Alessandro Risso, benemerito direttore di questo sito, mi ha informato sulla iniziativa politica che ha alla testa il bravo professor Zamagni, di cui apprezzo la lucidità di molte sue analisi: un nuovo partito “di centro, moderato; autonomo rispetto alla destra e alla sinistra; laico, non confessionale e aperto a credenti e non credenti, che si riconoscono e aggregano sulla base della piattaforma programmatica”.
Non la critico e non la derido, anzi sono contento quando vedo più persone per bene occuparsi di politica, attività che non può essere lasciata agli avventurieri o a chi non sa fare di meglio.
Per me è passato il tempo dell’impegno diretto, ma non quello dell’interesse e della partecipazione al dibattito generale. Allora esprimo, se interessa a qualcuno, il mio parere: secondo me ogni iniziativa è valida se punta ad aggregare, anche partendo dalla pluralità ma con l’obbiettivo dell’unità, soprattutto su temi concreti.
In Francia si chiama rassemblement: in Italia ce ne vorrebbe uno che aggregasse al centro (per usare un termine non del tutto esatto ma comprensibile) e fosse presente sia a livello locale come a livello nazionale.
Faccio due esempi di temi per un programma concreto, uno a livello nazionale e uno a livello locale (altre aggregazioni oltre a un programma non me vedo, se non quelle per spartirsi qualche poltrona).
A livello nazionale il Covid ha messo in evidenza problemi di grande impatto sulla società italiana che dovrebbero far parte di un programma comune. È finalmente emerso il punto debole della macchina sanitaria pubblica (che avevo già segnalato su questo stesso sito oltre 6 mesi fa): quello della medicina di territorio o di base. In particolare il ruolo dei medici di famiglia. Ora se ne parla nei talk show, anche se con cautela, ma pure il prudente Bruno Vespa lo ha sollevato nei giorni scorsi con chiarezza di fronte al ministro Boccia, dando dati che evidenziano le carenze. Vespa ha fatto nota che, prendendo a riferimento la tipologia di accessi Covid ai pronto soccorso in due grandi ospedali torinesi e uno romano, il 65% sono codici verdi e solo il 7% codici rossi . Codici verdi significa, ha confermato il professor Bassetti in collegamento con “Porta a Porta”, che potevano essere curati a casa. Ma da chi, se non dai medici di famiglia, opportunamente dotati di protezioni e forniti di protocolli di cure? Perché non è stato né viene fatto nella stragrande maggioranza dei casi? Lascio a tutti le ovvie considerazioni. Abbiamo creato in Italia troppe caste soprattutto di dipendenti pubblici (in varie forme come lo è in pratica anche quella dei medici di base) ben pagate, super protette ma con scarsi livelli di impegno. C’è qualcuno che proponga in un suo programma politico la riforma di questo snodo essenziale della sanità pubblica? Non mi risulta, così spesso i politici sembrano essere i difensori delle pubbliche inefficienze, invece che dei riformatori capaci di far funzionare meglio la macchina statale.
Per farla breve passo a un altro esempio, questa volta locale, che traggo dal blog economico subalpino Enordovest, molto interessante, curato dall’ex caporedattore del Sole 24 ore Rodolfo Bosio.
Scrive Enordovest : “Ha fatto sorridere molti l'annuncio dell'iniziativa Torino Reshoring, finalizzata al recupero di attività imprenditoriali nella capitale sabauda. E ha fatto ripensare, tristemente, a quanti avrebbero potuto e potrebbero far arrivare a Torino la sede operativa di Fideuram (gruppo Intesa Sanpaolo), che nel capoluogo piemontese ha già la sede legale. Questa sì che sarebbe un'operazione da sbandierare”.
Mi pare una indicazione chiara e concreta. La incorporazione del San Paolo in Intesa è stata una delle sciagurate operazioni condotte al tempo della giunta Chiamparino. Non mi si parli di una operazione puramente “di mercato”. In IntesaSanPaolo la Fondazione torinese Compagnia di San Paolo è ancora il maggiore azionista con una presenza di Enti locali al suo interno. Chi dovrebbe operare per far sì che Fideuram spostasse il suo centro direzionale a Torino se non gli amministratori e i politici locali?
