La guerra e le virtù politiche



Paolo Girola    15 Marzo 2022       2

Dicevano i romani si vis pacem para bellum. Mai affermazione si è dimostrata più falsa nella storia, ancor più se guardiamo alla storia contemporanea. Basti pensare alle due guerre mondiali.

Ancora oggi molti storici si domandano come è potuto accadere che sia deflagrata, con quelle proporzioni, la Prima, fra nazioni europee “civilizzate”, fra Stati i cui regnanti erano spesso parenti fra loro e senza motivazioni così rilevanti.

Uno dei motivi dello scoppio, dicono allora questi storici, fu anche il fatto che negli anni precedenti tutti gli Stati europei avevano gonfiato gli arsenali di armi sempre più moderne e micidiali. Fu quindi inevitabile pensare di usarle per risolvere questioni di politica estera.

Un’unica voce si oppose disperatamente alla guerra e fu quella dei Papi, prima Pio X e poi Benedetto XVI, che diffuse anche un appello alle nazioni belligeranti con la famosa definizione di “inutile strage” e una proposta di pacificazione quanto mai preveggente. Naturalmente furono sbeffeggiati da tutte le parti belligeranti.

Sappiamo come andò a finire , che scoppiò anche la seconda Guerra mondiale fra accesi nazionalismi armati: la Germania innanzitutto ma anche l’Italia e non sottovalutiamo la Polonia e la Francia. E non si può tacere di Stalin e dell’Unione Sovietica che accese, con l’accordo Ribbentrop-Molotov, la miccia.

È quindi con mia viva preoccupazione che ho accolto la notizia, diffusa qualche giorno fa da tutti i media (con assoluta superficialità) del riarmo della Germania. Un programma per 100 miliardi di euro votato da un governo rosso-verde. Programma mai varato dai governi guidati da Angela Merkel, per la quale la forza della Germania doveva sussistere nella sua economia.

La sciagurata guerra ucraina sta provocando quindi danni gravi anche a quello che definirei lo spirito europeo. Uno spirito che sembrava finora improntato al rifiuto della forza come soluzione dei problemi di politica estera.

Ma, se approfondisco, mi sorge la domanda: ma l’Europa ha uno spirito?

È chiaro che lo spirito non è dato dal mercantilismo puro, dalla moneta unica. Ci vuole qualcosa di più. Ci vuole la consapevolezza dei valori sui quali si è fondata l’idea di Unione europea. Valori incarnati dai tre padri politici dell’Europa Unita: De Gasperi, Adenauer e Schuman, tutti e tre ispirati dalle dottrine democratico cristiane. Ma questi valori sono oggi sdegnosamente accantonati da gran parte delle élite burocratiche, politiche e culturali di questa Europa.

Per cosa quindi si sta assieme? Per gli affari e ora per costituire una forza militare?

Si citano ideali di democrazia, diritti individuali ma essi stessi vanno inverati da ideali superiori che li rendano cari al cuore dei popoli e che non siano solo un mantello sotto il quale si nasconde un individualismo radicale, un egoismo personale secondo cui ognuno è la misura del tutto.

Di fronte alla grave crisi odierna allora anche noi mettiamo mano alla fondina, inviamo armi ai poveri ucraini che combattano per conto nostro, anzi che si facciano massacrare per conto nostro. Variamo sanzioni, alcune anche inevitabili, ma che non possono essere l’unica soluzione perché inaspriscono invece che favorire la comprensione reciproca fra i popoli.

Tutte decisioni o inopportune o tardive, visto che per dodici anni nelle province ribelli dell’Ucraina ci sono stati 14mila morti per una guerra dimenticata.

L’Europa solleva la testa e per certi versi fa bene, ma non sia un alleato supino degli Stati Uniti che giocano una partita tutta loro, per certi versi anacronistica, come se ci fosse ancora la cortina di ferro. Agli USA si possono ricordare i troppi errori in politica estera e soluzioni traumatiche sullo stile di Putin: la seconda guerra irachena, l’appoggio militare ai talebani e agli islamisti vari, e poi l’intervento in Afghanistan, l’appoggio militare a vari regimi autoritari del Centro e sud America. Certo gli USA restano una grande nazione democratica che deve essere la prima alleata dell’Europa, ma l’alleanza deve essere in piedi e non in ginocchio.

Infine l’Italia. Poteva giocare un ruolo diverso? Io penso di sì, ma ci volevano altre personalità alla guida della sua politica estera. Non basta un volonteroso e intelligente apprendista ministro degli Esteri. L’Italia non doveva fornire armi (non credo decisive) per riservarsi un ruolo di mediazione visti i rapporti con la Russia, economici e non solo, la presenza del Vaticano. Un ruolo che si poteva giocare anche d’intesa con l’Unione europea. Ora diventata in toto il “nemico” di Putin. Vediamo invece che si lascia spazio alla mediazione di altri autocrati (vedi Erdogan e Xi Jinping).

