Evitiamo di demonizzare la Russia



Giuseppe Ladetto    16 Marzo 2022       13

Su “Rinascita popolare” abbiamo letto vari contributi volti a dare una rappresentazione dei fatti ucraini sottratta all’unilateralismo che sta caratterizzando i media di casa nostra. Il vivace dibattito che ne è seguito mostra quanto sia stimolante il ruolo del nostro giornale online. Non avendo più molto di specifico da aggiungere a quanto detto, vorrei tentare di inquadrare i fatti a cui assistiamo in una dimensione di ordine più generale.

Con riferimento alla crisi ucraina, la più parte dei media e dei politici europei contrappone l’Occidente alla Russia: l’Occidente è la democrazia, la Russia putiniana la dittatura; l’Occidente è il bene, Putin il male. Nella prima contrapposizione, emerge sempre quel rozzo schematismo incapace di riconoscere che i sistemi istituzionali affermatisi nel corso della storia e presenti nei vari Paesi non sono solo due, ma molteplici (in relazione alla cultura e storia di ciascuno), uno schematismo inoltre non idoneo ad interpretare correttamente le dinamiche internazionali. Nella seconda, si afferma l’ideologizzazione del conflitto in corso, ma, ci dice Lucio Caracciolo, interpretare i conflitti territoriali ricorrendo a categorie ideologiche o morali significa condannarsi a non comprendere quanto avviene.

Come ha evidenziato John Mearsheimer, mentre i più, specie in Occidente, descrivono i conflitti in cui sono coinvolti come scontri tra il bene ed il male, e la guerra come una crociata etica o una contesa ideologica, la realtà è ben diversa perché si tratta sempre di lotte per il potere e per lo spazio geopolitico. Infatti, tutti i gruppi dirigenti che danno forma alla politica nazionale parlano la lingua della potenza e non dei principi, muovendosi nel sistema internazionale secondo i dettami della Realpolitik.

Qualcuno dirà che c’è molta differenza tra l’agire di Russia e Cina e i modi con cui gli Stati Uniti affrontano i problemi, anche di natura geopolitica. Secondo Joseph Nye (studioso di relazioni internazionali), tutte le grandi e medie potenze hanno una loro sfera di influenza che mirano ad accrescere o almeno a mantenere. Per raggiungere questo obiettivo devono essere in grado di indurre o costringere ad agire in base alle proprie aspettative i Paesi che ne fanno parte. Per fare ciò, ricorrono alle armi, alla forza economica e finanziaria, o alla capacità di attrazione e di persuasione. Tutte le potenze fanno propri tali mezzi, sia pure in diversa misura, a seconda delle circostanze. Russia e Cina, Paesi di più recente modernizzazione, hanno limitata capacità di attrazione e debbono affidarsi prevalentemente agli altri strumenti. Gli Stati Uniti invece dispongono del potere militare, dell’attrattiva e degli strumenti economici e finanziari. Preferiscono fare assegnamento (potendolo fare) sulla convinzione e sui mezzi economico-finanziari, ma hanno sempre fatto e fanno ricorso, quando i risultati con i predetti mezzi sono insufficienti, alla forza militare e alla violenza.

Come esempio a sostegno della tesi di Nye, mi limito a prendere in considerazione la politica degli Stati Uniti, nella seconda metà del Novecento, verso l’America latina (considerata “cosa loro” fin dal tempo di Monroe): è una politica costellata talora da interventi militari diretti, più spesso da misure economiche di destabilizzazione (fino all’imposizione del blocco a Cuba), ma frequentemente dalla organizzazione o dal sostegno di golpe militari sempre rivelatisi generatori di regimi fortemente dispotici e sanguinari.

Per alcuni fautori della globalizzazione, appartiene ad un pensiero ottocentesco l’idea che un Paese, ritenendosi una potenza (nel caso citano la Russia), ambisca a possedere aree di influenza fondate su presupposti storici, culturali, economici e militari. Ci dicono infatti che, nel mondo moderno teso a superare ogni confine, sono i riferimenti economici, giuridici e i valori propugnati a definire gli assetti, mentre a muovere le cose sono le logiche di mercato. A parte il fatto che questa è una rappresentazione che di fatto accantona la politica e quindi ogni forma di democrazia, debbo dire che (anche se in Europa molti si cullano in questa sorta di utopia forse per nascondere la propria impotenza politica) ancora oggi tutte le grandi e medie potenze continuano a porsi come primo obiettivo la difesa del proprio territorio creandosi, al di là dei propri confini, uno spazio di cui avere il controllo o su cui esercitare influenza.

Pertanto è bene guardare i fatti per quello che sono, lasciando da parte ogni interpretazione ideologica degli eventi. Ciò non vuol dire che, nei conflitti per motivazioni palesemente geopolitiche, non ci siano differenti responsabilità, e che le ragioni e i torti si distribuiscano pariteticamente. Il bilancio può pendere più da una parte che dall’altra, ma ricordiamoci che mai torti e ragioni si separano con un taglio netto.

