Ritornare alla realtà dei numeri



Giuseppe Ladetto    6 Maggio 2022       4

Di questi tempi, le emozioni, i giudizi di taglio morale e una propaganda da Paese in guerra dominano nel dibattito pubblico. Per riportarsi alla realtà, bisogna partire dai numeri, cioè prendere in considerazione i dati quantitativi che descrivono le dimensioni demografiche, economiche e le risorse militari delle varie potenze in campo. Sulla base di tali dati, ci si deve chiedere quali delle diffuse odierne interpretazioni dei fatti siano coerenti o compatibili con essi.

1. Confronto demografico fra principali potenze (Calendario atlante De Agostini 2021)

Cina             1.395 milioni

India            1.352 milioni

Stati Uniti      328 milioni

Russia              146 milioni

Regno Unito     67 milioni

UE                    450 milioni

Europa carolingia (Francia, Germania, Italia e Benelux)       238 milioni (53% UE)

Allargata (+ Austria, Spagna e Portogallo)                                 305 milioni (68% UE)

2. Confronto PIL (Calendario atlante De Agostini 2021)

Cina                            14140 miliardi di dollari

India                            2935 miliardi di dollari

Stati Uniti                 21439 miliardi di dollari

Russia                          1637 miliardi di dollari

Regno Unito               2743 miliardi di dollari

UE                              14450 miliardi di dollari

Europa carolingia   10046 miliardi dollari

Allargata                    11990 miliardi di dollari (83% PIL UE)

3. Confronto spesa militare (Dati Sipri 2020)

Cina                               252 miliardi dollari 1,8 % del PIL

India                                72,9 miliardi dollari 2,5 % del PIL

Stati Uniti                     778 miliardi dollari 3,6 % del PIL

Russia                              61,7 miliardi dollari 3,8 % del PIL

Regno Unito                   52,7 miliardi dollari 1,9 % del PIL

UE                                  240 miliardi dollari *    da 1,1 a 2,3 (Francia) % del PIL

(* il dato di 300 miliardi attribuito alla UE da varie fonti include ancora la spesa del Regno Unito)

4. Disponibilità testate nucleari (Dati Sipri 2020)

Russia                          6375

Stati Uniti                  5800

Cina                               350

Francia                          290

Regno Unito                 215

Pakistan                        160

India                              150

Israele                             70

A partire da questi dati, ciascuno potrà porsi degli interrogativi e fare delle considerazioni che in parte dipenderanno dal punto di osservazione in cui si colloca.

L’Europa possibile

Per quanto mi riguarda, mi colloco in quell’Europa occidentale che ha l’ambizione di dare vita a un soggetto politico unitario (in nuce “l’Europa carolingia allargata”) in grado di avere una sua voce in ambito internazionale e quindi una propria politica estera e una forza militare capace di agire in autonomia, il che non significa essere nemici degli USA, ma non esserne satelliti.

Se guardiamo ai dati relativi alla UE, vediamo che, di questa, i 9 Stati della cosiddetta “Europa carolingia allargata” totalizzano il 68% della popolazione e l’83% del PIL; anche riguardo alla spesa militare forniscono il contributo prevalente. Eppure, da tempo, sono gli altri 18 Paesi comunitari (alcuni con una popolazione inferiore alla provincia di Torino, altri che demograficamente stanno al di sotto della Lombardia) a farsi sentire e ad imporre veti e richieste petulanti. Fra di essi, vi sono nazioni imbevute di un nazionalismo estremo, facenti parte di un’area dove restano vivi gli odi e i rancori insieme alle contrapposizioni etniche di un passato per loro mai trascorso.

Oggi, con la guerra in Ucraina, i loro punti di vista si sono imposti. Se poi l’Ucraina (con 42 milioni di abitanti e una superficie maggiore della Francia) entrerà nella UE, la fisionomia dell’Unione ne resterà stravolta, e ogni ipotesi di “Europa politica” verrà cancellata per lungo tempo.

Pare chiaro che chi vuole un’Europa politica, e quindi sovrana di se stessa, debba in primo luogo operare perché questa guerra termini quanto prima, certo per porre fine alle morti e alle distruzioni, ma anche perché quella che ho definito “l’Europa carolingia allargata” possa prendere il controllo del cammino europeo. Credo che, a tal fine, sia inevitabile separare il suo destino da quello dei paesi del Trimarium (la “Nuova Europa” secondo la definizione di Bush figlio) il cui primo desiderio è coltivare ottocenteschi patriottismi sotto l’ombrello americano.

