana di modestissimo livello per le scarse risorse finanziarie ha affidato a un matematico la messa a punto di un algoritmo complesso capace di individuare sul mercato giocatori poco noti di squadre minori sulla base di una serie di dati tecnici e di farne un gruppo funzionale al gioco. Ne è venuta fuori, con una spesa modesta, una squadra in grado di competere ai vertici del campionato. L'algoritmo si è dimostrato più capace degli strapagati selezionatori e allenatori delle grandi squadre. Queste ultime oggi sono a caccia di esperti informatici per dotarsi anch'esse di algoritmi, possibilmente migliori di quelli della concorrenza. Aggiunge Harari che, se gli algoritmi sono ormai in grado di battere chiunque a scacchi, lo possono fare in ogni ambito.

Quali professioni possono sfuggire a un tale destino?

Dicono gli esperti che quanto più un'attività professionale è specialistica e sofisticata tanto più è idonea ad essere svolta da un algoritmo. Invece un robot governato da un algoritmo avrebbe difficoltà a compiere le svariate e non programmabili attività messe quotidianamente in atto da un cacciatore-raccoglitore, quale i nostri antenati preistorici oppure gli indios dell'Amazzonia, o i papuasici della Nuova Guinea, certamente non il tipo di occupazione oggi più promettente. Invece, scrive ancora Harari, nelle attività di gestione delle imprese, gli algoritmi competono con successo con i manager in carne ed ossa, e aggiunge che già in alcuni consigli di amministrazione algoritmi hanno parte attiva nelle deliberazioni.

Tuttavia, per minimizzare la portata di tali fatti e per tranquillizzarci, sentiamo ripetere, da chi vuol vedere solo gli aspetti positivi delle innovazioni, che, dietro a robot, supercomputer e algoritmi, ci sono e ci saranno sempre esseri umani che ne esercitano il controllo. Inoltre, queste  “macchine” sono opera dell'uomo che potrà sempre modificarle o accantonarle, se del caso. Ne siamo sicuri?

Abbiamo visto incidenti aerei probabilmente causati dal malfunzionamento del software che, a seguito di un evento non previsto, non ha consentito ai piloti di riprendere tempestivamente il controllo dell'aeroplano. Episodi che ci ricordano Odissea nello spazio e il supercomputer HAL2000 che, a fronte della prospettiva di essere disattivato avendo commesso un errore, cerca di eliminare l'intero equipaggio dell'astronave. Non c'è tuttavia bisogno di far riferimento a film di fantascienza, basta quanto sta già accadendo. Oggi, in Borsa, la maggior parte delle transazioni è gestita da algoritmi informatici che agiscono in tempi istantanei (sono in grado di elaborare in un secondo più dati di quanto un uomo possa fare in un anno) e pertanto le decisioni sono prese senza interventi di attori umani, se non talora a posteriori quando si creano situazioni critiche. Uber gestisce milioni di conduttori di veicoli con un drappello di pochi individui, ma la maggior parte dei comandi è data dagli algoritmi senza alcuna supervisione umana.

Ci viene detto che dietro o accanto agli algoritmi, nella più parte delle situazioni, ci sono e ci saranno sempre esseri umani, tuttavia bisogna rilevare che, in questi casi, si tratterà di un numero limitato di persone, destinate a diventare sempre più preziose e che pertanto finiranno per costituire una nuova potentissima élite, anche prescindendo dall'ipotesi, forse fantascientifica ma non troppo, che tali soggetti diventino superuomini potenziati da appendici tecnologiche quando non manipolati per via bioingegneristica.

Inoltre, viene aggiunto, visto che gli algoritmi sono costruiti da esseri umani, questi ultimi, per non farsi sopraffare dalle loro creature, possono elaborarli creando percorsi che rispettino la libertà e l'autonomia delle persone, tutelino il lavoro, difendano l'ambiente e via dicendo. Suppongo che ciò sia possibile, ma, dato che viviamo in un mondo molto competitivo, probabilmente tali algoritmi “buoni”sarebbero battuti da algoritmi più aggressivi che operano nella logica della razionalità strumentale tesa alla sola crescita della tecnologia che li alimenta.

Infine, accantonare il ricorso agli algoritmi troppo potenti è una scelta non facile in questo mondo ultracompetitivo. Chi lo facesse (un individuo, un'impresa o un Paese) verrebbe sopraffatto dai concorrenti che continuerebbero ad usarli traendone vantaggio. Per metterli da parte, bisognerebbe che tutti contemporaneamente facessero questo passo, un evento improbabile perché ci sarà sempre qualcuno che si sottrae a tale impegno.

È evidente che tutto quanto è stato qui rappresentato sia estraneo a qualsivoglia concezione della democrazia. Del resto, da tempo, Emanuele Severino ci dice che l'affermazione piena della tecnica è incompatibile con l'umanesimo e con ogni forma di democrazia (non solo la liberaldemocrazia).

Forse dovremmo cominciare a preoccuparci di una tale prospettiva piuttosto che continuare a guardare indietro col timore di improbabili riproposizioni di esperienze negative del passato, nate e cresciute in contesti del tutto differenti dal presente e da quel futuro che è già cominciato.


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