Per questo, pur ritenendo che Putin abbia fatto gravi errori e intrapreso passi assai pericolosi, ritengo saggio evitare la demonizzazione in atto nei confronti della Russia. Fra i molti motivi che devono condurci a mettere da parte ogni interpretazione ideologica di questo conflitto (e dei conflitti in generale), ce n’è uno di particolare rilevanza.

Nei classici conflitti per interessi geopolitici (guerre comprese), alla fine si arriva a dei compromessi che registrano i rapporti di forze sul campo. Chi ha visto andare le cose non nella direzione voluta, per evitare il peggio, accetta di pagare pegno, ma richiede che gli sia garantita la sopravvivenza e gli siano riconosciute le proprie esigenze vitali. Così, in campo internazionale sono andate a lungo le cose. Non più da quando (a partire dalla Prima guerra mondiale) si è dato sempre più spazio nei contrasti alle motivazioni ideologiche.

Nei conflitti ideologici, chi ritiene di incarnare il bene contro il male vuole la distruzione degli avversari, cancellarli dal mondo (oggi già si parla di tribunali internazionali per i responsabili della guerra). Coloro che comprendono che la partita non si mette bene per loro, sapendo che si tratta di lottare per la vita e per la morte, combatteranno fino all’ultimo respiro. Entrambi i contendenti ricorreranno ad ogni mezzo, ad ogni arma. Qui nasce il rischio dell’impiego delle bombe nucleari (che ricordiamoci sono già state usate, e per giunta su obiettivi civili, contro un Paese, il Giappone, che era determinato a combattere fino all’ultimo uomo non potendo accettare la capitolazione, ritenuta disonorevole). Ma, da quando si sono affermate le motivazioni ideologiche a giustificazione delle guerre, l’unico esito concepito è la resa incondizionata del nemico: non c’è più spazio per armistizi e trattati che non siano pure e semplici imposizioni.

Henry Kissinger sovente cita come esempio di lungimiranza e di razionalità politica il Congresso di Vienna del 1815. Dopo più di 20 anni in cui la Francia rivoluzionaria e poi napoleonica aveva portato con i suoi soldati la guerra in tutto il continente europeo, uscendone alla fine sconfitta, le monarchie europee accettarono la presenza paritetica di una delegazione francese al Congresso dove il Paese vinto non venne assolutamente penalizzato, perché lo scopo era trovare un assetto equilibrato tra le potenze europee che garantisse la pace, ciò che è avvenuto per lungo tempo.

Al contrario, al termine della Prima guerra mondiale (della quale tutte le potenze portavano responsabilità), i vincitori vollero imporre alla Germania, indicata come unica responsabile, una pace cartaginese. Keynes, presente (come rappresentante del ministero del tesoro britannico) alla Conferenza della pace di Parigi del 1919, che elaborò il Trattato di Versailles, scrisse che quel trattato (definito odioso e ripugnante perché teso a ridurre la Germania in servitù), invece di trasformare il Paese sconfitto in un buon vicino, aveva posto le basi per una nuova inevitabile guerra nei prossimi 20 anni. Ciò che poi avvenne.

Quanto alla Russia, bisogna vedere come si è giunti alla situazione attuale e quali siano le relative responsabilità. Le aperture di Gorbaciov e successivamente la dissoluzione dell’Unione Sovietica avrebbero potuto dare inizio a un capitolo nuovo di collaborazione in un’Europa che andasse dall’Atlantico agli Urali (come immaginato da De Gaulle). Ma in America, si preferì (a partire da Clinton) sostenere il più a lungo possibile un Eltsin che lasciava campo libero ai saccheggiatori (interni ed esterni) del Paese e manometteva totalmente gli esiti delle consultazioni elettorali. In seguito, man mano che la Russia (con Putin e non solo) riprendeva il controllo di se stessa, la si è messa progressivamente nell’angolo. In parallelo, si è estesa la NATO sempre più a est (venendo meno agli impegni, sia pure solo verbali ma pubblici, presi da Bush padre), e deciso, nel 2004, di posizionare in Polonia ed altri Paesi dell’Est europeo, lo scudo antimissili (rompendo l’equilibrio esistente) con il pretesto risibile di difendere l’Europa dai missili nordcoreani ed iraniani. Una strada non certo tesa a porre le basi di una convivenza serena e inclusiva. I sospetti e la reciproca sfiducia che si sono così determinati hanno poi contribuito a indurre sia l’una, sia l’altra parte a fare passi poco meditati, talora provocazioni, fino al muro contro muro che ha preceduto l’ingresso dell’armata russa nel territorio ucraino.

