Un’Europa senza identità



Giuseppe Ladetto    1 Marzo 2024       6

La UE intende allargare i suoi confini all’Ucraina, alla Moldova e alla Georgia, mentre c’è già chi strizza l’occhio al Kazachistan (auspicandone una conversione ai valori occidentali). A fronte di questo passo, riprendo una considerazione fatta nel 2018, in un articolo su questa nostra rivista on line dal titolo Una Europa con poca coscienza di sé.

Molti, a cominciare dal vertice comunitario, parlano di Europa senza proporne un concetto chiaro. Il riferimento geografico pare irrilevante: ne è considerata parte Cipro (in Asia); per lungo tempo si è parlato di ingresso della Turchia (con il solo 3% di territorio e il 14% della popolazione in Europa); si esclude la Russia (con il 25 % del territorio, ma con il 75% della popolazione in Europa, e che ha dato un significativo apporto alla costruzione della ricchezza culturale europea); e oggi si parla di Georgia, collocata totalmente in Asia e priva di continuità territoriale con Paesi della UE o aspiranti tali.

Abbandonato il requisito geografico, a quale riferimento guardare?

Europa è un termine o un concetto che richiede di essere definito, ed è bene ricordare che ogni definizione pone dei confini, circoscrive l'oggetto che in essa rientra e lo separa da ciò che ne sta fuori.

Oggi, a sentire i discorsi dei fautori dell’Europa allargata, i riferimenti sarebbero l’assetto istituzionale, e i valori liberaldemocratici. Ma, pur essendo assai discutibile che i Paesi sopramenzionati, e più in generale i Paesi dell’Europa orientale e balcanica siano in regola da questo punto di vista, a rendere improponibili tali riferimenti, c’è un aspetto sostanziale: non sono requisiti specifici dell’Europa (li possiamo trovare in Paesi dei continenti americano, asiatico e oceanico) e quindi non circoscrivono l’oggetto in questione. Di fatto, il concetto di Europa, sulla base di detti riferimenti, si risolve in quello di Occidente, dissolvendosi.

A pensar male si fa peccato (diceva Giulio Andreotti), ma quasi sempre si indovina. La sottintesa caratteristica dei nuovi candidati all’ingresso nella UE consiste nel confinare con una Russia verso cui ne va coltivata l’ostilità, esaltando i rinati nazionalismi locali, e così soddisfare l’aspirazione americana a indebolire ulteriormente un suo storico avversario. Già nel lontano 1835, Alexis de Tocqueville intravedeva una probabile futura competizione fra quelle che riteneva due potenze emergenti.

In ogni caso, come ha scritto Ernesto Galli della Loggia, in polemica con i fautori del patriottismo costituzionale, “bisogna convincersi che le società non esistono perché hanno una costituzione, e che la migliore tavola immaginabile di diritti e di istituzioni non basta a formare una società”, e (aggiungo io) meno che mai uno Stato unitario europeo.

L’Europa nel suo significato più profondo è qualche cosa d’altro: ciò che chiamiamo Europa è un prodotto della cultura dei suoi popoli, e non un semplice riferimento geografico e neppure il solo frutto dell'adesione a una serie di valori ed istituzioni di recente proposizione sul piano storico. Per Agnes Heller, l'Europa è essenzialmente un prodotto dello spirito (religione inclusa), della cultura e della memoria condivisa di coloro che la hanno abitata e la abitano.

Domenico Accorinti, in un commento all’articolo cui mi richiamo, aveva scritto che avere una cultura o una civiltà condivisa non è sufficiente per formare una comunità politica, come hanno mostrato l’Ellade e l’Italia medievale e rinascimentale. Verissimo. Tuttavia, sono convinto che non sia possibile realizzarla senza possedere questi elementi perché non si costruisce niente di solido e duraturo sulle sole esigenze economiche, politico-istituzionali o militari. Oltre ad appartenere ad una stessa civiltà o cultura, ci vuole quella speciale forma di spiritualità che fa sentire i membri di una collettività come cittadini di un unica entità politica, legati da un patto di solidarietà.