La minaccia russa

Ma, ci dicono, c’è la minaccia russa. Partiamo dalla rappresentazione che in Occidente si dà della Russia.

È una potenza atomica, quindi appunto una minaccia. Ma l’arma nucleare è l’ultima risorsa di cui fare uso, impiegabile solo nel caso in cui forze soverchianti siano prossime a distruggere o ad occupare il paese: è la linea guida che adotta la Russia, ma anche Israele e ritengo le altre nazioni dotate di armi nucleari.

Su tutti gli altri terreni, la Russia appare essere una potenza media, certo non in grado di intraprendere alcuna iniziativa espansiva rispetto a vicini (UE o Cina) molto superiori ad essa in campo demografico, economico e militare. In tema di spesa militare, la Russia impegna già il 3,8% del PIL (uno sforzo ingente), mentre la UE con una spesa mediamente sotto il 2% del PIL può ampliarla allungando il già considerevole distacco (4 a 1) su Mosca. Non reggono quindi le rappresentazioni di una Russia tesa a conquistare i paesi già dell’URSS o peggio del Patto di Varsavia ed oltre.

La guerra in Ucraina resta pertanto confinata in un teatro regionale, e in questo teatro si deve riuscire a trovare un accordo soddisfacente che rimuova le cause del conflitto, invece di estenderlo con pericolo per tutti, fino al rischio di uno scontro nucleare. Non è interesse dell’Europa farne un momento di confronto in una riedizione di una guerra neppure più fredda. Se poi qualcuno (come Biden e Johnson) vorrà combattere fino all’ultimo ucraino per portare al collasso la Russia, o solo per riallineare gli “alleati” a sostegno di un disegno unipolare, allora il quadro cambia completamente, e ciò dovrebbe mettere sull’avviso quei paesi europei dove ancora resta una qualche autonomia e razionalità di giudizio.

Perché la guerra

Per restare all’argomento principe di tutti i dibattiti televisivi, chiediamoci perché la Russia ha dato il via all’intervento bellico.

1) Mosca voleva impadronirsi dell’Ucraina e ha sottostimato la reazione degli occidentali. È un’ipotesi poco sostenibile considerando il progressivo riarmo di Kiev dal 2014 in poi con l’assistenza di personale militare occidentale, e le tre recenti massicce esercitazioni NATO sul territorio ucraino.

2) Putin ha valutato male l’atteggiamento della maggioranza della popolazione ucraina ad est del Dniepr e del sud del Paese, ritenendola favorevole all’intervento o non ostile. Forse. In tale caso, non avrebbe capito che oggi il richiamo (per quanto illusorio) del benessere e del consumismo promesso dall’Occidente prevale sui legami storici e culturali con un’area russofona che è stata parte della Russia per più di tre secoli.

3) La Russia ha avvertito sempre più forte su di sé la pressione occidentale, a partire dalle rivoluzioni colorate (che in realtà sono stati dei colpi di stato con il decisivo sostegno di squadristi e formazioni paramilitari) fino ad una ulteriore estensione della NATO ai suoi confini. Ha inoltre visto in pericolo il suo accesso al Mar Nero, temendo di essere costretta a perdere il controllo della Crimea (da cui è possibile precluderle l’utilizzazione dei suoi principali porti a est della penisola). Ha pertanto ritenuto che, senza una risposta per allentare tale pressione, un confronto armato sarebbe comunque avvenuto ma in condizioni peggiori per lei. Tuttavia il suo intervento già oggi non sembra in grado di raggiungere lo scopo, perché ormai non ha più la forza necessaria per farsi valere, essendosi assai ampliato il divario economico, tecnologico e militare con la NATO (o semplicemente con la UE). Il vertice russo, sentitosi messo alle strette, ha quindi fatto un grosso errore di valutazione, e, nelle strategie internazionali, sbagliare è la cosa più grave. Infatti, abbiamo visto più volte che interventi militari in palese violazione del diritto internazionale fatti da vari Stati (compresi quelli occidentali) sono, di massima, passati subito nel dimenticatoio senza subire censure ma solo quando hanno ottenuto successo con operazioni lampo o comunque di breve durata.

