Il conflitto in Ucraina, da questione regionale (come quelli che dalla fine della Seconda guerra mondiale hanno coinvolto vari Paesi a seguito della dissoluzione di formazioni statali, oppure come conseguenza della decolonizzazione), è diventato un fatto di portata globale perché si tratta ormai di un confronto fra USA e Russia nella sempre presente partita per la definizione di un nuovo assetto internazionale.
Nel clima emotivo e militante che caratterizza il mondo politico e mediatico, quasi totalmente allineato a sostegno delle ragioni di Washington, chi fa affermazioni non in sintonia con queste viene silenziato con l’accusa di essere un “putiniano”.
Ma chi sono le persone indicate come tali?
Ritengo che vada accantonata l’accusa meramente propagandistica di essere persone pagate da Mosca per difendere gli interessi russi. Quanto a quella che i putiniani siano coloro che guardano con interesse al modello autoritario di cui la Russia è interprete (un Paese in cui permangono chiusure al multiculturalismo, ai nuovi diritti civili, alla comunità LGBT e via dicendo), è possibile che ci sia qualcuno disposto a coltivare questa idea, ma resta un fatto assolutamente marginale. Infatti, l’immagine (o forse il mito) della Russia come grande potenza in grado di esercitare un’influenza sulla pubblica opinione occidentale non è più credibile. Guardando, non solo alla sua debolezza militare (da tempo già deducibile dalla modesta spesa in oggetto, ed ora manifestata palesemente in Ucraina), ma anche ai dati economici e al livello di vita della popolazione, pare evidente che la Russia non disponga di alcuna capacità attrattiva nei confronti di quegli europei insoddisfatti di cosa offra loro il proprio Paese, e pertanto in cerca di modelli (politici, istituzionali o sociali) alternativi.
Vediamo quali possano essere le vere motivazioni di chi non condivide la linea di politica estera oggi dominante nei Paesi occidentali.
1) C’è innanzi tutto chi prende sul serio il pericolo che la guerra possa allargarsi coinvolgendo direttamente la NATO e portare all’impiego delle armi nucleari, una catastrofe planetaria. Infatti, scrive Lucio Caracciolo: “Più lo scontro in Ucraina si prolunga meno sarà governabile secondo ragione. Ogni minuto perso nell’illusione che il conflitto si spegnerà da solo potrebbe rivelarsi fatale”.
A questo timore, si aggiungono le angoscianti domande (poste quotidianamente da papa Francesco) su quanti civili e militari ancora dovranno morire, e quante distruzioni dovremo vedere prima che si capisca la necessità di deporre le armi ricercando soluzioni che tengano conto delle esigenze e dei timori di tutte le parti coinvolte nel conflitto.
2) Cresce inoltre la preoccupazione per le pesanti conseguenze della guerra sul quadro economico, per l’aumento del costo della vita con persone che non riescono ad arrivare alla fine del mese; per le aziende che non ce la fanno più a sostenere i costi energetici andando incontro a fallimenti, o chiusure, o delocalizzazioni. Sono conseguenze negative che, in Occidente, gravano in prevalenza sui Paesi europei: il costo dell’energia per le aziende manifatturiere italiane e tedesche è diventato 8-10 volte più elevato di quello che grava su quelle americane, mentre ci sono quanti fanno ingenti profitti a seguito degli alti prezzi raggiunti dal metano, da varie materie prime e dalle derrate alimentari. Cui prodest tutto ciò?
3) Si aggiunga che, col proseguimento della guerra, si sta mettendo in mora, per logiche di potenza, l’indispensabile transizione energetica mentre il pesante bilancio climatico di questa annata impone di accelerare il passaggio alle fonti energetiche rinnovabili. Infatti, per sostituire il gas russo, non solo si sta ridando spazio crescente al carbone, ma anche allo shale gas la cui produzione comporta ingenti immissioni in atmosfera di metano (72 volte più potente della CO2 nel determinare l’effetto serra).