Ora, i cittadini dei 27 Paesi della attuale UE hanno questo comune sentire? Sono pronti a fare sacrifici quando lo richiedono pressanti necessità di Paesi comunitari in difficoltà? Credo che si possa tranquillamente dire di no, almeno al momento attuale. Ed altrettanto capiterà domani, tanto più se la UE si allargherà ulteriormente.

L’attuale Europa comunitaria è spaccata in varie parti. La Gran Bretagna ne è già uscita, privilegiando i rapporti con il mondo anglofono, in particolare con gli USA, potenza marittima come è stata e in parte è ancora essa. Distanti dalla componente occidentale della UE (e in particolare dai Paesi fondatori) sono i Paesi dell’Europa orientale e balcanica, rimasti ancorati a un vetero nazionalismo, e che nulla hanno compreso della necessità di accantonare i vecchi odi e rancori. Ad essi, si stanno progressivamente avvicinando i Paesi scandinavi, che fino ad oggi hanno visto nella UE solamente un mercato e un’opportunità economica.

C’è poi una frattura fra Nord e Sud, presentata talora come fra Paesi “rigorosi” e Paesi “spendaccioni”, se non che a questi ultimi si sta avvicinando la Francia, mentre la Germania comincia ad avere problemi economico-produttivi da quando le manca il metano russo a buon mercato.

Oggi poi le cose si complicano ulteriormente. In Germania, si sta verificando, come scrive Dario Fabbri, un aspro contrasto tra il territorio che costituiva la Repubblica Democratica e la parte occidentale del Paese. Nell’Est, dove ha conservato un qualche peso Die Linke (formazione che raccoglie i nostalgici della esperienza comunista), fortemente ostile alla NATO, si è ora affermata Alternative fur Deutschland che, secondo Fabbri, rappresenta il riemergere di quella forma mentis prussiana (già presente nella Germania Democratica) da sempre sospettosa del Sud cattolico e dell’Ovest influenzato dall’illuminismo francese (c’è chi la ha definita una sorta di “Lega Est”). Questa Germania “prussiana”, in una logica bismarckiana, guarda ad Est, e ritiene che la Russia non debba essere considerata un nemico. L’apertura tedesca all’ingresso dell’Ucraina nella UE accentua questa frattura.

Pure nella componente orientale della UE, non c’è più intesa, e anche il Gruppo di Visegrad (fino a ieri unito nel respingere intromissioni delle istituzioni europee negli affari interni degli Stati) si è spaccato. C’è stato in primo luogo il cambio di maggioranza in Polonia, ma comunque non tutti (a partire da Ungheria e Slovacchia), pur non avendo alcuna simpatia per Putin, si sentono impegnati in prima fila contro la Russia a sostegno dell’Ucraina. Un sentimento diffuso anche in Austria e in Paesi di cui si auspica l’ingresso nella UE, come Moldova e Serbia.

Si potrà dissentire da tale analisi dicendo che il voto unanime (con l’uscita dall’aula dell’Ungheria) a favore dell’ingresso dell’Ucraina nella UE, e il sostegno ad essa dato con l’invio di armi unitamente allo stanziamento di 50 miliardi di euro, evidenziano l’impegno unitario della Comunità su un tema di rilevante importanza. Tuttavia, le cose sono molto più complesse, e solo il futuro ci dirà quanto possa essere reale questa manifestazione unitaria, in particolare se la guerra in Ucraina dovesse continuare a lungo, e se si rilevassero illusorie le sempre annunciate vittoriose offensive ucraine. Inoltre, immaginiamo che cosa potrebbe accadere se Trump vincesse le prossime elezioni, o se si consolidasse al vertice degli USA quella componente isolazionista, non solo repubblicana, determinata a far abbandonare al proprio Paese il ruolo di poliziotto del mondo.