Il clima surriscaldato (ai limiti dell’isterismo) a cui assistiamo in questi giorni è benzina gettata sul fuoco: non aiuta gli uomini di governo e i politici a prendere decisioni ponderate, e alimenta un clima interno di intolleranza che conduce a soffocare ogni voce non in sintonia con la versione dominante. Oggi, invece, sono indispensabili sangue freddo, razionalità e realismo. Nessuno deve essere messo con le spalle al muro. L’obiettivo è ricercare un assetto equilibrato che riconosca le necessità di tutti (in primo luogo difensive, essendo la sopravvivenza il primo obiettivo di ogni Stato).

Come infatti ci ricordano Kissinger e Mearsheimer, assertori del realismo politico, la pace puoi assicurarla solo realizzando un equilibrio tra le potenze al di fuori di ogni contrapposizione su base ideologica e di qualsivoglia presunzione di possedere la verità (e volontà di essere il poliziotto del mondo). Sarebbe auspicabile che l’Europa comunitaria si attivasse nella ricerca di un tale equilibrio per esserne una autonoma protagonista e per occupare lo spazio che le spetta nel quadro internazionale.

Quanto all’Ucraina, la ragionevolezza, la storia, la presenza di una vasta componente russa della popolazione e la stessa economia avrebbero imposto (e ciò vale ancora oggi) di farne un ponte tra Russia ed Europa comunitaria. Invece, se ne è voluta fare una pistola puntata contro Mosca. Un disegno che viene da lontano, visto che il primo a teorizzarlo è stato Zbigniew Brzezinski (consigliere del presidente Carter, personaggio molto ascoltato in casa democratica), un disegno da lui riproposto con successo a Obama nel 2011.

Certo Putin è chiamato a rispondere dei suoi odierni atti di guerra, ma teniamo ben presente che non si sarebbe mai arrivati a questo punto senza il precedente irragionevole cammino di cui altri conservano una pesante responsabilità.


13 Commenti

  1. forse Lei si dimentica che, prima della “pistola puntata”, ci sono stati 70 anni di dittatura ed è per questo che NESSUN Paese ex Unione sovietica è voluta rientrare sotto l’influenza russa, tutti hanno detto: no grazie, noi abbiamo già dato.
    Per il resto ho provato n po’ di disagio nel leggere sulla rivista dei popolari questo articolo che non fa cenno alcuno ai milioni di sfollati, alle migliaia di case distrutte, ai bambini e alle donne uccise anche quando facevano la fila da ore per prendere un po’ di pane….
    Io capisco la necessità di volersi sempre distinguere dagli altri (fa figo fare l’intellettuale), ma qui siamo di fronte ad un disastro di portata mondiale e questi distinguo non li posso proprio accettare.

  2. Egr. G. Ladetto,
    non saprei dire se quel che Lei sostiene come cause e concause dell’aggressione all’Ucraina corrisponda veramente alla verità. A me pare che la sua sia anch’essa una visione di parte. Non mi meraviglia del resto: la Verità non è un obiettivo della politica. L’obiettivo della politica è il potere, tanto per aderire al suo invito di tenere i piedi per terra. E non solo il potere: ma tutti i benefit che da esso provengono e cioè dominio sociale ed economico. In certi paesi poi, come del resto in Italia, i politici, non tutti ovviamente, si caratterizzano non solo per la ‘’ voglia ‘’ di potere ( vedi Nicola Zingaretti ), ma soprattutto per il ‘’mammona‘’ che questo potere permette e non certo per l’interesse del paese. Non tutti ribadisco: ad esempio Mario Draghi e i suoi sono certamente fuori da questo giro!
    Ora per tornare all’argomento resta il fatto che l’aggressore si chiama Vladimir Putin, che l’esercito aggressore è russo, che l’aggredita è l’Ucraina e che le vittime sono i civili ucraini! (Pulizia etnica?) Semplicistico? Può darsi. Forse bisognerebbe chiederlo alle mamme ucraine che hanno visto i figli uccisi, ai mariti le mogli uccise e le case distrutte.
    Buona giornata