Il pericolo cinese

Oltre al denunciato pericolo russo, secondo una diffusa opinione, c’è poi il pericolo cinese. Se la Russia sarà sconfitta, ma non crollerà, finirà nelle mani di Pechino, e si riproporrà, viene detto, un sistema bipolare: democrazie contro autocrazie.

A parte il fatto che, come ha scritto Lucio Caracciolo, già nel passato confronto fra Mondo libero e comunismo sovietico, le ideologie erano solo coperture di un classico conflitto tra potenze, ritengo che questa visione schematica non regga. Ci sono differenze grandissime tra quanti sono inclusi nell’area occidentale, e altrettanta distanza c’è fra Russia e Cina. Inoltre, numerosi Paesi del mondo (India, altre nazioni asiatiche, vari paesi latinoamericani nonché africani) non intendono stare al gioco non volendo farsi coinvolgere, e rivendicando ciascuno un proprio ruolo, una cultura ed interessi non omologabili a quelli dei contendenti.

Perché la Cina viene considerata un pericolo per l’Occidente? I numeri non giustificano con evidenza questa convinzione.

Il suo PIL è rilevante (il 66% di quello statunitense) e Pechino fa investimenti e acquisti di imprese in varie parti del mondo. Ma è stata la globalizzazione ad aprire alla Cina questa strada, una globalizzazione che oggi è in crisi e che va riconsiderata. Inoltre, sul terreno economico, non è che i Paesi dell’Occidente formino una famiglia compatta. Sono in concorrenza tra di loro tanto quanto lo sono con la Cina; e anche la loro visione economica non è identica: in particolare, fra Europa continentale e Paesi anglosassoni ci sono rilevanti differenze. Pertanto, l’Europa non è tenuta a fare i conti con la Cina impegnandosi in un confronto inclusivo di strumenti militari e boicottaggi. Altre sono le vie. Soprattutto, sta a noi europei riprendere nelle nostre mani le attività produttive, almeno quelle tese a soddisfare i bisogni vitali.

Anche sul terreno della spesa militare, sono esagerate le preoccupazioni. La spesa militare cinese è in marcata crescita unitamente agli investimenti nel nucleare, ma la distanza dagli USA resta grande (1 a 3) senza tenere conto dell’intero potenziale militare occidentale. Al momento, quelle cinesi sembrano iniziative di ordine difensivo essendo poco credibile, per Pechino, il carattere non offensivo delle varie alleanze promosse da Washington (visto il primato americano di interventi militari effettuati negli ultimi 70 anni).

Francamente l’idea che ci sia sempre qualcuno (ieri l’URSS, ora la Cina) che vuol diventare il Numero Uno sostituendo gli Stati Uniti in questo ruolo, mi pare una sorta di ossessione americana. Ciò che si cerca (da parte della Cina e degli altri grandi Paesi) è un mondo multipolare. E nessuno, a parte l’Occidente, vuole imporre a livello planetario il proprio modello politico-istituzionale. Non lo si vuole perché è un’aspirazione propria dell’Occidente (riconducibile a quell’universalismo di impronta illuministica), ma che non appartiene alle altre culture. Inoltre, nessuno dei potenziali presunti aspiranti ha ed avrà i mezzi per una tale impresa.

La difesa del troppo

Tornando alla spesa militare, notava già nel 2003 il generale Fabio Mini, in La guerra dopo la guerra, che gli Stati Uniti totalizzavano il 40% della spesa militare globale; con gli alleati della NATO e non solo, raggiungevano il 70% di detta spesa. Pertanto, poiché USA ed alleati dichiarano sempre che la loro alleanza è difensiva, si chiedeva da chi mai dovessero difendersi. E visto che nessuno dei potenziali “nemici” aveva forze tali da poterli minacciare (anche mettendosi tutti insieme), concludeva che l’atteggiamento americano e degli altri occidentali è tipico di coloro che hanno molto, troppo, e pertanto vivono nella paura vedendo pericoli ovunque.

Da allora, la graduatoria nella spesa militare non è cambiata nella sostanza, e forse oggi il pericolo maggiormente avvertito da chi si colloca al suo vertice è la domanda di quella parte del mondo che chiede una diversa ripartizione della ricchezza e delle risorse planetarie insieme a quella di quanti hanno già raggiunto uno status e uno spazio che vogliono sia loro riconosciuto.