4) Inoltre, c’è il timore o la preoccupazione per quanto potrebbe accadere in conseguenza di un possibile crollo della Russia (obiettivo a cui sembrano voler tendere alcune agenzie statunitensi, se non Biden stesso, i conservatori britannici, i polacchi, i cechi, i baltici e qualcuno in casa nostra). Abbiamo già visto in passato (da inizio Novecento ad oggi) come il collasso di grandi organismi statali multinazionali, (l’Impero asburgico, il Sultanato ottomano) o di Paesi di media grandezza ma etnicamente o religiosamente compositi (Jugoslavia, Siria, Iraq, Libia) abbia lasciato dietro di sé instabilità, nuove guerre, pulizie etniche, conflitti di religione. Il crollo della Federazione russa potrebbe condurre alla secessione dei suoi territori periferici in Asia e nel Caucaso, generare nuovi conflitti, dare spazio al fondamentalismo islamico, permettere alla Cina di espandersi in Siberia e nell’Asia centrale, o consentire ad una Turchia molto aggressiva di acquisire territori e aree di influenza non solo nel Caucaso e nell’area turkmeno-kazaka, ma anche nei Balcani, nel Medio oriente e in Nord Africa. Qualcuno può credere che siano sviluppi positivi per l’Europa?
Anche una pesante sconfitta di Mosca, tale da provocare la caduta di Putin, non porterebbe i “liberali” alla guida del Paese, ma piuttosto forze ultranazionaliste che avrebbero in mano armi nucleari.
5) Aggiungo un altro motivo che induce numerose persone a vedere con preoccupazione il diffondersi di una assurda russofobia, fatta propria dalla più parte dei media occidentali, una russofobia che sembra voler espellere dal mondo europeo tutto quanto si riconduce alla Russia.
La Russia è invece una componente importante dell’Europa, intesa come la civiltà (o l’edificio culturale) che nel corso della storia è stata costruita con l’apporto dei suoi molti popoli. Senza la Russia, l’Europa non è completa. Lo aveva compreso De Gaulle quando auspicava un’Europa che andasse dall’Atlantico agli Urali. Anche Giovanni Paolo II invocava tale estensione dell'Europa, superando risentimenti e prevenzioni che, come polacco, avrebbe potuto nutrire per questo disegno.
Papa Francesco, nell’omelia del Concistoro del 28 agosto, ha lodato il cardinale Agostino Casaroli per aver saputo assecondare il dialogo fra le due metà in cui era ideologicamente spaccata l’Europa, aprendo nuovi orizzonti che hanno consentito di superare la guerra fredda. Ha poi espresso la sua preoccupazione per il difficile momento attuale con queste parole: “Dio non voglia che la miopia umana chiuda di nuovo quegli orizzonti che Lui ha aperto!”. Il Pontefice ha più volte severamente condannato la guerra intrapresa dalla Russia in Ucraina, ma dubito che la “miopia umana” da lui denunciata riguardi solo Mosca.
Tuttavia sentiamo dire da opinionisti vari che oggi non è la Russia, come nazione, ad essere nel mirino dell’Occidente, ma il suo gruppo dirigente della cui estromissione beneficerebbe il Paese stesso.
Non è così, almeno nelle intenzioni di quegli apparati che definiscono la politica internazionale statunitense da cui nessun presidente si è mai sostanzialmente discostato, eccetto Trump e Bush padre (il quale comprese che la fragile libertà riconquistata dai Paesi dell’est Europa andava accompagnata da atteggiamenti non provocatori nei confronti dei russi o da iniziative da loro interpretabili come minacce). Il nemico, per i sopraddetti apparati, è la Russia in quanto tale (indipendentemente da chi la governi o dal sistema istituzionale adottato). Ci sono due principali motivi a sostegno di questa linea. Il primo: la Russia, per dimensione geografica e demografica, per risorse naturali, per storia e per cultura, ha le caratteristiche per essere una autonoma potenza regionale (come la Cina, l’India e potenzialmente il Brasile e vari Paesi asiatici), quindi un soggetto da ridimensionare. Il secondo: fare della Russia un nemico è indispensabile per giustificare l’esistenza della NATO, e scavare un solco profondo che la tenga separata dall’Europa; una Russia integrata nell’Europa è per l’America un incubo, perché una tale ricomposizione del continente europeo (come auspicato da Giovanni Paolo II e da De Gaulle) inevitabilmente porrebbe fine al ruolo statunitense di unica potenza di respiro planetario.
6) Preoccupa infine la condizione dell’Unione Europea che, al di là dell’apparente unità a sostegno dell’Ucraina, appare priva di una visione di ciò che occorre fare in questo difficile momento, e quindi incapace di far sentire una sua voce. L’Unione è infatti in una condizione di marcata dipendenza da Washington (non propriamente in quella di un alleato di pari dignità) che si farà tanto più rilevante quanto più durerà il conflitto. Inoltre, (contrariamente a quanto recita la retorica imperante) il proseguimento di questa guerra non è avvertito in diversi Paesi europei come qualcosa di vitale e necessario, sicché le difficoltà e i pericoli che da essa derivano, invece di unire i membri dell’Unione, spingono ciascuno di essi ad agire per conto proprio (vedi in tema di energia, immigrazione, misure finanziarie, ecc.) al fine di salvare o tutelare prioritariamente se stesso.