Giorgia Meloni ha più volte dichiarato che non sono accettabili in seno alla UE decisioni prese da qualsivoglia direttorio (in pratica il duo franco-tedesco), e ha accolto malissimo il varo delle nuove regole del patto di stabilità elaborate dai ministri dell’economia di Francia e Germania. Ha aggiunto che nessuno ha titolo per stabilire chi sia più europeo o meno.

Vediamo come stanno le cose. A tal fine, faccio un passo indietro tornando al mio articolo del 2018.

È nell’alto Medioevo che si delinea il primo abbozzo della fisionomia europea quando, nel cuore dell'impero carolingio, nasce una nuova civiltà dalla ormai avvenuta fusione degli elementi forniti dal mondo romano, dai popoli germanici e dal cristianesimo. Da questo originale nucleo carolingio, l'Europa in tempi successivi si è progressivamente allargata acquisendo i popoli iberici, le genti delle isole britanniche di origine celtica e germanica, gli ungari, gli scandinavi e gli slavi occidentali, ciascuno dei quali ha fornito nel tempo un suo più o meno rilevante contributo alla costruzione dell'edificio culturale europeo. A partire dal XIX secolo, anche gli slavi orientali ed i balcanici ne sono progressivamente entrati a far parte, ma non senza qualche maggiore difficoltà.

Se osserviamo il cammino di formazione e di allargamento della UE, possiamo trovare analogie con quanto ora descritto. Tali analogie riguardano i differenti tempi di adesione ai trattati dei vari Paesi, procedendo dal centro carolingio verso la periferia europea, e parimenti le crescenti problematiche incontrate nel processo di allargamento. Non credo che ciò sia casuale: è il peso delle vicende storiche a farsi sentire. Il ricorso alla dizione ancor oggi utilizzata di “Europa carolingia” indica qualche cosa che va oltre una pura coincidenza territoriale fra il regno di Carlo Magno e i Paesi fondatori della Comunità europea: a caratterizzarla, c’è, in questi ultimi, un più profondo sentire di appartenere a una comune cultura dalle lontane radici.

Inoltre, ci sono le “difficoltà” incontrate dagli slavi orientali e sud balcanici a farsi riconoscere parte dell’Europa, difficoltà che nascevano e nascono dai differenti percorsi storici da essi seguiti rispetto agli europei occidentali. Il legame culturale con il cristianesimo e l’eredità del mondo antico sono stati loro trasmessi tramite la grande tradizione greco-bizantina. Questa tradizione è caratterizzata da una assente o scarsa distinzione tra la sfera politica e quella religiosa, da un connesso monolitismo politico-religioso (o talora ideologico), da una marcata spiritualità e una certa staticità a fronte del pragmatismo e dell’intraprendenza degli europei occidentali. Ciò non riguarda la sola Russia, ma altresì l’Ucraina, la Bielorussia e tutti gli altri Paesi di fede ortodossa (compresi quelli non slavi come Romania, Moldova e Grecia).

Tornando a quanto detto da Giorgia Meloni, contraria a direttori, a unioni rafforzate, a gruppi di Paesi che intensifichino i loro rapporti, e guardando al futuro della UE, credo che, tra i 27 membri attuali, e peggio includendo i nuovi candidati, non ci sia né una identica volontà, né una pari capacità di essere parte di un vero cammino unitario europeo. Ritengo quindi che inevitabilmente si riproporranno percorsi differenziati con la costituzione di unioni rafforzate e/o di un nucleo di partenza.

Per quanto mi riguarda, i soli candidati atti a svolgere un tale ruolo sono i Paesi della cosiddetta “Europa carolingia allargata”, ma vedo che, per responsabilità di tutti, prevalgono ancora, e forse si accrescono egoismi, risentimenti, invidie e ripicche che non lasciano bene sperare. Tuttavia, quanti prendono di mira in particolare Francia e Germania devono tenere presente che senza questi due Paesi, o peggio contro di essi, non si va da nessuna parte e non ha senso parlare di unità europea.