4 Commenti

  1. Articolo come sempre molto scorrevole e su cui riflettere., In particolare anche io credo molto nell’Europa Carolingia e considero l’allargamento indiscriminato ad est un grave errore… che purtroppo continuiamo a fare.
    Per esser chiari ripeto questa frase che tutti dovrebbero avere ben in testa perchè, come diceva Pitagora, il numero misura la realtà e permette di comprenderne il significato .
    QUOTO “Eppure, da tempo, sono gli altri 18 Paesi comunitari (alcuni con una popolazione inferiore alla provincia di Torino, altri che demograficamente stanno al di sotto della Lombardia) a farsi sentire e ad imporre veti e richieste petulanti. Fra di essi, vi sono nazioni imbevute di un nazionalismo estremo, facenti parte di un’area dove restano vivi gli odi e i rancori insieme alle contrapposizioni etniche di un passato per loro mai trascorso”.
    Non dimentichiamolo e guardiamo a come sbraitano in continuazione le primedonne (in tutti i sensi) dei Paesi Baltici.

  2. Condivido l’articolo di Ladetto (forse solo un po’ ottimista sul tema Cina) ed il commento di Mila. Imbevuti di buon senso. Una piattaforma che esprime posizioni cui mi piacerebbe si ispirasse la politica estera del nostro paese, un po’ sottotono sinora in questi tempi difficili.