Oggi, in Italia e in Europa, sono in minoranza quanti condividono i motivi di preoccupazione citati, o almeno alcuni di questi, e pertanto dissentono da coloro che vogliono protrarre il conflitto per mettere in ginocchio la Russia, senza considerarne le ricadute negative.
La gente però comincia a fare delle domande, finora inevase, e a chiedere delle risposte, visto il rilevante peso che viene messo sulle sue spalle per sostenere il prolungamento di questa guerra (ben più dello spegnere un po’ i condizionatori, come ha detto qualcuno). Sono risposte che vanno date presto prima che una pesante crisi sociale, determinata dalle ricadute del conflitto, faccia esplodere proteste di massa con tutti i risvolti negativi (talora anche violenti) che le accompagnano.
Nel clima emotivo e militante che caratterizza il mondo politico e mediatico, quasi totalmente allineato a sostegno delle ragioni di Washington, chi fa affermazioni non in sintonia con queste viene silenziato con l’accusa di essere un “putiniano”.
Ma chi sono le persone indicate come tali?
Ritengo che vada accantonata l’accusa meramente propagandistica di essere persone pagate da Mosca per difendere gli interessi russi. Quanto a quella che i putiniani siano coloro che guardano con interesse al modello autoritario di cui la Russia è interprete (un Paese in cui permangono chiusure al multiculturalismo, ai nuovi diritti civili, alla comunità LGBT e via dicendo), è possibile che ci sia qualcuno disposto a coltivare questa idea, ma resta un fatto assolutamente marginale. Infatti, l’immagine (o forse il mito) della Russia come grande potenza in grado di esercitare un’influenza sulla pubblica opinione occidentale non è più credibile. Guardando, non solo alla sua debolezza militare (da tempo già deducibile dalla modesta spesa in oggetto, ed ora manifestata palesemente in Ucraina), ma anche ai dati economici e al livello di vita della popolazione, pare evidente che la Russia non disponga di alcuna capacità attrattiva nei confronti di quegli europei insoddisfatti di cosa offra loro il proprio Paese, e pertanto in cerca di modelli (politici, istituzionali o sociali) alternativi.
Vediamo quali possano essere le vere motivazioni di chi non condivide la linea di politica estera oggi dominante nei Paesi occidentali.
1) C’è innanzi tutto chi prende sul serio il pericolo che la guerra possa allargarsi coinvolgendo direttamente la NATO e portare all’impiego delle armi nucleari, una catastrofe planetaria. Infatti, scrive Lucio Caracciolo: “Più lo scontro in Ucraina si prolunga meno sarà governabile secondo ragione. Ogni minuto perso nell’illusione che il conflitto si spegnerà da solo potrebbe rivelarsi fatale”.
A questo timore, si aggiungono le angoscianti domande (poste quotidianamente da papa Francesco) su quanti civili e militari ancora dovranno morire, e quante distruzioni dovremo vedere prima che si capisca la necessità di deporre le armi ricercando soluzioni che tengano conto delle esigenze e dei timori di tutte le parti coinvolte nel conflitto.
2) Cresce inoltre la preoccupazione per le pesanti conseguenze della guerra sul quadro economico, per l’aumento del costo della vita con persone che non riescono ad arrivare alla fine del mese; per le aziende che non ce la fanno più a sostenere i costi energetici andando incontro a fallimenti, o chiusure, o delocalizzazioni. Sono conseguenze negative che, in Occidente, gravano in prevalenza sui Paesi europei: il costo dell’energia per le aziende manifatturiere italiane e tedesche è diventato 8-10 volte più elevato di quello che grava su quelle americane, mentre ci sono quanti fanno ingenti profitti a seguito degli alti prezzi raggiunti dal metano, da varie materie prime e dalle derrate alimentari. Cui prodest tutto ciò?
