Da alcuni decenni si discute di una crisi irreversibile dell’Occidente. Crisi di cultura, economia, demografia; di leadership politica e militare; di modello democratico. Ma nulla come le immagini drammatiche che in queste ore ci buttano in faccia la realtà di un Afghanistan abbandonato ai Talebani rende l’idea di questo declino.
È l’epilogo di una lunga stagione di fallimenti dell’Occidente – dell’America guidata (ahimè) da Presidenti Democratici e dei suoi alleati – su tutti gli scenari nei quali si gioca il futuro degli equilibri mondiali. Pensiamo alla Siria, all’Iraq, all’Africa. Pensiamo alle “Primavere Arabe”, il cui portato di speranza è oggi ridotto alla sola Tunisia, essa stessa precipitata in una crisi dagli sbocchi incerti e oscuri.
L’Occidente non ha più la capacità di leggere i segni dei tempi e di interpretare ciò che sta accadendo. In altre parole, non ha più nessuna capacità di leadership globale. In tutti gli scenari di crisi, altri attori globali (con intenti imperscrutabili) determinano il futuro oppure sono garanti di nuovi equilibri: la Cina e la la Russia, in primo luogo. E poi paesi come la Turchia.
Nel contempo, si sta restringendo in modo progressivo e rapido la presenza nel mondo dei regimi ispirati al principio ed alla pratica della democrazia di concezione “occidentale”. Si diffondono regimi dittatoriali o le cosiddette “democrature”, neologismo con il quale si definiscono quei sistemi formalmente democratici ma sostanzialmente illiberali, quando non totalitari. Fenomeni che vediamo non solo in Asia, ma anche in tante altre parti del Mondo. E che scorgiamo in nuce, purtroppo, perfino in alcune nazioni del fronte orientale dell’Unione Europea.
Questo nuovo “disordine mondiale” è prima di tutto un dramma per le popolazioni direttamente interessate, come quella afghana, che abbiamo abbandonato nelle mani di tagliagole tanto fanatici quanto astuti, e determinati nella costruzione di un “Califfato” destinato – nelle loro intenzioni – ad andare ben al di là dei confini nazionali. È però un dramma anche per tutti noi; per la sicurezza e la libertà dei nostri figli e dei nostri nipoti. Ed è un dramma per i valori di civiltà e di democrazia che – pur con tutti i limiti e gli errori – l’Occidente ha costruito e interpretato.
“Moriremo lentamente nella storia”, ha detto in lacrime, in un video apparso su tutte le testate on line, una ragazza afghana, mentre cercava – quasi certamente invano – di sfuggire in queste ore ad un destino già segnato per tante donne e tanti giovani di quel Paese che avevano creduto in un futuro diverso. a a morire sarà anche una visione del mondo e dei diritti umani e civili, se la cosiddetta comunità internazionale non avrà un sussulto di dignità e di coraggio.
È patetico e desolante il Presidente Biden quando afferma che la missione americana in Afghanistan è comunque compiuta: “dovevamo sconfiggere il terrorismo, non costruire un Paese”, ha detto. Stanno in questa frase, cinica e rassegnata, la cifra di una sconfitta epocale e lo stigma di una rinuncia che ha il sapore del tradimento.
In questo scenario, servirebbe una Europa forte; autorevole sul piano politico e militare; unita su quello diplomatico; coraggiosa e decisa nella visione strategica globale. Potrebbe toccare infatti all’Europa, oggi, rigenerare l’ideale di un Occidente che sia diritti, democrazia, umanesimo integrale e rispetto della persona a tutto tondo e per tutti. Ovunque. Oggi non è purtroppo così.
Speriamo che la riscoperta del “valore europeo” non sia confinata nel pur importante segnale dei fondi resi disponibili per il Recovery Plan. Una comune posizione di “non riconoscimento” del regime fondamentalista insediatosi a Kabul e la attivazione di “canali umanitari europei” a favore dei profughi afghani sarebbero già un primo importante segnale di presenza, se non addirittura di “esistenza”.
Se è vero, come si sente ripetere in queste ore, che la Democrazia “non si impone con le armi” (nel caso della liberazione dell’Europa dal nazi-fascismo non è stato così), è altrettanto vero che (in un Mondo sempre più interconnesso e interdipendente) neppure si difende e si tutela “girandosi dall’altra parte”.
Leggo che nelle ultime ore il leader del M5S Giuseppe Conte invita a un “confronto serrato” con il nuovo regime fondamentalista e ritiene che da Kabul siano arrivate “posizioni distensive”. Ecco un modo, appunto, per “girarsi dall’altra parte”.
