Nuovi lavori nella crisi USA



AMERICANA di Beppe Mila    15 Febbraio 2021       0

I guardiani delle case vuote

A Los Angeles, città scelta a caso, ogni notte oltre 60mila persone dormono in macchina, oppure in rifugi per senzatetto o per strada. Diverse altre però, tra i tanti sfortunati che non hanno una abitazione, propria o in affitto vivono ugualmente in una casa, una casa della quale non sono né i proprietari e nemmeno ne pagano l’affitto. Sono persone pagate per proteggere gli immobili, quasi sempre vuoti e non arredati per far sì che non entrino ladri o vandali, o che vengano occupati abusivamente. Augustus Evans è una di queste persone ed è il protagonista di un articolo uscito sul “New Yorker” che ha rivelato i controsensi e le storture del mercato immobiliare non solo di Los Angeles, ma delle città statunitensi in generale.

La sua storia è emblematica per raccontare ancora oggi l’onda lunga (una cattiva onda lunga) delle crisi dei mutui subprime iniziata nel 2007 quando migliaia di case vennero pignorate e vendute all’asta. Poiché potevano essere comprate solo in contanti la maggior parte di esse finì in mano a grandi gruppi immobiliari o fondi di investimento. Ma molte case rimangono vuote per anni e per evitare che vengano occupate e finiscano per svalutarsi, i proprietari si rivolgono ad aziende di vigilanza, che a loro volta assumono persone senza fissa dimora per stabilirsi nell’immobile e tenerlo sotto controllo.

Il signor Evans sono già ben sette anni che fa questo lavoro e in questo tempo ha protetto più di venti case in tredici quartieri, la maggior parte delle quali situate in quartieri storicamente abitati da ispanici e afroamericani, le fasce più colpite dalla crisi economica.

L’articolo del “New Yorker” è molto bello, perché racconta in dettaglio la storia di Evans con alti e bassi tra cui 7 anni di carcere e grandi speranze svanite quando uscì e trovò a vivere per strada. Oggi ha 68 anni e l’agenzia che lo ha assunto gli fornisce solo un piccolo frigorifero, un materasso gonfiabile e un microonde. Oltretutto gli viene raccomandato di non parlare con nessuno e può uscire solo per andare al supermercato e altre strette esigenze.

Le infermiere volanti

Oggi molte infermiere che per vari motivi non sono assunte stabilmente in un ospedale o altra struttura sanitaria sono ugualmente molto impegnate perché possono svolgere il loro lavoro, quanto mai prezioso in questo momento spostandosi da una città all’altra seguendo le emergenze sanitarie.

Laura Liffiton è una di queste, durante la prima ondata di Covid-19, ha lavorato in una struttura di New York; in estate, quando è cominciata la seconda ondata, si è spostata in Arizona, a 3.500 chilometri di distanza, dove purtroppo vide morire quattro pazienti nel suo primo giorno di lavoro.

Ad ottobre, durante la terza ondata, ha percorso altri 2.700 chilometri per andare a prestare servizio in un ospedale di Green Bay, in Wisconsin. Il suo non è un caso isolato: negli Stati Uniti ci sono ben 25mila travel nurses, infermiere o infermieri con la valigia sempre pronta che da anni sopperiscono alla carenza di personale medico. Oggi il loro lavoro è fondamentale visto il gran numero di malati di Covid-19 ricoverati negli ospedali, stabilmente oltre 100 mila.


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