3) Si aggiunga che, col proseguimento della guerra, si sta mettendo in mora, per logiche di potenza, l’indispensabile transizione energetica mentre il pesante bilancio climatico di questa annata impone di accelerare il passaggio alle fonti energetiche rinnovabili. Infatti, per sostituire il gas russo, non solo si sta ridando spazio crescente al carbone, ma anche allo shale gas la cui produzione comporta ingenti immissioni in atmosfera di metano (72 volte più potente della CO2 nel determinare l’effetto serra).
4) Inoltre, c’è il timore o la preoccupazione per quanto potrebbe accadere in conseguenza di un possibile crollo della Russia (obiettivo a cui sembrano voler tendere alcune agenzie statunitensi, se non Biden stesso, i conservatori britannici, i polacchi, i cechi, i baltici e qualcuno in casa nostra). Abbiamo già visto in passato (da inizio Novecento ad oggi) come il collasso di grandi organismi statali multinazionali, (l’Impero asburgico, il Sultanato ottomano) o di Paesi di media grandezza ma etnicamente o religiosamente compositi (Jugoslavia, Siria, Iraq, Libia) abbia lasciato dietro di sé instabilità, nuove guerre, pulizie etniche, conflitti di religione. Il crollo della Federazione russa potrebbe condurre alla secessione dei suoi territori periferici in Asia e nel Caucaso, generare nuovi conflitti, dare spazio al fondamentalismo islamico, permettere alla Cina di espandersi in Siberia e nell’Asia centrale, o consentire ad una Turchia molto aggressiva di acquisire territori e aree di influenza non solo nel Caucaso e nell’area turkmeno-kazaka, ma anche nei Balcani, nel Medio oriente e in Nord Africa. Qualcuno può credere che siano sviluppi positivi per l’Europa?
Anche una pesante sconfitta di Mosca, tale da provocare la caduta di Putin, non porterebbe i “liberali” alla guida del Paese, ma piuttosto forze ultranazionaliste che avrebbero in mano armi nucleari.
5) Aggiungo un altro motivo che induce numerose persone a vedere con preoccupazione il diffondersi di una assurda russofobia, fatta propria dalla più parte dei media occidentali, una russofobia che sembra voler espellere dal mondo europeo tutto quanto si riconduce alla Russia.
La Russia è invece una componente importante dell’Europa, intesa come la civiltà (o l’edificio culturale) che nel corso della storia è stata costruita con l’apporto dei suoi molti popoli. Senza la Russia, l’Europa non è completa. Lo aveva compreso De Gaulle quando auspicava un’Europa che andasse dall’Atlantico agli Urali. Anche Giovanni Paolo II invocava tale estensione dell'Europa, superando risentimenti e prevenzioni che, come polacco, avrebbe potuto nutrire per questo disegno.
Papa Francesco, nell’omelia del Concistoro del 28 agosto, ha lodato il cardinale Agostino Casaroli per aver saputo assecondare il dialogo fra le due metà in cui era ideologicamente spaccata l’Europa, aprendo nuovi orizzonti che hanno consentito di superare la guerra fredda. Ha poi espresso la sua preoccupazione per il difficile momento attuale con queste parole: “Dio non voglia che la miopia umana chiuda di nuovo quegli orizzonti che Lui ha aperto!”. Il Pontefice ha più volte severamente condannato la guerra intrapresa dalla Russia in Ucraina, ma dubito che la “miopia umana” da lui denunciata riguardi solo Mosca.
Tuttavia sentiamo dire da opinionisti vari che oggi non è la Russia, come nazione, ad essere nel mirino dell’Occidente, ma il suo gruppo dirigente della cui estromissione beneficerebbe il Paese stesso.
Non è così, almeno nelle intenzioni di quegli apparati che definiscono la politica internazionale statunitense da cui nessun presidente si è mai sostanzialmente discostato, eccetto Trump e Bush padre (il quale comprese che la fragile libertà riconquistata dai Paesi dell’est Europa andava accompagnata da atteggiamenti non provocatori nei confronti dei russi o da iniziative da loro interpretabili come minacce). Il nemico, per i sopraddetti apparati, è la Russia in quanto tale (indipendentemente da chi la governi o dal sistema istituzionale adottato). Ci sono due principali motivi a sostegno di questa linea. Il primo: la Russia, per dimensione geografica e demografica, per risorse naturali, per storia e per cultura, ha le caratteristiche per essere una autonoma potenza regionale (come la Cina, l’India e potenzialmente il Brasile e vari Paesi asiatici), quindi un soggetto da ridimensionare. Il secondo: fare della Russia un nemico è indispensabile per giustificare l’esistenza della NATO, e scavare un solco profondo che la tenga separata dall’Europa; una Russia integrata nell’Europa è per l’America un incubo, perché una tale ricomposizione del continente europeo (come auspicato da Giovanni Paolo II e da De Gaulle) inevitabilmente porrebbe fine al ruolo statunitense di unica potenza di respiro planetario.