È l’epilogo di una lunga stagione di fallimenti dell’Occidente – dell’America guidata (ahimè) da Presidenti Democratici e dei suoi alleati – su tutti gli scenari nei quali si gioca il futuro degli equilibri mondiali. Pensiamo alla Siria, all’Iraq, all’Africa. Pensiamo alle “Primavere Arabe”, il cui portato di speranza è oggi ridotto alla sola Tunisia, essa stessa precipitata in una crisi dagli sbocchi incerti e oscuri.
L’Occidente non ha più la capacità di leggere i segni dei tempi e di interpretare ciò che sta accadendo. In altre parole, non ha più nessuna capacità di leadership globale. In tutti gli scenari di crisi, altri attori globali (con intenti imperscrutabili) determinano il futuro oppure sono garanti di nuovi equilibri: la Cina e la la Russia, in primo luogo. E poi paesi come la Turchia.
Nel contempo, si sta restringendo in modo progressivo e rapido la presenza nel mondo dei regimi ispirati al principio ed alla pratica della democrazia di concezione “occidentale”. Si diffondono regimi dittatoriali o le cosiddette “democrature”, neologismo con il quale si definiscono quei sistemi formalmente democratici ma sostanzialmente illiberali, quando non totalitari. Fenomeni che vediamo non solo in Asia, ma anche in tante altre parti del Mondo. E che scorgiamo in nuce, purtroppo, perfino in alcune nazioni del fronte orientale dell’Unione Europea.
Questo nuovo “disordine mondiale” è prima di tutto un dramma per le popolazioni direttamente interessate, come quella afghana, che abbiamo abbandonato nelle mani di tagliagole tanto fanatici quanto astuti, e determinati nella costruzione di un “Califfato” destinato – nelle loro intenzioni – ad andare ben al di là dei confini nazionali. È però un dramma anche per tutti noi; per la sicurezza e la libertà dei nostri figli e dei nostri nipoti. Ed è un dramma per i valori di civiltà e di democrazia che – pur con tutti i limiti e gli errori – l’Occidente ha costruito e interpretato.
“Moriremo lentamente nella storia”, ha detto in lacrime, in un video apparso su tutte le testate on line, una ragazza afghana, mentre cercava – quasi certamente invano – di sfuggire in queste ore ad un destino già segnato per tante donne e tanti giovani di quel Paese che avevano creduto in un futuro diverso. a a morire sarà anche una visione del mondo e dei diritti umani e civili, se la cosiddetta comunità internazionale non avrà un sussulto di dignità e di coraggio.
È patetico e desolante il Presidente Biden quando afferma che la missione americana in Afghanistan è comunque compiuta: “dovevamo sconfiggere il terrorismo, non costruire un Paese”, ha detto. Stanno in questa frase, cinica e rassegnata, la cifra di una sconfitta epocale e lo stigma di una rinuncia che ha il sapore del tradimento.
In questo scenario, servirebbe una Europa forte; autorevole sul piano politico e militare; unita su quello diplomatico; coraggiosa e decisa nella visione strategica globale. Potrebbe toccare infatti all’Europa, oggi, rigenerare l’ideale di un Occidente che sia diritti, democrazia, umanesimo integrale e rispetto della persona a tutto tondo e per tutti. Ovunque. Oggi non è purtroppo così.
Speriamo che la riscoperta del “valore europeo” non sia confinata nel pur importante segnale dei fondi resi disponibili per il Recovery Plan. Una comune posizione di “non riconoscimento” del regime fondamentalista insediatosi a Kabul e la attivazione di “canali umanitari europei” a favore dei profughi afghani sarebbero già un primo importante segnale di presenza, se non addirittura di “esistenza”.
Se è vero, come si sente ripetere in queste ore, che la Democrazia “non si impone con le armi” (nel caso della liberazione dell’Europa dal nazi-fascismo non è stato così), è altrettanto vero che (in un Mondo sempre più interconnesso e interdipendente) neppure si difende e si tutela “girandosi dall’altra parte”.
Leggo che nelle ultime ore il leader del M5S Giuseppe Conte invita a un “confronto serrato” con il nuovo regime fondamentalista e ritiene che da Kabul siano arrivate “posizioni distensive”. Ecco un modo, appunto, per “girarsi dall’altra parte”.
La ricchezza dell’Afghanistan sta nel suo territorio, non nel suo popolo e l’uomo di potere è debole, perché continuare a consumare risorse reali e far morire i propri giovani quando la riserva di valuta del mondo è il $ americano e sarà il $ a sconfiggere i talebani? Una sintesi un po’ complessa ma il mondo è una unica piazza di mercato e il capitalismo per sopravvivere a se stesso deve vendere e per vendere la convenzione generale vuole che ci sia bisogno di “moneta fiduciaria”, anche nella transizione di un nuovo mondo che misura l’utilità delle pecore umane costrette nel recinto del consumo, nella prospettiva di un mondo vivibile da recuperare.