  3. Bene! Il nuovo corso che si vorrebbe dare alla pace accontenta tutti, Papa Francesco, le diplomazie ONU, Turkia, Francia, Germania Israele, la linea Salvini, Conte, Travaglio, Sansonetti, Liguori, Sgarbi, ecc. invece Padellaro del Fatto quotidiano, Italia Viva, FI e PD di cui Lorenzo Guerini, per non contraddirsi è diventato ministro della guerra; questi ultimi rappresentano l’eccezione che conferma la regola. Il prossimo passo è licenziare l’intemperante Jean Stoltemberg, mal consigliato dal suo mentore Joe Biden, poi placato dal coraggioso e lungimirante (pro-pace) Mario Draghi. Dobbiamo prepararci per creare una grande e propositiva “Europa Carolingia” (quella dei 9 stati trainanti con l’83% del PIL complessivo, dei 27 attuali) in grado di offrire al mondo un originale miracolo economico, con l’ottimismo ed il pragmatismo lapiriano che ci ha contraddistinto dopo la seconda guerra mondiale: a) indipendenza energetica, b) indipendenza alimentare, c) difesa comune sovranazionale d) una scuola superiore per la formazione dei futuri quadri UE. Se siamo giunti a poter scrivere fatti con più respiro e speranza, il nostro plauso va alle seguenti premesse: “Quando Putin invade l’Ucraina io mi indigno e grido contro Putin perché è un invasore”, dice Piero Sansonetti, chiedendo l’intervento della diplomazia. “Tutto il Parlamento, tranne una decina di deputati, ha votato compatto per mandare le armi in Ucraina: io non so la politica che fine fa di questo passo”, osserva il direttore de Il Riformista. Riprendendo la parola, Paolo Liguori, che condivide l’opinione dell’amico e collega, spinge sulla linea della diplomazia: “Ho sempre detto che bisogna trattare. Attualmente vogliono aprire il dialogo e speriamo che la trattativa finisca in modo positivo”. La verità è che non soltanto Draghi, ma tutti i suoi cloni europei hanno sbagliato a mandare armi in Ucraina, quindi Draghi come tutti i suoi cloni hanno sbagliato. Siamo ammaliati dalla figura dell’uomo forte, senza il quale non riusciamo neppure a respirare, poiché ci fa stare bene il pensiero che egli ci sia come un padre amoroso, che ci coccola nella nostra sfera di comfort. Eppure la storia e i miti sono pieni di aneddoti simili, basti pensare ad Omero nell’Iliade tremila anni fa, ci vediamo tutti con la faccia come i troiani, quando non diedero ascolto a Cassandra e fecero varcare le mura al cavallo! Draghi ha sbagliato non doveva inviare armi a Zelensky, “novello cavallo di Troia”. Il Parlamento italiano ha innescato un furore diseducativo collettivo, dovevamo negoziare subito, invece abbiamo deciso l’aumento delle spese militari più otto miliardi di altro debito pubblico e con lo spread oltre 200 punti. Soltanto d’interessi l’Italia versa nelle casse dell’UE 70 miliardi di Euro/anno. Oltre a mantenere i rifugiati in generale, così facendo il reddito degli italiani scemerà fino al punto da non avere occhi per piangere. Il mondo è eccitato dalla guerra, il guerrafondaio Biden a Putin: “Criminale assassino”. Succede quando chi ci governa non ha soluzioni per i problemi reali di un vivere civile e di pace. Secondo Putin, l’Occidente è malato e ci vuole pulizia, per questo ventimila mercenari occidentali sono in Ucraina. Per resistere all’invasione russa, bambini e ragazzi ucraini imbracciano già il kalashnikov, quindi questi odieranno tutta la vita. Le speranze per un cessate il fuoco sono ridotte al minimo. Per fermare la guerra, dobbiamo ragionare da europei e non da pistoleros yankee ossessionati dalla Cina che ha voglia di diventare leader mondiale. Basta armi e munizioni europee e della Nato al molesto Zelensky, in modo che la smetta di ripetere che combatte per la libertà dell’Europa, non è vero lotta per la sua ambizione che noi occidentali non capiamo, in quanto ragiona da slavo. Per ammissione generale la guerra russo ucraina per un verso è fratricida e per l’altro verso d’interesse commerciale e di mercato, l’intromissione dell’Europa peggiora la situazione, spero che Ursula Vander Linen, lo capisca e persegua la politica negoziale intrapresa Emmanuele Macron e da Olaf Scholz. Martedì 10 maggio 2022, Zelensky parlando al Parlamento slovacco, ha sollecitato il sesto pacchetto delle sanzioni europee contro la Russia, compreso un embargo sul petrolio, così avremmo altri 200.000 disoccupati in più in Italia, e con prezzi di frutta e verdura da capogiro. Il responsabile della politica Estera europea, Josep Borrell (economista spagnolo, membro del PSOE, dal 1º dicembre 2019 ricopre la carica di alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza), ha espresso ottimismo nel rapido raggiungimento di un accordo sull’embargo al petrolio russo, malgrado le obiezioni del premier ungherese Viktor Orban, che a mio avviso devono restare solide. A questo punto sarebbe logico uno SCIOPERO GENERALE, CONTRO LA GUERRA E L’ATTUALE POLITICA UE.
    Il costo per la morte di vite umane, distruzione d’immobili e infrastrutture è incalcolabile, nei panni di Zelensky avrei negoziato senza farmi tentare dal surrettizio diavolo della Nato. La chiave della pace è in mano agli USA, questa guerra non sarebbe iniziata se Stoltenberg, per darsi visibilità e ragion d’essere non si fosse intromesso in un contesto fuori dal suo ruolo, vedi attuali inutili manovre Nato in Svezia e Scandinavia, comprese le sceneggiate del premier inglese Boris Johnson, così facendo al tavolo delle trattative non si giungerà mai. Sono molto critico con Biden, ha causato un altro grosso errore dopo l’abbandono dell’Afghanistan, inoltre le divisive ed ostili Nancy Pelosi & Tracy Biden, fanno show in Ucraina, provocando l’irritabilità di Putin. Soltanto Papa Francesco ha il carisma per fermare i pericolosi siparietti USA, con questo passo e modo d’agire provocatorio la guerra assumerebbe aspetti devastanti. Si spera che quando prima esploda lo scandalo di intrallazzi Ucraini ante guerra, che emergeranno dal pc di Hunter Biden già nelle mani dell’FBI. A meno di fatti nuovi saremmo costretti ad acquistare NGL USA a 90 cent/mc, in alternativa a quello russo a 5 cent/mc. La Pax cristiana va accettata ad ogni costo con la ragione, per la salvezza dell’Europa, gli USA devono capire che la pax americana è finita con la caduta del muro di Berlino, pari a quella romana di antica memoria. L’intromissione Americana pesa e peserà molto sull’Europa, in particolar modo sullo spread e il debito pubblico dell’Italia, per la troppa accondiscendenza di Draghi verso gli USA. Visto che l’UE va riorganizzata, troppi veti di staterelli ne condizionano lo sviluppo alla pari dei trattati di Maastricht e Schengen, l’eventuale allargamento ad altri stati deve avvenire preventivamente con referendum popolare, 27 Paesi sono troppi, mal governati e rappresentati, perciò a mio avviso l’Ucraina dovrà fare il mea culpa, riappacificarsi con Putin e aspettare che le acque si calmino. Se escludiamo gli USA, mezza Europa e il resto del mondo non vogliono la guerra.