6) Preoccupa infine la condizione dell’Unione Europea che, al di là dell’apparente unità a sostegno dell’Ucraina, appare priva di una visione di ciò che occorre fare in questo difficile momento, e quindi incapace di far sentire una sua voce. L’Unione è infatti in una condizione di marcata dipendenza da Washington (non propriamente in quella di un alleato di pari dignità) che si farà tanto più rilevante quanto più durerà il conflitto. Inoltre, (contrariamente a quanto recita la retorica imperante) il proseguimento di questa guerra non è avvertito in diversi Paesi europei come qualcosa di vitale e necessario, sicché le difficoltà e i pericoli che da essa derivano, invece di unire i membri dell’Unione, spingono ciascuno di essi ad agire per conto proprio (vedi in tema di energia, immigrazione, misure finanziarie, ecc.) al fine di salvare o tutelare prioritariamente se stesso.
Oggi, in Italia e in Europa, sono in minoranza quanti condividono i motivi di preoccupazione citati, o almeno alcuni di questi, e pertanto dissentono da coloro che vogliono protrarre il conflitto per mettere in ginocchio la Russia, senza considerarne le ricadute negative.
La gente però comincia a fare delle domande, finora inevase, e a chiedere delle risposte, visto il rilevante peso che viene messo sulle sue spalle per sostenere il prolungamento di questa guerra (ben più dello spegnere un po’ i condizionatori, come ha detto qualcuno). Sono risposte che vanno date presto prima che una pesante crisi sociale, determinata dalle ricadute del conflitto, faccia esplodere proteste di massa con tutti i risvolti negativi (talora anche violenti) che le accompagnano.
Resta il tema centrale: se non avessimo aiutato militarmente il popolo ucraino, Putin avrebbe sottomesso l’intero Paese.
Un Paese che già aveva vissuto l’esperienza “russa” e quando ha potuto scegliere ha scelto l’occidente dicendo: la tirannia russa l’abbiamo già provata, no grazie!!
Poi tutti siamo convinti che occorra lavorare per la pace, ma partendo da condizioni di parità!!
Egr. G. Ladetto,
sarà pur vero tutto quello che Lei indica si stia verificando a causa della guerra in Ucraina. A me pare che l’unica cosa che si dovrebbe considerare è che la realtà attuale rende impossibile la pace per l’atteggiamento negativo di che ha scatenato la guerra, cioè di Vladimir Putin che non vuole la pace, ma la resa incondizionata degli ucraini. Lei sarebbe d’accordo a soddisfare l’obbiettivo di Putin?
Buona giornata
Non sono un presunto putiniano, ma un pragmatico cristiano cattolico. Il conflitto russo-ucraino è una guerra inutile e sbagliata, non ci saranno né vincitori e né vinti, ma soltanto morti, distruzioni, invalidi permanenti e una drammatica parola: “tragedia”!.