6 Commenti

  1. Articolo eccellente . Una disamina completa e pacata della situazione attuale e delle prospettive attese o incombenti.
    Complimenti

  2. Non mi limito ad esprimere il più vivo apprezzamento per questo articolo di Beppe Ladetto ma vi aggiungo anche la nostra convinzione sulla necessità di andare oltre. Il tema dell’Europa, nella sua genesi storica e nelle problematiche legate ai propositi di ampliamento, già di per sé centrale, lo è ancor più con riferimento alle imminenti elezioni. La nostra ASSOCIAZIONE DEI POPOLARI piemontesi sta organizzando per il 6 aprile p.v. un incontro a Torino con il prof. Markus Krenke, rappresentante della Fondazione Adenauer, da cui intendiamo farci aggiornare sul suo Paese e sull’Europa, vista dal suo Paese.
    Gli sottoporremo questo scritto di Ladetto: sarà molto interessante ascoltare le sue valutazioni, sia in quanto studioso ed europeo ma anche proprio in quanto tedesco.
    Nelle settimane prossime forniremo indicazioni pratiche sull’iniziativa.

  3. La riunificazione tedesca aveva posto le premesse per un’Europa a guida franco-tedesca. Le due nazioni hanno avuto gli ultimi trent’anni a disposizione per esercitare la loro guida. Nei fatti sono andate al seguito dell’agenda della Nato sull’allargamento ad Est, la Francia non ha condiviso né il suo arsenale atomico né il suo posto di membro permanente del Consiglio di Sicurezza ONU. La Germania ha usato la sua supremazia economica, fondata essenzialmente su rapporti di buon vicinato con la Russia, per crescere a scapito delle altre economie europee e addirittura degli Stati Uniti. E se non era per Draghi alla Bce, la Germania non avrebbe neanche salvato la moneta comune europea, che pure le aveva dato enormi benefici.
    Lo scoppio del conflitto in Ucraina, innescato un decennio fa principalmente dai neoconservatori americani in posizioni chiave nelle Amministrazioni che si sono susseguite, forzando il loro stesso mandato, mirava all’obiettivo di staccare l’Europa continentale dal’Eurasia, ormai il primo mercato mondiale. Una strategia deleteria per l’Europa che Parigi e Berlino non hanno voluto, o potuto, fermare.
    Ora, con l’invasione russa dell’Ucraina, ha vinto l’Anglosfera, attiva anche nel sabotaggio delle infrastrutture energetiche che avevano assicurato energia russa a basso costo alla Germania. La continuazione il più a lungo possibile della guerra in Ucraina, consolida i suddetti rapporti di forza.
    In un tale contesto non mi pare realistico attribuire all’asse franco-tedesco una capacità di guida che ha dimostrato di non possedere. Credo che le sfide per l’Ue siano altre, soprattutto quelle indicate ripetutamente da Mario Draghi. L’assoluta necessità e urgenza di procedere a una maggiore integrazione attraverso la via della sussidiarietà sui temi che non possono più esser affrontati solo a livello nazionale, come la difesa, la transizione energetica e quella digitale. Sfide che richiedono fisco e debito comune dell’Ue per consentire gli investimenti necessari. Se l’Ue intende sedersi al tavolo delle potenze mondiali di questo secolo, insieme a Stati Uniti, Cina, India e Russia per definire insieme una nuova governance globale multilaterale nel quadro delle Nazioni Unite, deve adottare politiche molto diverse da quelle ordoliberiste praticate, per miope ed egoistico diktat tedesco, nel decennio scorso. Altrimenti gli altri grandi si accorderanno senza l’Ue e a scapito dell’Europa.
    In questo senso trovo molto interessanti le riflessioni di Giuseppe Ladetto, perché solo dibattendo il tema dell’identità europea, si possono trovare le ragioni di una coesione necessaria per affrontare riforme richieste dai tempi. Perché o l’Ue acquisisce rapidamente la massa critica degli altri blocchi mondiali (per popolazione, investimenti per l’innovazione e la difesa, capacità di cooperazione su basi di autonomia e di reciproco rispetto della sovranità) oppure corre il rischio di venire relegata ai margini della storia di questo secolo.