  4. Condivido l’articolo di Ladetto nella sua complessiva impostazione ed il commento di Mila. In particolare la convinzione che l’unica salvezza per l’Europa nel contesto geopolitico presente sia data, lo dissi anche in altre occasioni (si veda in particolare il mio commento del 13 maggio 2019 all’articolo di Ladetto “Il miraggio di uno Stato unitario europeo” del 2 maggio 2019 ed il mio articolo, pubblicato su Rinascita Popolare del marzo 2021, intitolato “L’Europa supera l’anarcocapitalismo se diventa Stato Federale”).
    Con questo articolo ritengo che Ladetto abbia dato un ulteriore contributo ad una specificazione geografico-culturale di un’ipotetica realistica Federazione Europea, che anch’io vedrei bene nella c.d. Europa carolingia allargata.
    Ritengo però che un’effettiva costruzione europea non possa prescindere dalla creazione di un’anima nuova europea unitaria (cosa che è storicamentre sempre successa ogniqualvolta si è costituituito un nuovo stato, proprio per dargli un’anima unitaria) che “neutralizzi”, nel nome di una nuova nazione poliglotta europea (ma rifutante una lingua unica ufficiale che non sia meramente veicolare, come ora accade in sede UE), le differenze proprie delle singole ex nazioni sovrane coinvolte, dando ad esse una sorta di differenziazione “macroregionale” per l’affermarsi di una nuova cultura identificatrice e unificatrice da un lato e neutralizzate la visione del mondo di matrice americana di cui parlai del mio commento del 13 maggio 2019 in cui veniva negata come perniciosa per un’unità continentale europea la spinta concezione dell’”uomo ad una dimensione”. Una visione sostanzialmente esaltante la “non naturalità” dello homo humanus ed esaltante la necessità della transumanazione nella forma dello stesso da fruitore di mezzi tecnici in soggetto asservito allo sviluppo tecnico, che altro non è che la natura profonda del banale (e superficialmente visto come innocuo strumento di benessere di massa) consumismo.
    Senza una tale originale (e quindi non imposta da altre superpotenze) operazione culturale l’Europa non potrà mai avere un posto nel mondo che non sia quello del “cagnolino degli USA”. L’unico che, stando alle regole dell’antropologia, gli può competere.
    L’attuale guerra tra la Nato e la Russia per interposta Ucraina mette bene in evidenza tutto ciò e ci fa capire che gli interessi vitali deli stati, massime se vogliomo avere certe dimensioni, sono dati anche e sprattutto da questioni dello spirito e di immagini di se stessi e del mondo, non solo di fatti economici. Ce lo spiegano bene gli analisti geopolitici che, magari in forma un po’ cinica, sanno che dello spirito non si può fare a meno per vitalizzare i popoli. E che dalla qualità di questo dipende la felicità dei popoli stessi.
    Per chiarire meglio cito questo mio brano del 13 maggio 2022:
    “Purtroppo l’antropologia e la storia ci insegnano che la realtà umana può essere governata solo dalla (retta) politica, il cui compito è proprio quello di “dare giustizia” mediante l’esercizio della sovranità sull’intera collettività, e non di dare acriticamente patenti di salvatori del mondo a tutti coloro che raggiungono grandi successi imprenditoriali, e che questa (la politica, successiva n.d.r.) è scienza umanistica che va ben oltre il solo fatto economico (indubbiamente fondamentale per le società umane, ma in termini strumentali, non finali) per cui non si può prescindere, come ci dice Braudel, dal lungo periodo che, inconsciamente, deposita nelle scelte degli appartenenti alle diverse civitates sovrane determinante valutazioni di ciò che è (rectius: dovrebbe essere) bene e di ciò che è (rectius: dovrebbe essere valutato come) male per la comunità politica di appartenenza e, conseguentemente, anche dove finisce il concittadino, cioè colui che è legato allo stesso criterio di giudizio (alias sistema di valori, successiva ndr.) sociale, e dove inizia lo straniero, cioè colui che è considerato estraneo alla civitas in quanto agisce secondo un diverso criterio di giudizio (alias sistema di valori, successiva ndr.) sociale.”

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