Grazie “Giuseppe Ladetto”, che con coraggio e senza ipocrisia scrvi giustamente ed esplicitamente le cose come stanno. In quanto esse si riflettono con ciò che ho ripetuto più rudemente anch’io su questo periodico e ringrazio coloro che pur non essendo d’accordo con il mio giudizio non hanno censurato i miei commenti. Il motivo per cui sono contrario alla linea USA/NATO/UE, sono quelli che più volte hai scritto e che oggi ripeti in modo organico da me condivisibili al duecento per cento. Il mio vanto è di essere da sempre pragmatico e anti massone come il venerabile Giorgio La Pira, a cui rivolgo le mie quotidiane preghiere per far cessare questa guerra surrettizia, che sta avvantaggiando i ricchi a scapito dei poveri. Quando dico poveri dico italiani con un debito pubblico da brividi, con 110 MM/anno di interessi passivi versati alla BCE, è come dire che con il nostro lavoro manteniamo l’istituzione UE, per giunta i Paesi frugali finanziano le ONG e ci fanno invadere mediamente e giornalmente da 5000 poveri disgraziati, che hanno africanizzato largamente il Bel Paese, oltretutto siamo stressati da pandemia, terremoti, alluvioni e costi di guerra (sanzioni). Come ciliegina sulla torta ci permettiamo il lusso di finanziare il cacciabombardiere “tempesta” con inglesi e giapponesi, che secondo il preventivo nel 2035, quando sarà in grado di volare, costerà 25 MMUSD. Un investimento sbagliato che incrementerà ulteriormente il nostro debito pubblico creando limitatissimi posti di lavoro. La maggioranza degli italiani è NO WAR, ma siamo sopraffatti dai media dei guerrafondai! Come afferma Aristotele (Etica Nic.V,6) “se l’uomo si sostituisce alla legge diventa tiranno; non è tale quando invece egli è custode della legge e, perciò, della giustizia e dell’uguaglianza”. “Vede, signor Gubin (suo accompagnatore rdurante il suo viaggio in Russia ), La Pira rivolgendogli la parola, disse: guardando qualche attimo fa, Mosca illuminata, mi sono ricordato di una visione della Gerusalemme celeste che ebbe il vostro grande Santo, Antonio di Kiev……. Fu l’artefice della pace tra USA e Vietnam (amico di Ho Chi Minh)! “SPES CONTRA SPEM”. Il Papa non si stanchi d’intervenire! Occorre un negoziatore che blocchi la guerra (come fu Giorgio la Pira). Dinanzi alle ingiustizie se le persone buone ed oneste tacciono il male si diffonde! Invochiamo la “Spirito santo”, che ci dia un suggerimento soprannaturale di un negoziatore ideale per far cessare il conflitto. Sarebbe opportuno che Papa Francesco viste le sue non buone condizioni di salute inviti a Roma il cattolico Joe Biden, e a quattrocchi le spieghi le ragioni per fermare morte e distruzioni. Si chiede pertanto l’intercessione di MARIA SS, invocata da tutti i Monasteri delle Suore di Clausura del Mondo, in collegamento mondovisione. La Guerra è un crimine e coloro che non si adoperano per l’armistizio e la pace sono criminali alla pari dei paesi frugali che rifiutano l’accoglienza degli immigrati irregolari, oppure che armano le ONG per farci invadere! Preghiamo e accumuliamo come nostro tesoro frutti di buone opere per la vita eterna”.
https://artcurel.blogspot.com/2019/08/giorgio-la-pira-un-sindaco-santo-di.html
Il modo in cui Ladetto affronta i grandi temi del nostro tempo credo aiuti i Popolari a capire quale sia il loro compito in questa fase. Fare innanzitutto informazione e formazione, proponendo una autonoma visione delle cose perché quella del sistema dei media è ormai a senso unico e incapace di tollerare il pluralismo, su tutte le questioni importanti.
E aiutare le persone a capire e a distinguere. I tempi della politica non sempre coincidono con quelli delle buone cause, anche nel caso della pace. Quando i rapporti di forza sono in modo così schiacciante sfavorevoli alla causa della pace, e agli interessi del popolo e dei popoli, con tutti i media (con la coraggiosa eccezione di quelli cattolici) schierati per la guerra ad oltranza in Ucraina, a chi governa non rimangono che due vie. O, come sembra preferire gran parte della sinistra, mettersi al servizio di chi è più forte badando solo a conservare qualche posizione di potere ed eseguendo acriticamente e con zelo quanto viene dettato dall’alto, oppure usare la tattica che si usa di fronte a un nemico soverchiante. Fingere di assecondarlo, per illuderlo e ingannarlo. Così ha fatto il governo Draghi, il più guerrafondaio della Nato, a parole, salvo poi scoprire, come lamentano gli ucraini, che abbiamo inviato in Ucraina gli scarti dei nostri arsenali, armi desuete che ci sarebbe costato molto di più smaltire secondo le severe norme europee. Regalandole ci abbiamo pure guadagnato.
La dittatura del politicamente corretto rende la doppiezza politica, di togliattiana memoria, una virtù civile.
Il dibattito politico sui grandi temi appare non più potabile. Chi solo s’azzarda ad avanzare proposte di buon senso ispirate a una visione del bene comune non coincidente con l’agenda dei poteri che realmente comandano in Occidente, va incontro al manganellaggio mediatico, una nuova forma di stalinismo che mira a distruggere l’interlocutore (filo-putiniano, omofobo, negazionista, terrapiattista, ecc.) e se non basta, alla censura.
