Quale lezione dal conteso voto americano?



Giuseppe Davicino    14 Dicembre 2020       0

Ora che la contesa sull’esito delle elezioni americane inizia ad assumere la dimensione di un inedito scontro istituzionale senza precedenti – almeno dalla Guerra di secessione – al punto che il giornale unico e il TG unico non la possono più ignorare, occorre chiedersi quali lezioni trarre dal cataclisma politico che sta iniziando ad abbattersi oltreoceano.

Sono almeno cinque i punti, sui quali a mio avviso, è opportuno riflettere, aggiornarsi per poi agire da Popolari che appartengono allo schieramento riformatore.

Primo, no al voto elettronico. La Corte Suprema americana stabilirà se l’entità dei presunti brogli non abbia raggiunto una consistenza tale da ribaltare il risultato, confermando così il successo del candidato democratico Biden, come speriamo perché a noi ideologicamente più affine, oppure se lo ribalterà in favore del presidente uscente Trump. Quello che ci deve più interessare è che comunque si è assistito a un tentativo di manipolazione del voto, in vari modi ma soprattutto attraverso il voto elettronico. Teniamoci stretto il voto cartaceo, fisico e in presenza, verificabile da chiunque anche dopo molto tempo.

Secondo, difendere la democrazia dal suo nuovo nemico, l’élite globalista. Il ricorso così spregiudicato al voto elettronico in alcuni degli Stati americani (ma pure in altre parti del mondo) ci rivela un fatto ancor più inquietante. Attraverso ciò le élite che stanno in cima al potere mondiale, vogliono trasformare la democrazia (laddove ancora esiste) in una farsa e affermare il loro potere di decisione anche sovvertendo la volontà popolare. Infatti, il capitalismo post crisi 2008 è un capitalismo intrinsecamente fallito secondo le regole di mercato, tenuto in piedi solo da banche centrali compiacenti e di fatto non indipendenti da costoro. Il capitalismo attuale, quello della quarta rivoluzione industriale, dell’intelligenza artificiale e dei robot che soppianteranno la classe media e lavoratrice, quello progettato dal World Economic Forum (WEF) che si riunisce a Davos, non ha più bisogno di tanti consumatori, ma solo di due classi, oltre a quella ristrettissima dei super-ricchi, una di tecnici iperspecializzati e l’altra di nuovi “schiavi”, per i lavoro ordinari. Quindi sta puntando con decisione al depopolamento mondiale, e alla riduzione appunto in una schiavitù di fatto per la gran parte dell’umanità, considerata superflua e inquinante il pianeta, alla quale è programmato (per gradi, seguendo il metodo della finestra di Overton), di togliere tutto: la proprietà privata, la famiglia, la libertà di culto, di espressione, di mobilità; facendola sopravvivere solo con un miserevole reddito universale di base (Unconditional Basic Income) una volta ottenuta la rinuncia al possesso di ogni bene che si deteneva. A questo capitalismo “sovietico” non sta più bene la democrazia. Esso ha già optato per il modello cinese che coniuga, pagando un altissimo prezzo in termini di libertà e diritti umani negati, capitalismo e dittatura. E lo vuole estendere in tutto l’Occidente, dove però ci sono tradizioni consolidate e le Costituzioni. Ecco dunque la necessità di manipolare la democrazia americana, principale ostacolo all’instaurazione di una dittatura capitalistica mondiale. Da ciò si può dedurre che adesso il nemico principale della democrazia è proprio il Piano, il Great Reset, il grande riavvio, nel linguaggio di Davos dell’élite globalista. E questo, a mio avviso, le forze popolari e democratiche devono combattere, depurando i programmi e i vertici del centrosinistra dalle collusioni con i nemici della democrazia e della libertà, sapendo che in politica esistono solo avversari come persone e non nemici. Ma anche cambiando il linguaggio, abiurando il politicamente corretto che è il vocabolario del Male, il codice che si presta a coprire e compiere ogni abominio del mondialismo.

Terzo, spezzare il monopolio mondiale dei media. La contesa post-elettorale americana, non raccontata dai media sinora se non in termini caricaturali, è anche lo specchio di una impressionante concentrazione globale in pochissime mani dei media e delle piattaforme social. Se vogliamo preservare la democrazia nel XXI secolo occorre metter fine alla gestione piramidale dell’informazione.

Quarto, occorre stare con gli Stati Uniti, contro il pericolo di leadership mondiale dell’asse sino-tedesco. La risolutezza con cui alcune potenze straniere hanno cercato di condizionare l’esito delle elezioni americane, ci dice anche che solo gli Stati Uniti possono evitare che il progetto di dittatura globale sponsorizzato dal capitalismo 4.0, il capitalismo della sorveglianza, possa avere successo. Se gli USA dovessero accettare che la loro democrazia venga diretta dall’esterno, la Cina comunista e la Germania ordoliberista che si sta divorando l’Europa, che esprimono sistemi con le caratteristiche gradite all’élite globalista, non troverebbero più opposizione e l’Italia cesserebbe di fatto di essere una democrazia e un Paese economicamente e socialmente stabile. La riforma del MES preannuncia una stagione di terribile austerità alla greca, imposta per volontà e interesse tedesco, capace di mandare in frantumi il nostro Paese. Solo il rapporto con gli USA ci potrà (nuovamente) salvare.

Quinto, l’impegno per un nuovo anti-sovranismo. La vicenda elettorale statunitense potrebbe divenire il punto di svolta per arrestare quel processo di progressiva sottomissione del ruolo delle organizzazioni internazionali all’agenda dei miliardari globali, al Great Reset di Davos che nessun popolo ha mai votato. In questo si può intravvedere un nuovo compito per i partiti democratici che si oppongono al sovranismo. Se si vuole esser credibili nell’opporre al nazionalismo le cessioni di sovranità, occorre sgomberare il campo da qualsiasi dubbio sul fatto che gli organismi internazionali, anziché perseguire il bene comune dei Paesi associati e dell’intera umanità, rispondano velatamente all’oligarchia globalista, al massonico instaurando Nuovo Ordine Mondiale e a qualche temibile potenza dittatoriale emergente.

Se gli Stati Uniti riusciranno a ripristinare la piena fiducia nel loro sistema elettorale, renderanno un grande servizio al mondo, e li dovremo, ancora una volta, ringraziare.


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