Diciamola tutta: siamo appesi ad una data. Quella del 9 maggio: giorno in cui nel lontano 1945 la Russia di Stalin celebrò la vittoria contro la Germania di Hitler. Quasi ottanta anni dopo Mosca prova a ripetersi proponendo un nuovo successo militare, questa volta contro l’Ucraina di Volodymyr Zelenski. Non è affatto chiaro cosa accadrà realmente, probabile una parata, più o meno in pompa magna, sulla piazza Rossa come negli anni gloriosi dell’Unione Sovietica mentre sembra non essere più in ballo la macabra messinscena di sfilare tra le macerie fumanti di Mariupol.
Da tempo filtra voce che il presidente russo Vladimir Putin il prossimo 9 maggio proclami la "vittoria" nella guerra contro l’Ucraina, ponendo termine all'avventura bellica iniziata oltre due mesi fa. Magari vi sarà una semplice tregua. Vi è poi chi teme l'annuncio di una nuova fase ancora peggiore della prima.
Comunque sia, dall’ ”operazione speciale”, come Mosca ha battezzato il proditorio attacco contro Kiev, non è, almeno sinora giunto alcun successo definitivo. Tutt’altro. La resistenza del popolo ucraino, ben supportata dalle armi occidentali, si è mostrata in grado di contrastare con notevole efficacia la potenza militare moscovita. Non si sa neppure se il Donbass sia totalmente sotto controllo russo, né, cosa ancora più importante, se i suoi abitanti russofoni (ma forse dopo questo bagno di sangue un po’ meno russofili) siano davvero in maggioranza favorevoli a Mosca.
In ogni caso a noi occidentali conviene che Putin annunci la sua vittoria, vera o presunta che sia, e chiuda la partita in questo modo. Solo a quel punto, forse, si potrà tornare al tavolo dei negoziati, sebbene il filo tra le due parti, complice i buoni uffici turchi, non si sia mai seriamente interrotto.
Certo, la strada è tutta in salita. Sul terreno rimane un autentico disastro tra migliaia di morti, decine di migliaia di feriti ed inaudite distruzioni. Il tutto accompagnato da milioni di profughi, reiterate stragi di civili con la scoperta di fosse comuni. Una tragedia che segnerà per lungo tempo, forse per un paio di generazioni, i rapporti tra russi ed ucraini. Una guerra che cambierà anche i rapporti tra l'Unione europea e Mosca.
Eppure non c’è alternativa: si deve trattare e tutti quanti: Europa, Stati Uniti, Cina, Onu devono operare in questa direzione, sostenendo innanzi tutto gli sforzi della diplomazia turca. Anche il Papa sta facendo la sua parte, mostrandosi un vero gigante della pace, pronto a tutto pur di far tacere le armi. In ogni caso bisogna sperare che l’autocrate del Cremlino si accontenti o, per lo meno, faccia finta di accontentarsi, di quanto raccolto sinora. E per approdare all’esito sperato, presupposto per una cessazione del fuoco, l’Occidente – e soprattutto l'asse angloamericano - dovrebbe smettere di parlare in ogni occasione di fallimento russo perché così facendo rischiamo solo di alimentare la voglia di rivincita, che cova in alcuni circoli militari moscoviti, e le velleità di ulteriori rivendicazioni territoriali, che solleticano non poco lo stesso Putin.
In caso contrario potremmo ritrovarci invischiati in un’escalation che, in certi momenti, pare già nei fatti ma che, comunque, occorre scongiurare sino all’ultimo. E per risparmiarci esiti peggiori ai quali, inevitabilmente, dovremo poi rispondere in maniera adeguata, è meglio dar prova di saggezza finché siamo in tempo, mettendo il silenziatore alla cacofonia militarista e sospingendo invece, senza darlo ovviamente a vedere, Mosca verso questo accomodamento in grado di salvare il salvabile. Perché se il 9 maggio Putin proclamerà la sua vittoria, senza ulteriori propaggini militari, magari si potrà cominciare a ragionare. E in fondo avremmo vinto tutti, perché tutti avremo evitato il baratro.
Tutto questo non esclude evidentemente di muoversi con la massima prontezza, senza inutili proclami, verso un’Europa indipendente dall’energia russa. Una scelta strategica, di prospettiva di medio periodo, al di là della situazione contingente, da accompagnarsi anche al conseguimento di una più pronunciata sovranità alimentare e al definitivo compimento di una difesa comune sovranazionale. Magari facendo quelle economie di scala, che potrebbero anche portare (perché no?) ad una complessiva riduzione della spesa militare. Per intanto non rimane che attendere il 9 maggio, sperando sia il giorno nel quale si possa tornare a vedere la luce dopo due mesi di buio.
Da tempo filtra voce che il presidente russo Vladimir Putin il prossimo 9 maggio proclami la "vittoria" nella guerra contro l’Ucraina, ponendo termine all'avventura bellica iniziata oltre due mesi fa. Magari vi sarà una semplice tregua. Vi è poi chi teme l'annuncio di una nuova fase ancora peggiore della prima.