Quindi fare formazione politica, come presupposto indispensabile per l’azione, significa anche interrogarsi sul modo più efficace per sostenere istanze popolari in un milieu culturale, mediatico, politico divenuto a queste istanze ideologicamente ostile.
Ringrazio gli autori dei commenti (Giuseppe Davicino e Filippo Arpaia per le gentili parole nei miei confronti, e Franco Rolfo e Santo Bressani Doldi per i contributi critici sempre benvenuti).
Ritengo che quasi tutti i conflitti non abbiano mai un solo responsabile, ma che numerosi fattori contribuiscano a determinarli, taluni dei quali radicati in eventi non recenti.
George Bush padre, non certo un ingenuo o un pacifista, ma un esperto di cose internazionali, anche grazie ai delicati ruoli svolti prima di giungere alla presidenza del Paese, dimostrò nei confronti della Russia (come dell’Iraq) molta prudenza e pragmatismo, oggi da rimpiangere, perché si rese conto dei pericoli insiti nella situazione conseguente al crollo dell’URSS, e comprese che la fragile libertà riconquistata dai Paesi dell’est Europa andava accompagnata da atteggiamenti non provocatori nei confronti dei russi o da iniziative da loro interpretabili come minacce. Lo comprese anche Henry Kissinger quando disse che “se l’Ucraina vuole sopravvivere e prosperare non deve diventare l’avamposto di una parte contro l’altra, ma fare da ponte tra le due”.
Ma tale prudenza venne ignorata da quanti giunsero in seguito alla presidenza (Bill Clinton, George Bush figlio, Barack Obama, ed ora John Biden), che si sono allineati sostanzialmente alle direttive della dottrina Brzezinski tesa a mettere in ginocchio la Russia partendo dal sostegno con ogni mezzo alle componenti nazionaliste di Ucraina e Georgia. Oggi ne vediamo le drammatiche conseguenze.
Una seconda considerazione. L’Ucraina avrebbe già vissuto nel secolo scorso la tirannia russa, inducendola pertanto oggi a scegliere l’Occidente.
Ma la Russia non è l’URSS. Del gruppo di potere bolscevico, fecero parte numerosi esponenti delle nazionalità non russe, in proporzione di gran lunga superiore al peso demografico di tali nazioni. Anzi, ai vertici del potere sovietico ci furono prevalentemente persone ad esse riconducibili: in particolare georgiani (come Stalin e il potente ministro degli interni Beria), ed ucraini (Kaganovich braccio destro di Stalin, e poi Krusciov, Breznev, Cernenko, il maresciallo Timoscenko più volte a capo dell’Armata Rossa; perfino Gorbaciov era di famiglia mista russo-ucraina). La forzata collettivizzazione dell’agricoltura (una tragedia che provocò milioni di morti, non solo in Ucraina, ma in tutte le zone agricole dell’Unione), avvenne per volontà del georgiano Stalin, ed ebbe come principale organizzatore sul campo l’ucraino Kaganovich.
A conferma dell’adesione al bolscevismo di una rilevante parte degli ucraini, rammento che, a seguito della dissoluzione dell’URSS, per ben 10 anni nel Parlamento di Kiev ci fu una forte maggioranza del partito comunista, che respinse ogni tentativo di “liberalizzazione” dell’economia, sollecitata dall’Occidente in linea con quella disastrosa riforma messa in campo da Eltsin in Russia. Solo ad inizio degli anni Duemila, cominciò a farsi sentire la spinta verso Occidente, fortemente sostenuta da parte americana con grandi finanziamenti ai partiti nazionalisti.
La storia non può essere alterata (come sovente è avvenuto nel mondo comunista, e oggi da parte dei media nostrani) per dare un’immagine distorta del passato, funzionale ai propri desiderata.