  4. Il voto del parlamento francese sulla modifica costituzionale che introduce il diritto all’interruzione di gravidanza, ci segnala l’urgenza indifferibile di portare a compimento l’unità europea sulla base del consolidamento di una identità condivisa. La laica Francia (nel senso positivo di non confessionale) continua il suo cammino di retroguardia verso un laicismo istituzionale anticristiano, capitanata da un informe politico di scarso rango quale si è rivelato Macron. Il dirimpettaio Olaf Scholtz si distingue per l’inadeguatezza di ruolo rispetto alle sfide, ereditate dai predecessori Schroeder e Merkel (altra pasta Helmut Kohl), relative al mantenimento di quella società del benessere costruita a discapito degli alleati europei. E’ proprio questo il punto focale, genesi dei problemi e della lenta ma continua decadenza europea(e occidentale nel complesso): l’incapacità di governare le società del benessere e della pace raggiunti. A onor del vero la storia maestra ci insegna che nessuna civiltà raggiunto il benessere è sopravvissuta a sé stessa. Proprio per questo il sistema liberal-capitalistico-consumista che ha surclassato il socialismo reale non sopravviverà a sé stesso. Muovo da queste considerazioni la riflessione sull’identità europea in crisi ma non da riscrivere; debole e incapace di sostenere il percorso volto al traguardo dell’unità politica ma non da reinventare. La storia racconta che dopo l’incoronazione di Carlo Magno nel Natale dell’anno 800 da parte di papa Leone III, seguirono sanguinose e cruente guerre fratricide, culminate nella più classica divisione dei pani e dei pesci, ergo l’unità dell’impero in frantumi. Retaggio il sangue blu dispensato a quasi tutte le case reali oggi in attività ma fuori dal tempo politico odierno. Probabilmente possiamo sostenere che da quelle divisioni nacquero i presupposti delle nazioni francese e tedesca, non altro.
    Il comune sentire europeo non può non affondare le proprie radici nella civiltà romanica, culla del diritto, fondamento legislativo dei popoli continentali, insieme alla civiltà cristiana che lo ha poi sovrastato, ergendosi a unico baluardo contro gli invasori barbarici (a dispetto delle investiture o incoronazioni susseguitesi nel tempo…strumentali). Il riferimento istituzionale dei multiformi popoli italici, dopo la fine dell’era romanica (durata un millennio), era il vescovo con la sua influenza persuasiva e l’ascendenza cristiana. Certo si può opinare che anche la civiltà romanica non è sopravvissuta alla sua incapacità di governare il benessere costruito nel mondo allora conosciuto, con i limiti al confine della attuale Scozia e dell’est europeo e l’integrazione della regione anatolica e del nord africa. Vero ma il lascito culturale, giuridico, ingegneristico sopraffanno ogni negatività. Certo difficile farne una base di condivisione con l’europa “euro-asiatica” che ci racconta un’altra storia, slavo-bizantina, diversa ma non incompatibile. Comunque il principale punto di sintesi è la civiltà cristiana, per tutta l’area. La civiltà cristiana ha espresso, con fatica iniziale poi travolgente, quella cultura democratica cristiana che da subito generò un pensiero politico altro rispetto al pensiero liberale democratico sviluppatosi nel mondo anglo-statunitense dopo la rivoluzione francese e contrapposto al pensiero marxista. Il pensiero democratico cristiano, sviluppatosi in europa per opera di pensatori quali Gioberti, Manzoni, De maistre, Taparelli D’azeglio, Toniolo, Maritain, Mounier, Ertzberger, riassunto e magistralmente compiuto da Sturzo, al quale pensiero nessuno può integrare nulla proprio perché vitalizzato in un metodo senza tempo. Pensiero che trova punti di incontro istituzionali con il pensiero liberale democratico, nella separazione dei poteri ad esempio ma che sopravanza con l’equilibrio dei poteri che trova ineguagliabile applicazione nella Costituzione Italiana, studiata da sempre al MIT (come il sistema pensionistico pre-DINI… e non per disapprovarlo). Altro che riforma Meloni, occorrerebbe cancellare tutte le devastanti riforme fatte, a cominciare da quella del titolo V fatta in fretta e furia per inseguire Bossi sul suo improbabile terreno! L’europa continentale si nutriva del pensiero democratico cristiano mentre gli anglo-statunitensi affogavano nel pensiero democratico liberal liberista. Pensiero democratico cristiano innervato in tutto il continente, nei suoi contenuti sociali, comunitari, sussidiari, economici (la “terza via”), pacifici e anche finanziari, si pensi ai monti di pietà originari, agli istituti di credito cooperativi e via discorrendo. Generalizzare la cultura occidentale è fuorviante.
    Senza Europa politica unita fondata sulla civiltà romanica e cristiana a partire dal comune “personalismo” come sintesi identitaria, non sarà possibile un nuovo ordine mondiale includente e non suprematista. Si svilupperà solo una nuova volontà delle potenze economiche emergenti che non solo rivendicano un posto a tavola ma ambiscono a sostituire il decadente occidentalismo con il portato irascibile delle loro storia, cultura e orgogliosa rivendicazione dei torti subiti. Francia e Germania saranno d’accordo? Dubito che i nipotini di Merkel e Schauble (che pur riconobbe i meriti di Draghi dopo averlo avversato duramente) e di Sarkozy e Holland abbiamo ereditato qualcosa dai “nonni” Robert Schumann e Konrad Adenauer. Nutro lo stesso pensiero per gli attuali teatranti equestri italiani, destri o sinistri è lo stesso, nei confronti di Alcide de Gasperi. Si pensi che nell’ultimo quarto di secolo l’unico ad omaggiare Alcide de Gasperi è stato Mario Draghi nel suo discorso di insediamento come Presidente del Consiglio dei Ministri (non come premier!) alla Camera dei Deputati. Se l’Italia volesse diventare protagonista del processo di unificazione politica europea probabilmente dovrebbe considerare Mario Draghi una risorsa. L’unico che parla di Politica europea (un banchiere!) dopo Martinazzoli e Bodrato. Prima che se lo accaparri Biden. Come consigliere politico, presidente della Federal Reserve o Segretario dell’ONU, poco importa. Penso che solo una Europa politica forte, unità da un comune sentire identitario possa essere propositiva di un nuovo ordine mondiale, condiviso e solidale. Capace di governare le società del benessere condividendolo con i più poveri (o depredati). Altrimenti dovremo abituarci alle guerre per le “terre rare”, foriere di metalli preziosi indispensabili alle nuove tecnologie civili e soprattutto militari. Nel Donbass, a Taiwan o nell’Africa centrale che dir si voglia. Solo l’europa politica unita può ridiscutere automaticamente la composizione del consiglio di sicurezza dell’ONU; magari partendo dal nucleo storico fondativo per poi allargare. Ma la Francia è disponibile a rinunciare al seggio a favore dell’Europa?
    Il confronto politico, quello delle idee sane e complesse, arricchisce sempre, salvo restare sterile se non sintetizzato in agire politico. Per “mettere a terra il pensiero politico popolare”, come direbbero i più giovani, occorre il Partito Popolare Italiano, non ex democristiani orfani di strapuntini e ruoli di quarto piano, dispersi in inutili revanscismi. Il POPOLARISMO non può proseguire a titolo individuale, è contro natura. Occorre ammettere l’errore commesso nell’autoalienarsi dalla storia politica, altro che celebrare Franco Marini! Senza preconcetti di centrosinistra alieni a Sturzo. Il relativismo etico è di destra quanto di sinistra, il pensiero politico popolare, “le ragioni del popolarismo” sono solo centristi come a più riprese ha spiegato inequivocabilmente Sturzo. Le alleanze sono conseguenti a condivisione di contenuti e strumentali ai sistemi elettorali mai strutturali. Neanche la stagione del “centrismo” lo fu. “Conditio sine qua non” per esistere è averlo un pensiero.
    Tuttavia confido nel soffio dello Spirito Santo, a prescindere, anche se non vedo all’orizzonte i presupposti e nemmeno il terreno da irrigare. Fortuna che soffia dove vuole quando è il tempo.
    Maurizio Trinchitella