  3. Come sempre Ladetto centra il problema.
    La Rivoluzione americana e quella francese hanno lasciato all’occidente una visione escatologico-mondana della storia e della politica coerentemente con l’idea che l’uomo, illuminato da rette idee, può trasformarsi nel salvatore di se stesso e “trasformare il mondo in un pantheon” e “gli uomini in dii mutare”.
    Tale atto di fede, visibilmente ingenuo ma molto affascinante, che pretendeva di sostituire alla pratica religiosa la pratica politica, intesa essa stessa come una sorta di nuova religione, fu a lungo criticata ma storicamente riempì, e continua a riempire come luogo comune, le menti degli uomini di cultura europea noncurante delle critiche di astrattezza e dei limiti della natura umana, che dovrebbero rendere evidenti i limiti di tale dottrina che pure, pragmaticamente intesa, quindi al di là delle fantasiose costruzioni teoriche che ne stavano alla base, diede non pochi frutti positivi alla civiltà occidentale.
    Sta di fatto che la sua versione, ora liberale e pluralista e ora totalitaria, applicata in Europa uscì con le ossa rotte dal tragico periodo, delimitato dalle due guerre mondiali, tra gli anni 1914-1945.
    Ne uscirono trionfanti nella prassi politica la versione liberaldemocratica statunitense, frutto di una storia, molto più breve per condizionamenti storici e sociali, e quindi molto diversa da quella europea negli esiti pratici, ed una versione totalitaria comunista-sovietica.
    Comuni alla prassi americana (adottata quasi automaticamente dall’occidente europeo, frustrato dal fallimento delle autodistruttive prassi politiche europee, cariche di fanatico revanscismo nazionalistico, e non solo nelle versioni totalitarie fasciste e naziste) e a quella sovietica era l’affermzione che il sistema politico adottato per sua natura fosse portatore di felicità. Era quindi guerra ideologica tra civiltà, che solgo chiamare “romaniche” (cultura di base: filosofia greca, diritto romano, cristianesimo e successivi sviluppi filosofici razionalistico-scientifici), d’occidente e d’Oriente.
    Con la caduta del muro di Berlino tutto ciò decadde, l’occidente predicò una prassi anarco-capitalista (si vedano i miei scritti gentilmente pubblicati da Alleanza Popolare) che, predicando la morte delle ideologie politiche (da me intese come concezione escatologico-mondana della politica), predicava una nuova forma di escatologismo mondano nella forma del dominio degli operatori del mercato sull’ancillata politica, ridotta (illusoriamente) a garantire strutture di supporto al primato del dominio economico (globale).
    Giustamente Ladetto afferma come centrale il fatto che l’ideologismo occidentale (quello orientale, com’è noto, il totalitarismo comunista sovietico, è morto nel 1989), sopravvissuto, non come ideologia politica, ma come ideologia antipolitica di stampo economico, nel senso di dare il primato nel processo di liberazione dell’umanità al processo economico gestito dal mercato sopra tutto, anziché al processo politico.
    E giustamente fa poi discendere da ciò il fatto che la cultura occidentale è condannata, diventando così a priori perdente, a valutare la portata dei fatti storici in base ad “rozzo schematismo incapace di riconoscere che i sistemi istituzionali affermatisi nel corso della storia e presenti nei vari Paesi non sono solo due, ma molteplici (in relazione alla cultura e storia di ciascuno), uno schematismo inoltre non idoneo ad interpretare correttamente le dinamiche internazionali” e, aggiungerei, soprattutto a correttamente agire nelle suddette dinamiche nei conflitti territoriali.
    E che gli schemi ideologici siano rozzi lo può vedere qualsiasi accorto osservatore della realtà storico-politica. E’ sufficiente meditare quanto spesso le costituzioni sostanziali degli stati (le reali fotografie dei mores, e quindi del modus operandi sociale di ciascun popolo, talora addirittura all’intrerno di uno stesso stato sovrano) differiscono da quelle formali, obbedendo a criteri di inconsci schemi culturali affermatisi nelle abitudini mentali e comportamentali di ciascun popolo del mondo, dando luogo, in certi casi patologici, a divaricazioni che fanno apparire la costituzione formale una mera ipocrisia.
    Assurda è quindi la presunzione di impostare il rapporto tra stati e civiltà, ognuna specifica, come lotta tra il bene ed il male ergendosi, al di fuori dell’umanità, a giudice super partes, quando ognuno di noi, e questo sì che è umano, non può che apprezzare la proria formazione e la cultura di cui fa parte, ponendosi, nei rapporti con le altre culture esistenti, che piacciano o meno, nell’atteggiamento del homo sum et nihil humani a me alienum puto, che, prima ancor prima di essere un caritatevole atto di tolleranza, è un atto di intelligenza, proprio per quanto sopra osservato da Ladetto.
    Le conclusioni di Ladetto, che a prima vista sembrerebbero banali, tali in effetti non sono per nulla, se teniamo conto appunto della pregiudiziale ideologica così diffusa in occidente che dimentica molto facilmente che accanto ai valori ci sono gli interessi che, come dice un detto, “non intendono ragione”. E l’unico modo per non trasformare il mondo in un bellum omnium contra omnes, magari ai limiti dell’autodistruzione, è proprio quello, alla fine, di “arrivare a dei compromessi che registrano i rapporti di forze sul campo. Chi ha visto andare le cose non nella direzione voluta, per evitare il peggio, accetta di pagare pegno, ma richiede che gli sia garantita la sopravvivenza e gli siano riconosciute le proprie esigenze vitali.”