PACE! PACE! PACE! Il professor Stefano Zamagni è tra gli ideatori e firmatari dell’appello per la pace in Ucraina che “ha alimentato un forte dibattito all’interno della Chiesa”, ed è sempre più convinto della validità del suo approccio per fermare la guerra. “Bisogna fare come il Papa, abbandonare la via del giusto per arrivare al bene”! La Pira rappresenta il modello ideale del politico del terzo millennio! Dobbiamo seguire il suo esempio e a tutti costi arrivare prima all’armistizio e successivamente alla PACE, nel seguente modo: a) Costruire un partito della pace, dedicato al Sindaco santo, ponendo sul tappeto argomenti che non trovano alternative perché questa guerra è voluta e sostenuta dai produttori di armi e di energia fossile e porta all’allargamento del conflitto fino all’uso di bombe atomiche da zaino o arma nucleare da valigetta. Non trascurando il fatto che le risorse economiche non sono infinite e gli italiani sono stufi ed essenzialmente NO WEARE, si deve rispettare l’art. 11 della nostra Costituzione: L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad uno ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo. b) Sostituire Stoltemberg, essendo il capo di un’organizzazione che vuole la guerra ad oltranza e far capire a Zelensky che il suo popolo è allo stremo e che sta mettendo in pericolo la coesione e l’esistenza della stessa Comunità Europea. c) Se mandiamo armi all’Ucraina, la guerra non finirà mai, le risorse energetiche Russe sono immense, con il rischio inoltre che sfoci in un conflitto molto più ambio. Formosa e sotto la Nato e contro la Cina, rischiamo la terza guerra mondiale. d) Il nostro aiuto dovrebbe concretizzarsi unicamente in beni alimentari, sanitari e di ospitalità, senza considerare che le stesse armi possano alimentare altre guerre. e) La Commissione europea che ha presentato mercoledì (30 nov. u.s.) i piani per l’istituzione di un tribunale specializzato, sostenuto dalle Nazioni Unite, per indagare e perseguire eventuali responsabilità commesse. Quindi, occorre aprire un negoziato per la pace con la formula “Kissinger”: Andrea RICCARDI di Sant’Egidio, a cui questo appello è stato tramesso, prenda in mano l’iniziativa, non basta unicamente l’accoglienza, ma urge arginare il dilagare del conflitto anche nei Balcani (Kossovo contro Serbia)! Giorgio La Pira, fu l’artefice della pace tra USA e Vietnam (amico di Ho Chi Minh)! La nostra cultura millenaria e le torture subite dalla sconfitta della seconda guerra mondiale ci autorizzano a proporci come pacieri tra Russia e Ucraina, con la benedizione di Papa Francesco!
Mi sembra che il quadro che esce dall’articolo di Ladetto e dai molti commenti fatti sia completo e non mi resta che dare il mio totale appoggio alla tesi espressa da Giuseppe Ladetto.
Osservo solo che la cultura statunitense, per tradizione storico-culturale dominante, ha sempre visto, sin dalle origini, se stessa come l’Impero del Bene. Da qui la tendenziale messa in minoranza nella sua storia delle posizioni “realiste”, ma direi, mi sembra più correttamente, di equilibrata visione della condizione umana, che richiede il dialogo nello scontro, partendo dal principio che la convivenza tra le culture richiede necessariamente l’armonizzazione tra l’inevitabile pluralità di visioni valoriali ed intreressi contrastanti che vengono a contatto tra loro nell’ecumene. Evidentemente anche sotto la apparente “pluralità di idee del mondo occidentale” si nasconde in realtà un pensiero totalitario ipocritamente tollerante basato sulla libertà di dire (niente polonio ai dissidenti, ottima cosa naturalmente, ma che non esaurisce il problema della libertà di pensiero e, soprattutto di valutazione equilibrata dell’agire), purché non vengano disturbate nei fatti certe scelte del fare della classe dirigente sfuggente agli stessi principi costituzionali.
Se negli USA, politicamente, militarmente, ma soprattutto culturalmente dominanti in occidente, non prenderà il sopravvento una critica approfondita dell’antropologia dominante in quel paese (e, di riflesso in tutto l’occidente) i prossimi anni per il mondo non saranno di certo facili…
A me sembra che l’ultimo commento di Domenico Accorinti sia veramente la cesura neutra e sensata sia dell’articolo di Ladetto che dei commenti.
Purtroppo io sono molto pessimista perchè con tutto quello che si è detto su questo conflitto le ragioni di preoccupazione espresse nei vari punti dell’articolo di Giuseppe Ladetto rimangono ogni giorno di più “vox clamantis in deserto”.
Cito un solo punto che non viene mai citato né dai progressisti, né dagli ambientalisti, né dai buoni ora e sempre: per sostituire il gas russo, non solo si sta ridando spazio crescente al carbone, ma anche allo shale gas la cui produzione comporta ingenti immissioni in atmosfera di metano (72 volte più potente della CO2 nel determinare l’effetto serra). Se nemmeno di fronte a questo continuiamo a nutrirci di belle intenzioni siamo a posto, anzi siamo fritti, ah no, nemmeno questo, perchè di gas per cucinare ne abbiamo poco…