Serbia e Kosovo ai ferri corti



Aldo Novellini    4 Giugno 2023       1

In quello che sta succedendo in Serbia e Kosovo – e di cui hanno fatto le spese i nostri militari in azione sotto le insegne Nato – non vi è, salvo prova contraria, la longa manus della Russia. Certo, è più che probabile che al signore del Cremlino questo nuovo focolaio di violenza apertosi nel bel mezzo dei Balcani faccia un gran comodo. A parte la simpatie moscovite per la Serbia, forse il solo Stato europeo tendenzialmente filo russo, la contesa serve a distogliere, anche solo per breve tempo, l'attenzione europea ed americana dall'Ucraina dove Mosca ne sta combinando di tutti i colori.


Evidente però che quella che abbiamo davanti sia una faccenda tutta giocata tra le complicate e dolorose pieghe della ex Jugoslavia. Un terra da sempre venata da gravi tensioni come mostra la sua storia. Un solo nome: Sarajevo, luogo nel quale scoccò la scintilla che condusse al baratro della Prima guerra mondiale.


Ma torniamo all'oggi per provare a capire cosa stia accadendo. Il Kosovo, regione un tempo appartenente alla Serbia, si è reso indipendente da Belgrado nel 2008. Una sovranità che i serbi non hanno mai accettato, considerando Pristina, la capitale kosovara, alla stregua di una provincia ribelle. Indipendenza che peraltro non ha ricevuto – in barba al tanto sbandierato principio di autodeterminazione dei popoli – il pieno sostegno di tutta l'Unione europea. Mancano all'appello Spagna, Romania, Cipro, Grecia e Slovacchia. Un mancato riconoscimento motivato dalle vicende interne di ciascuno: Madrid, ad esempio, teme che l'indipendenza kosovara possa fornire un'ulteriore spinta al nazionalismo basco e catalano e Cipro con la parte orientale dell'isola in mano turca non vuole consolidarne la secessione.


In ogni caso, Pristina si è staccata da Belgrado e le forze Nato ed Onu cercano di stabilizzare la situazione. L'Europa si è fatta avanti anche con un piano di pace, elaborato da Francia e Germania, che prevede il pieno rispetto delle attuali frontiere e la reciproca sovranità di Serbia e Kosovo. Un percorso in buona parte da costruire tra fragili equilibri da mantenere.


La vicenda delle targhe automobilistiche mostra in pieno quanto stiamo dicendo. Pristina lo scorso autunno aveva deciso di cambiare le targhe non ritenendo più valide quelle serbe, ma questo banale provvedimento amministrativo si è trasformato in un incidente internazionale. Va infatti rammentato che il Kosovo oltre ad una netta prevalenza albanese ha al suo interno una minoranza serba che vive nella parte nord del Paese e che non vorrebbe recidere i legami con Belgrado. Cosicché il cambio della targhe è stato vissuto dai serbi del Kosovo come una rottura con la Serbia e sulla protesta che ne è seguita Belgrado ha subito soffiato sul fuoco.


Il vero nodo della questione è, in effetti, il trattamento della minoranza serba, meno di 100mila persone (di cui la metà nelle province del nord), che si sente discriminata dalla soverchiante maggioranza albanese (1,9 milioni). Tra i punti dell'intesa franco-tedesca vi è, proprio a tutela della minoranza, la creazione di un'Assemblea delle municipalità serbe dotata di una certa autonomia. Pristina ha però disatteso l'impegno. In questo clima di reciproca diffidenza, troppo forte la paura che l'autonomia si trasformi in un'aperta secessione.


Per reazione i rappresentanti serbi nei Comuni dove è massiccia la presenza di questa minoranza si sono dimessi dai loro incarichi pubblici e a questa mossa il governo kosovaro ha risposto convocando nuove elezioni amministrative per rimpiazzare gli uscenti. Elezioni che i serbi hanno boicottato. A risultare eletti in municipalità a netta prevalenza serba sono stati dunque gli esponenti albanesi perché solo questi si sono recati alle urne: un migliaio di persone sui 40mila aventi diritto. Per l'appunto i serbi rimasti a casa. Sul piano formale tutto è avvenuto nel pieno rispetto delle regole ma è lampante che sotto il profilo sostanziale queste elezioni sono prive di significato e andrebbero ripetute.


Su questo l'Europa dovrebbe premere con il governo kosovaro, altrimenti si andrà fatalmente al muro contro muro. Il fatto è che lo scontro frontale, senza esclusione di colpi e con scarsa propensione al compromesso, sembra essere un po' il marchio di fabbrica in auge da queste parti. Proprio noi italiani dovremmo saperlo. Basta ricordare cosa avvenne in Istria, tra il 1945 e il 1947, quando le milizie slave attuarono una pulizia etnica per cancellare la presenza dell'Italia. Una ferocia che avremmo rivisto - per nostra fortuna da semplici spettatori - nel conflitto serbo-croato che negli anni Novanta portò alla fine della Jugoslavia.


Detto questo è venuto il momento di far prevalere la ragione. Oggi l'Europa è in grado di premere sia su Pristina che su Belgrado, poiché Kosovo e Serbia sono entrambe candidate ad entrare nell'Unione. E forse proprio accelerando l'integrazione di questo universo balcanico in perenne turbolenza si darà la spinta decisiva verso una soluzione accettata da tutti. E' tempo che Bruxelles si faccia avanti senza reticenze. Solo nel quadro di una grande comunità europea potremo superare per sempre quelle contrapposizioni che per troppi decenni hanno avvelenato il vecchio continente.




1 Commento

  1. La Yugoslavia è stata un’unione fittizia,su base ideologica,di stati animati da forte nazionalismo e, inoltre, con numerose divisioni interne tra le fedi religiose ortodosse,cattoliche e musulmane.
    L’implosione del blocco sovietico ha coinvolto anche la Yugoslavia causandone la disgregazione sotto la spinta centrifuga dei vari nazionalismi.
    Il riassestamento di quella vasta area balcanica, al prezzo di ferocissimi conflitti, ha lasciato stati di tensione e di precarietà di cui il Kosovo è solo un esempio.
    Gli USA e alcuni stati europei forse sono stati troppo precipitosi nel riconoscere l’autoproclamato stato Kosovo, senza valutare il rischio di spinte autonomiste e secessioniste della consistente minoranza serba stanziata in parte al nord e in parte al sud del neo Stato.
    Inoltre, la zona in questione ha un alto valore simbolico-religioso per la Serbia che difficilmente potrà essere disconosciuto o ignorato.
    L’ammissione di Serbia e Kosovo nel consesso europeo dovrebbe essere condizionata anche alla definizione di un nuovo assetto territoriale, che riconosca l’autonomia amministrativa della minoranza serba sul modello altoatesino sperimentato con successo in Italia.

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