  5. Trovo l’articolo di Giuseppe Ladetto impeccabile, come le previsioni politiche sull’Europa di Giuseppe Davicino, dal punto di vista della lucidità razionale. E da questo punto di vista li condivido.
    Ma anche i disegni più razionali e lucidi vanno raffrontati con la realtà storica che sembra disegnare un quadro mondiale che indica altre direzioni all’umanità.
    E ciò perché, come diceva Francesco Bacone, la ragione è al servizio delle passioni umane. E purtroppo mi sembra che queste, sotto le mentite spoglie dell’idea di dare benessere all’umanità con lo sviluppo economico, stiano in realtà spingendola ad abbracciare una vera e propria “tecnolatria” senza limiti che vede nella tecnologia un esasperato (e impossibile nella sua “accrescibilità infinita”) fattore di potenza e di arricchimento (che, come tutti gli arricchimenti, va sempre a scapito di qualcuno, magari, al limite, a scapito delle future generazioni, proprio perché le risorse naturali non sono infinite) che mette in competizione gli stati creando sostanzialmente uno stato di guerra permanente per l’ingiustizia, e la sofferenza, che traspare negli assetti mondiali, sia in chi è agiato, e non vuole rinunciare alla propria agiatezza, sia, com’è ovvio, nei disagiati.
    E’ un po’ difficile che in un simile quadro si crei una sorte di armonia universale, vuoi in Europa, vuoi nel resto del mondo!
    Non so che cosa pensare per risolvere un simile bellum omnium contra omnes (compresa la guerra che gli uomini stanno portando alla natura, oltre che fra sé lottando coi competitori geopolitici) di cui la questione europea è solo un episodio fra i tanti.