  4. La discussione su questo piccolo saggio di geopolitica di Ladetto credo sia una dimostrazione da manuale del fatto che la gente reagisce a ciò che la tv mostra. I tg, come ha riconosciuto persino un’inviata di guerra come Lucia Goracci, fanno un giornalismo che punta all’emotività, non alla comprensione di ciò che avviene. Dovrebbero essere i partiti a orientare l’opinione pubblica, ma a loro volta i partiti definiscono le loro posizioni da ciò che i media vogliono far vedere. Così si crea un corto circuito da cui è difficilissimo uscire.

  5. Sono basito da questa lezione di storia importante ma che sostanzialmente concede a Putin motivazioni per una vile aggressione di un popolo che non condivide più sistemi sovietici. Una guerra dichiarata ad un popolo che non deve decidere come vuole vivere perché deve sottostare alla forza bruta e agli equilibri internazionali che essi non devono trattare ma soltanto subire. Mi dispiace ma dissento e non condivido le brute necessità degli equilibri internazionali imposti da nazioni prepotenti. Ammiro e mi commuovo per l’eroica resistenza di un popolo con le “palle” che non intende subire questo schifo di violenza russa.

  6. Non conosco personalmente né Franco Protasio Rolfo né Santo Bressani Doldi, ma il fatto che siano in questa comunità e che abbiano espresso il loro pensiero li qualifica come persone a modo e sensibili. Proprio per questo penso che molta strada sia ancora da fare per modificare i dettami di una informazione sulla politica estera molto settaria ed a senso unico. Altrimenti non mi spiego i loro commenti “sulla difensiva” nei confronti dell’articolo di Ladetto. Un articolo molto complesso che tocca temi sensibili e lo fa con scioltezza nello scrivere. E’ complesso e va riletto diverse volte per comprenderne appieno il senso. Mi limito a far presente due passaggi molto significativi sui quali tutti noi non dovremmo aver dubbi e tutti dovremmo essere un pò preoccupati, specie quando si rilegge il secondo passaggio.
    1) primo passaggio di Ladetto
    Quanto alla Russia, bisogna vedere come si è giunti alla situazione attuale e quali siano le relative responsabilità. Le aperture di Gorbaciov e successivamente la dissoluzione dell’Unione Sovietica avrebbero potuto dare inizio a un capitolo nuovo di collaborazione in un’Europa che andasse dall’Atlantico agli Urali (come immaginato da De Gaulle). Ma in America, si preferì (a partire da Clinton) sostenere il più a lungo possibile un Eltsin che lasciava campo libero ai saccheggiatori (interni ed esterni) del Paese e manometteva totalmente gli esiti delle consultazioni elettorali.
    2) secondo passaggio di Ladetto
    Per alcuni fautori della globalizzazione, appartiene ad un pensiero ottocentesco l’idea che un Paese, ritenendosi una potenza (nel caso citato la Russia), ambisca a possedere aree di influenza fondate su presupposti storici, culturali, economici e militari. Ci dicono infatti che, nel mondo moderno teso a superare ogni confine, sono i riferimenti economici, giuridici e i valori propugnati a definire gli assetti, mentre a muovere le cose sono le logiche di mercato. A parte il fatto che questa è una rappresentazione che di fatto accantona la politica e quindi ogni forma di democrazia, ….

  7. Il ragionamento sviluppato nell’articolo sarebbe condivisibile se fosse valido il presupposto implicito sui cui si basa: ovvero l’idea di una Russia che viene vista come un orsacchiotto normalmente tranquillo e amichevole. Ma che essendo stato impaurito da attività ostili ai suoi
    confini è stato costretto a mostrare i denti e a scagliarsi contro i vicini.

    E’ un presupposto un po’ ingenuo e limitato anche perchè accoglie in toto la visione che la
    propaganda russa diffonde da sempre attraverso i suoi attivissimi ed efficacissimi “influencer”.

    Mi lascia dunque perplesso la conclusione perentoria che di fatto addossa ogni responsabilità
    causale agli errori dell’occidente.

    La realtà è più complessa e meno rassicurante: al di là degli eventi contingenti c’è una evidente
    volontà da parte della Russia (intesa non come popolo ma come oligarchia che la governa) di tornare
    ad essere una “potenza” in grado di espandere la sua influenza economica e politica molto al di là dei suoi confini attuali. E lo fa con la consapevolezza di incarnare un modello culturale e politico assolutamente alternativo (e in opposizione) al modello democratico e liberale dell’occidente.

    E’ una volontà di potenza sicuramente velleitaria e che difficilmente riuscirà a coinvolgere la stessa popolazione Russa ma aiuta a capire meglio i fatti tragici di queste settimane.

    Quindi no: non è colpa della Nato o degli USA se la Russia ha invaso l’Ucraina. Si deve fare di tutto per avere la pace ma si deve anche essere consapevoli del fatto che sarà una partita lunga e complessa che va al di là dell’Ucraina.