Comunque sia, dall’ ”operazione speciale”, come Mosca ha battezzato il proditorio attacco contro Kiev, non è, almeno sinora giunto alcun successo definitivo. Tutt’altro. La resistenza del popolo ucraino, ben supportata dalle armi occidentali, si è mostrata in grado di contrastare con notevole efficacia la potenza militare moscovita. Non si sa neppure se il Donbass sia totalmente sotto controllo russo, né, cosa ancora più importante, se i suoi abitanti russofoni (ma forse dopo questo bagno di sangue un po’ meno russofili) siano davvero in maggioranza favorevoli a Mosca.
In ogni caso a noi occidentali conviene che Putin annunci la sua vittoria, vera o presunta che sia, e chiuda la partita in questo modo. Solo a quel punto, forse, si potrà tornare al tavolo dei negoziati, sebbene il filo tra le due parti, complice i buoni uffici turchi, non si sia mai seriamente interrotto.
Certo, la strada è tutta in salita. Sul terreno rimane un autentico disastro tra migliaia di morti, decine di migliaia di feriti ed inaudite distruzioni. Il tutto accompagnato da milioni di profughi, reiterate stragi di civili con la scoperta di fosse comuni. Una tragedia che segnerà per lungo tempo, forse per un paio di generazioni, i rapporti tra russi ed ucraini. Una guerra che cambierà anche i rapporti tra l'Unione europea e Mosca.
Eppure non c’è alternativa: si deve trattare e tutti quanti: Europa, Stati Uniti, Cina, Onu devono operare in questa direzione, sostenendo innanzi tutto gli sforzi della diplomazia turca. Anche il Papa sta facendo la sua parte, mostrandosi un vero gigante della pace, pronto a tutto pur di far tacere le armi. In ogni caso bisogna sperare che l’autocrate del Cremlino si accontenti o, per lo meno, faccia finta di accontentarsi, di quanto raccolto sinora. E per approdare all’esito sperato, presupposto per una cessazione del fuoco, l’Occidente – e soprattutto l'asse angloamericano - dovrebbe smettere di parlare in ogni occasione di fallimento russo perché così facendo rischiamo solo di alimentare la voglia di rivincita, che cova in alcuni circoli militari moscoviti, e le velleità di ulteriori rivendicazioni territoriali, che solleticano non poco lo stesso Putin.
In caso contrario potremmo ritrovarci invischiati in un’escalation che, in certi momenti, pare già nei fatti ma che, comunque, occorre scongiurare sino all’ultimo. E per risparmiarci esiti peggiori ai quali, inevitabilmente, dovremo poi rispondere in maniera adeguata, è meglio dar prova di saggezza finché siamo in tempo, mettendo il silenziatore alla cacofonia militarista e sospingendo invece, senza darlo ovviamente a vedere, Mosca verso questo accomodamento in grado di salvare il salvabile. Perché se il 9 maggio Putin proclamerà la sua vittoria, senza ulteriori propaggini militari, magari si potrà cominciare a ragionare. E in fondo avremmo vinto tutti, perché tutti avremo evitato il baratro.
Tutto questo non esclude evidentemente di muoversi con la massima prontezza, senza inutili proclami, verso un’Europa indipendente dall’energia russa. Una scelta strategica, di prospettiva di medio periodo, al di là della situazione contingente, da accompagnarsi anche al conseguimento di una più pronunciata sovranità alimentare e al definitivo compimento di una difesa comune sovranazionale. Magari facendo quelle economie di scala, che potrebbero anche portare (perché no?) ad una complessiva riduzione della spesa militare. Per intanto non rimane che attendere il 9 maggio, sperando sia il giorno nel quale si possa tornare a vedere la luce dopo due mesi di buio.
Un plauso all’articolo, completo e dettagliato,
su una situazione in vorticoso divenire.
Stando alle ultime dichiarazioni, Volodymir Zelensky riconoscerebbe la sovranità della Federazione Russa sulla Crimea quale concessione per l’inizio di una trattativa di tregua e di pace.
Se la notizia fosse confermata e avesse un riscontro positivo da parte russa, si aprirebbe uno scenario tutt’altro che semplice e rassicurante.
La Crimea è sostanzialmente priva di risorse idriche, e per questa carenza è sempre dipesa dalle forniture della regione ucraina di Cherson situata alla foce del fiume Dneper.
Osservando una mappa della costa ucraina del Mar Nero, si nota come la distanza del Donbass (Repubbliche di Donetsk e Lugansk sotto influenza russa) dalla Crimea e dalla regione di Cherson è notevole.
Pertanto, nel caso in cui la Crimea, per la sua dipendenza di approvvigionamento idrico, dovesse stabilire una continuità politico-territoriale con la regione di Cherson, di fatto si creerebbe un’enclave russa in territorio ucraino.
In alternativa, e questo parrebbe l’obiettivo di Putin, si dovrebbe arrivare al riconoscimento della sovranità russa su tutta l’ampia fascia costiera compresa tra il Donbass e la penisola di Crimea dove si consuma l’ultima resistenza di Mariupol nelle acciaierie di Azovstall.
Se dovesse iniziare una trattativa con queste premesse il percorso sarebbe duro e accidentato già dai primi passi, in “spem contra spem” citando Paolo di Tarso.
La mia vuole solo essere una domanda mi sembra di aver visto una serie di ultimi aggiornamenti che non trovo più, grazie.