  6. Stimatissimo Ladetto, ho tra i mie appunti le tue giuste riflessioni sulla guerra inutile tra Russia-Ucraina, questo non significa essere putiniani per avversare una conflitto che ha procurato 100mila morti e milioni di famiglie disperate che piangono i propri cari. Sono profondamente occidentale ma non fautore di una libertà ad oltranza che sta rivelando i suoi lati negativi in quanto è sfociata in un relativismo che ci sta portando verso il conflitto nucleare. E’ questa la preoccupazione di Papa Francesco; se l’Europa non recupera la spiritualità cristiana cattolica che i media stanno distruggendo, non potremo, noi italiani per primi, esprimere una politica equilibrata e di pace. Inoltre mi rifaccio al giudizio di Enrico MATTEI, il più grande italiano contemporaneo pragmatico e con una visione politica incommensurabile, in suo discorso affermò: “ho impiegato sette anni per costruire l’ENI, investirò altri sette per distruggere la Nato”. Pertanto alla luce dei recenti accadimenti mondiali per avere pace e per scongiurare i ricorrenti conflitti l’umanità ha bisogno di una “NATO UNICA” che possa difendere in modo indifferenziato i diritti di tutti i popoli. Caro Ladetto, ti sono grato di aver citato Domenico Accorinti e Dario Fabbri di cui condivido la loro lucidità culturale politica in netta opposizione allo sciovinismo interventista di Emanuel Macron, con l’invio di soldati della sua legione i Centrafrica, le stessa che SarKozy, impiegò per uccidere Gheddafi, aprendo un disastro socio economico, di cui tutt’oggi l’Italia ne paga le devastanti conseguenze.

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