  8. Condivido il commento di Beppe Mila e aggiungo solo che, purtroppo, quando succedono fatti tragici come la brutale aggressione della Russia di Putin all’Ucraina (la quale ultima per la verità mi è parsa piuttosto ingenua ad esporsi lungamente, al di là della debita prudenza, nei suoi rapporti con le sirene occidentali che, inevitabilmente per via gli effetti a catena che avrebbe sortito, nel momento del bisogno d’aiuto militare, che comporta cobelligeranza, c’era da aspettarsi che l’abbandonassero) è inevitabile che ci sia una certa “schizofrenia” tra momento sentimentale e umano (che al di là di ogni calcolo politico o economico richiede la massima disponibilità verso i profughi operando umanitariamente) e quello della fredda analisi razionale, che non può avere come oggetto che il massimo contenimento del danno, senza neppure indugiare sulla ricerca delle colpe FINCHE’ LA CRISI E’ IN ATTO E I DANNI CAUSATI POTREBBERO ACCRESCERSCI SENZA LIMITE.

  9. Devo una risposta ai commenti critici (sempre benvenuti perché di essi si alimenta ogni dibattito) a partire da quelli di Franco Protasio Rolfo e Santo Bressani Doldi.
    In questo e in un precedente articolo, ho scritto che la responsabilità di Putin è, e resta grave per aver dato inizio ad una operazione militare di cui ha sottovalutato la portata e le conseguenze. Non è questa tuttavia una ragione per demonizzarlo. Infatti, in questa come in ogni altra occasione, con chiunque, bisogna sempre evitare di farlo perché peggiora le cose, ed è comunque di ostacolo al raggiungimento di soluzioni di compromesso, le sole che possono portare a qualche risultato utile.
    Nella ricostruzione degli eventi che hanno condotto a questa guerra, teniamo presente che (come capita sempre) le responsabilità non sono mai attribuibili ad una sola parte. A mettere in risalto quelle russe, bastano e avanzano già i media di casa nostra, tutti allineati a dare voce alla rappresentazione main stream dominante in Occidente. Pertanto, ho ritenuto opportuno prendere in considerazione anche le possibili ragioni dell’altro soggetto in causa (parte delle quali, non solo a me, sembrano fondate).
    I milioni di sfollati, le migliaia di case distrutte, i bambini e le donne uccise anche quando facevano la fila da ore per prendere un po’ di pane sono il drammatico spettacolo di tutte le guerre da chiunque intraprese. Ricordiamoci gli anni di guerra in Vietnam (con milioni di morti sotto i bombardamenti, in larga parte civili), le guerre per “esportare la democrazia” (che in Medio Oriente e Nord Africa hanno lasciato dietro di sé centinaia di migliaia di vittime e devastazioni materiali, economiche e sociali non ancora rimarginate), le guerre afgane (sia sovietiche che americane) e pure la guerra in Jugoslavia dove a bombardare Belgrado e dintorni per oltre due mesi, c’eravamo anche noi. Per scongiurare queste tragedie, bisogna fare di tutto per evitare le guerre: non iniziarle, non provocarle, non alimentare i contrasti, e, se scoppiano, trovare soluzioni per fermarle.
    All’amico Giuseppe Cicoria, voglio ricordare che da sempre una pace durevole riposa sul raggiungimento di un equilibrio tra le potenze soddisfacente per tutte o almeno non penalizzante di alcuna. Ciò comporta che talune piccole nazioni si adattino a questa esigenza? Sì, purché vengano rispettate le loro necessità e la loro identità, come è stato il caso della Finlandia in questo ultimo settantennio.
    Ad Efisio Bova, e a quanti condividono le sue argomentazioni, chiederei come si possa ritenere la Russia in grado di realizzare il progetto espansivo a lei attribuito e di minacciare l’Europa quando è una nazione con un Pil inferiore a quello del Benelux, una popolazione grandemente al di sotto di quella della UE, e una forza militare (nucleare a parte, dagli evidenti limiti di impiego) certamente sopravvalutata (lo si vede oggi in Ucraina), essendo, in effetti, pari o di poco superiore già a quella francese o britannica, figuriamoci se rapportata all’intera UE (se ne avesse una in autonomia) o alla Nato.
    E’ vero che la Russia intende incarnare un modello culturale e politico alternativo al modello liberaldemocratico dell’occidente (anche per averlo sperimentato con Eltsin). Ciò vale pure per la Cina e per molti paesi emergenti. Il fatto è che, a voler imporre il proprio modello al mondo intero, non è né la Russia, né la Cina, né alcuno dei paesi emergenti; sono altri a volerlo fare, impegnandosi, come sogliono dire, ad “esportare la democrazia”.

    • Volentieri rispondo all’amico Ladetto che pone una interessante domanda che ci aiuta ad andare al cuore del problema.