Non voglio sottovalutare le responsabilità di Putin, contro il quale semmai bisogna giocare una partita politica anche interna (vedi quanto successe con Solidarnosc al quale nessuno inviò armi). Ma bisogna saper parlare all’anima russa e non solo al portafoglio. Putin non è eterno e bisognerebbe incominciare a ragionare sul dopo Putin.

Chiudo con un’unica citazione. Scriveva Maritain nel 1937 di fronte alla guerra civile spagnola, che la guerra “non è una soluzione, se non nella maniera dei mali supremi, certamente coloro che fanno di tutto per piegare con il ferro e con il fuoco l’essere umano ai loro disegni, se rimangono colpiti da essa hanno il trattamento che si meritano”.

Ma la guerra colpisce sempre a lato. La violenza quando viene posta sul primo gradino della gerarchia dei mezzi e si conta innanzitutto su di essa, si volge in senso contrario e porta in se stessa la propria debolezza. E ancora: “se si combatte l’odio con l’odio si prepara la catastrofe della vita politica: né l’impazienza né la violenza a qualsiasi vessazione, ingiustizia, oppressione possano opporsi sono virtù politiche”.


2 Commenti

  1. Trovo molto condivisibile la critica di Paolo Girola alla posizione assunta dall’Italia. Questa fretta nell’accodarsi a sanzioni alla Russia e all’invio di armi all’Ucraina, oltre a creare problemi di costituzionalità, pregiudica il potenziale ruolo di mediazione che il nostro Paese avrebbe potuto assumere, rendendolo agli occhi della Russia un paese ostile. E rivela la debolezza dei partiti attuali. È nell’ordine delle cose un asse Italia-Germania, le due economie più danneggiate, per riattivare un’iniziativa diplomatica europea congiunta ma distinta da quella americana. Per dare una soluzione stabile ed equa al conflitto e anche per prevenire un mai rassicurante riarmo tedesco.

  2. L’attenzione ipertrofica sul conflitto russo ucraino nasconde strategie indirizzate al riassetto dell’ordine mondiale: Davicino cita la realpolitik americana (nostalgica di quell’unipolarismo ormai al tramonto che gli USA non hanno saputo trasformare in un’occasione di governance globale) e il globalismo delle élites extraterritoriali che ha interesse non tanto o non solo a sconfiggere le ambizioni di media potenza regionale della Russia ma a logorare nel perdurare del conflitto “tutte” le ambizioni di tutte le potenze che intendono esercitare un dominio geopolitico più o meno allargato; la morte della politica in altri termini o piuttosto il suo asservimento strumentale alla volontà appunto delle potenze “astratte” e “assolute” (ab-solutae, slegate cioé da collegamenti culturali, etnici, territoriali). Il conflitto russo-ucraino, al di là delle sue cause storiche e nella totale indifferenza verso la sofferenza delle persone coinvolte, appare il punto di caduta o di innesco di questa lotta per la supremazia globale. Che fare? Sarebbe saggio da parte dei leader europei promuovere una de-globalizzazione di questa guerra (propedeutica a una de-escalation che per ora non appare a portata di mano) rubricandola fra i conflitti su scala regionale. Eppure le dichiarazioni ufficiali (ho ascoltato ieri con sgomento l’intervista della brava Annunziata a Michel, il gentiluomo che lascia in piedi le signore e si accomoda a fianco degli autocrati) parlano di sanzioni sempre più autolesioniste, di progetti velleitari e costosi di eserciti europei: si è fatto l’euro senza una politica economica e ora vogliamo l’esercito europeo senza una politica estera? In quel della Nato, dove non mancano le teste pensanti, si staranno facendo qualche risatina. Classificare la guerra fra i conflitti regionali potrebbe apparentarla a una sorta di conflitto settecentesco caratterizzato da un’alternanza di round diplomatici e di scontri militari: quando i negoziati andavano in stallo scendevano in campo gli eserciti e le trattative ricominciavano quando gli scontri non esitavano in un rapporto di forza chiaro ma rendevano insicuro per tutti l’equilibrio globale (il ricordo della disastrosa guerra dei 30 anni era ancora vivo nel XVIII secolo). Forse russi e ucraini si renderanno conto che un simile schema potrebbe convenire a entrambi: ma ai soggetti esterni? Agli avvoltoi pronti a lanciarsi sui cadaveri e a scatenare nuovi conflitti, meglio se per procura, a seminare ulteriore disordine (“creativo” secondo un disumano punto di vista ideologico)?

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