      Non è detto che la Russia sia in grado di realizzare l’espansione della sua area di influenza. Anzi, ci sono tanti elementi di debolezza sul piano demografico, economico, culturale, tecnologico… che rendono il progetto decisamente velleitario.

      E’ però certo che farà di tutto per realizzarlo utilizzando tutti i mezzi e tutta la forza a sua disposizione: come ha fatto in questi 20 anni dalla caduta del muro e come sta facendo in modo drammatico in queste ore. E fra i mezzi a sua disposizione c’è un potenziale militare e nucleare inferiore ma comparabile a quello della Nato.

      Sarebbe un errore (soprattutto davanti ai fatti di questi giorni) considerare la Russia un orsacchiotto pacifico interessato solo a difendere i suoi confini.

      In questo anni ha usato il suo potenziale militare per sedare con brutale violenza l’aspirazione alla libertà di molti popoli. Un breve elenco (dal 1989) per aiutare la memoria:
      Georgia 91-93
      Moldavia 92
      Inguscezia 92
      Tagikistan 92 – 97
      Cecenia 94 – 96
      Cecenia 99 – 2000
      Georgia 2008
      a cui aggiungiamo repressioni sanguinose di proteste popolari varie in Daghestan, Inguscezia, Kabardino-Balkaria e Ossezia del Nord, Bielorussia e Kazakistan.

      In sintesi la Russia laddove può farlo (o pensa di poterlo fare) utilizza la forza bruta. Nei confronti dell’occidente ha comunque avvisto una guerra ma sta utilizzando, con molta efficacia, un mezzo diverso la propaganda. La propaganda ha obiettivi chiari ed evidenti fra i quali:
      – indebolire l’Europa tenendola divisa
      – indebolire le singole nazioni fomentando divisioni interne
      I notevoli interessi economici in ballo nell’ambito dei rapporti commerciali con la Russia
      credo che abbiano irresponsabilmente prestato il fianco alla propaganda Russa insieme a qualche politico cialtrone.

      A questo quadro instabile e con elementi di pericolosità si aggiunge il fatto che proprio Putin sta dimostrando di essere un interlocutore spregiudicato e non del tutto razionale.
      Forse è l’elemento di debolezza che lo porterà a breve a capitolare, forse no… ma bisogna tenerne conto.

      La priorità tattica e strategica deve proprio essere quella di indebolire (e va benissimo demonizzarlo) Putin (e il suo cerchio ristretto) e favorire una transizione (per quanto piena di incognite) all’interno del governo Russo.

      A detta di tutti gli analisti la Russia ha già perso dal punto di vista strategico e non ha grandi chance dal punto di vista tattico-militare: ma sarebbe miope pensare ad un semplice contenimento immolando alla nostra tranquillità i suoi popoli confinanti, popoli che stanno dimostrando con il sangue di voler essere “liberi e forti”.

  10. “De Gaulle sognava un’Europa estesa dall’Atlantico agli Urali” e Churchill deplorava la cesura che aveva diviso il continente: soffriva per la discesa della cortina di ferro non se ne compiaceva. I due grandi avevano coscienza che la Russia aveva sempre rappresentato culturalmente un’alterità in seno all’Europa: ma si trattava di un’alterità che, in virtù di quei misteriosi paradossi della storia, irriducibile epistemologicamente alle astrazioni interpretative che conducono inevitabilmente a rappresentazioni schematiche e manichee della realtà, dell’identità europea era ed è parte integrante. La grande stagione del romanzo russo, le arti figurative con le loro avanguardie, la musica che armonizza le solide strutture della tradizione tedesca (e in misura minore italiana) con il profumo del fascino slavo: sono parte della ricchezza culturale e antropologica europea. La coscienza europea sarebbe monca e povera senza Tolstoj e Pushkin, senza Chagall e Kandinsky, senza Tchaikovsky e Rachmaninov. Rimando a un mio successivo intervento alcune considerazioni di natura geopolitica (che saranno prive di certezze granitiche: mai come in questo momento è richiesto il dubbio metodico di bobbiana memoria) ma mi limito qui a dire che alcuni snodi dell’analisi di Ladetto costituiscono gli ancoraggi per qualsiasi seria discussione: naturalmente ne potranno derivare conclusioni diverse o divergenti ma sarebbe peraltro sbagliato prendere le mosse dalle conclusioni; e in questo senso l’impostazione di Ladetto (e di molti altri commentatori che escono allo scoperto in questi giorni drammatici) è strutturalmente e logicamente ineccepibile. Ma mi preme sottolineare l’importanza della koiné culturale comune a cui tutti apparteniamo: potrà assecondare, quando e se la diplomazia avrà spento l’incendio, la nascita di un nuovo modello di relazioni fra Occidente e Russia? Ma che cosa è “Occidente”? Il mondo slavo non è parte forse di un Occidente allargato? Rischiando per giunta di condividerne il declino si chiederebbe maliziosamente Spengler. Risuona davvero stonato, pericoloso, meschino, razzista questo atteggiamento che serpeggia un po’ ovunque carico di ostilità preconcetta verso tutto ciò che è Russo; penso per esempio a quel gesto da inquisitore sgangherato e ottuso con cui il sindaco di Milano ha allontanato il grandissimo direttore Gergiev dalla Scala. Nel silenzio opportunista di molti.

  11. Una breve risposta (nei limiti del possibile) a Efisio Bova
    In primis facciamo parlare i numeri. Dati della relazione 2022 del SIPRI (Stockholm International Peace Research Institute) riguardanti la spesa militare annuale in miliardi di dollari: Usa 778; Cina 252; India 72,9; Russia 61,7; Regno Unito 59,2; Arabia Saudita 57,5; Germania 52,8; Francia 52,7; Giappone 49,1; Corea del sus 45,7; Italia 28,9. I Paesi dell’Europa occidentale complessivamente raggiungo 273 miliardi di dollari. (Tra l’altro, perché mai aumentare la loro spesa al 2% del Pil quando è già più di 4 volte la spesa russa?)
    Ora, nessuno, neanche un pazzo, con tale enorme divario di mezzi, si avventurerebbe in imprese espansive. Forse Putin cerca solo di sopravvivere sottraendosi ad un soffocante accerchiamento, e fa degli sbagli, fatto sempre molto grave sul terreno militare.
    Quanto all’elenco riportato di interventi russi, tutti gli esempi possono essere letti in senso opposto, riconducendoli all’assedio a cui la Russia è stata ed è sottoposta. Ricordo che le rivoluzioni colorate sono state promosse e sostenute dall’Occidente con ricorso a fiumi di denaro e a vari altri mezzi che in casa nostra sarebbero stati considerati illeciti. Si dimentica inoltre che nel 2008 è stata la Georgia ad attaccare l’Ossezia del Nord.
    Mettiamo poi da parte i tentativi russi di fomentare divisioni interne ai paesi europei, perché se facessi l’elenco di quelli fatti dagli Usa nel mondo intero porterebbe via molte pagine.
    Infine ricordiamoci bene che a non volere la nascita di una uno Stato europeo sovrano è in primo luogo l’intero establishment statunitense. Come ha scritto, già anni fa, Barbara Spinelli, per gli americani “questo matrimonio europeo non s’ha da fare né domani, né mai”.
    Constato infine che Efisio Bova approva l’intenzione di Biden di non arrivare a una soluzione di compromesso per porre fine alla guerra, ma di spingere per “favorire una transizione”, ovvero ottenere la caduta di un governo ostile al primato americano, e soprattutto una possibile ulteriore frammentazione della Federazione russa.
    Abbiamo già visto i risultati dell’”esportazione della democrazia” in teatri vari, una strada sempre più pericolosa perché l’America non potrà per sempre dettare legge per essere eternamente il Numero Uno. Il Mondo comunque diventerà (in parte lo è già) multipolare: ce lo mostra la classifica della spesa per armamenti che trova Cina e India al 2° e 3° posto. Mi auguro che nelle alte posizioni dell’ elenco possa entrare una autonoma forza armata europea a cui vada l’ingentissima spesa militare dei vari Paesi della Comunità. Per questo passo, tuttavia, temo che sia necessaria un’altra classe dirigente capace di comprendere le esigenze geopolitiche dell’Europa (che non coincidono con quelle dell’America).

    • I numeri relativi alla spesa militare non dicono molto. Un paese come la Russia che ha
      un PIL paragonabile al nostro ma con il triplo delle persone non può che spendere molto meno della Nato nel suo insieme.
      La differenza davvero significativa è che la Nato spende per avere un esercito difensivo mentre la Russia spende per avere un esercito offensivo.
      La Nato non ha mai invaso nessun paese mentre l’elenco che ho riportato dimostra una certa propensione russa all’invasione e alla sottomissione dei vicini.
      Non c’è nessun “soffocante accerchiamento” (se non nella delirante propaganda russa) ma solo paesi che giustamente non vogliono finire sotto il giogo sovietico e chiedono protezione.
      Per quello che sta facendo la Russia in Ucraina non c’è nessuna giustificazione e nessuna attenuante.
      Semmai indica la chiara volontà Russa di espandere la sua dittatura. Questa volontà è limitata solo dagli scarsi mezzi di cui dispone e da una condotta irrazionale e sconsiderata.
      Per questo è urgente indebolire la Russia con sanzioni e azioni militari e favorirne un cambio di regime. Altrimenti il rischio è che a tendere la prossima invasione riguardi noi. (il progetto Eurasia non prevede limiti).
      Gli Americani hanno tanti difetti e hanno fatto tanti errori ma in questa vicenda la loro analisi e la loro strategia sono pienamente condivisibili. E stanno proteggendo, ancora una volta, la nostra libertà.

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