Purtroppo nello stesso blog c’è un’amara constatazione a proposito dei politici torinesi a livello nazionale : “A Chi l'ha visto? – o a Chi l'ha sentito? – presto, potrebbero comparire due ministre piemontesi: la cuneese Fabiana Dadone (Pubblica Amministrazione) e la torinese Paola Pisano (Innovazione tecnologica e digitalizzazione). Se ne sono perse le tracce”. Sono entrambe 5 Stelle, ma se guardo agli altri partiti non cambia granché.
Non la critico e non la derido, anzi sono contento quando vedo più persone per bene occuparsi di politica, attività che non può essere lasciata agli avventurieri o a chi non sa fare di meglio.
Per me è passato il tempo dell’impegno diretto, ma non quello dell’interesse e della partecipazione al dibattito generale. Allora esprimo, se interessa a qualcuno, il mio parere: secondo me ogni iniziativa è valida se punta ad aggregare, anche partendo dalla pluralità ma con l’obbiettivo dell’unità, soprattutto su temi concreti.
In Francia si chiama rassemblement: in Italia ce ne vorrebbe uno che aggregasse al centro (per usare un termine non del tutto esatto ma comprensibile) e fosse presente sia a livello locale come a livello nazionale.
Faccio due esempi di temi per un programma concreto, uno a livello nazionale e uno a livello locale (altre aggregazioni oltre a un programma non me vedo, se non quelle per spartirsi qualche poltrona).
A livello nazionale il Covid ha messo in evidenza problemi di grande impatto sulla società italiana che dovrebbero far parte di un programma comune. È finalmente emerso il punto debole della macchina sanitaria pubblica (che avevo già segnalato su questo stesso sito oltre 6 mesi fa): quello della medicina di territorio o di base. In particolare il ruolo dei medici di famiglia. Ora se ne parla nei talk show, anche se con cautela, ma pure il prudente Bruno Vespa lo ha sollevato nei giorni scorsi con chiarezza di fronte al ministro Boccia, dando dati che evidenziano le carenze. Vespa ha fatto nota che, prendendo a riferimento la tipologia di accessi Covid ai pronto soccorso in due grandi ospedali torinesi e uno romano, il 65% sono codici verdi e solo il 7% codici rossi . Codici verdi significa, ha confermato il professor Bassetti in collegamento con “Porta a Porta”, che potevano essere curati a casa. Ma da chi, se non dai medici di famiglia, opportunamente dotati di protezioni e forniti di protocolli di cure? Perché non è stato né viene fatto nella stragrande maggioranza dei casi? Lascio a tutti le ovvie considerazioni. Abbiamo creato in Italia troppe caste soprattutto di dipendenti pubblici (in varie forme come lo è in pratica anche quella dei medici di base) ben pagate, super protette ma con scarsi livelli di impegno. C’è qualcuno che proponga in un suo programma politico la riforma di questo snodo essenziale della sanità pubblica? Non mi risulta, così spesso i politici sembrano essere i difensori delle pubbliche inefficienze, invece che dei riformatori capaci di far funzionare meglio la macchina statale.
Per farla breve passo a un altro esempio, questa volta locale, che traggo dal blog economico subalpino Enordovest, molto interessante, curato dall’ex caporedattore del Sole 24 ore Rodolfo Bosio.
Scrive Enordovest : “Ha fatto sorridere molti l'annuncio dell'iniziativa Torino Reshoring, finalizzata al recupero di attività imprenditoriali nella capitale sabauda. E ha fatto ripensare, tristemente, a quanti avrebbero potuto e potrebbero far arrivare a Torino la sede operativa di Fideuram (gruppo Intesa Sanpaolo), che nel capoluogo piemontese ha già la sede legale. Questa sì che sarebbe un'operazione da sbandierare”.
Mi pare una indicazione chiara e concreta. La incorporazione del San Paolo in Intesa è stata una delle sciagurate operazioni condotte al tempo della giunta Chiamparino. Non mi si parli di una operazione puramente “di mercato”. In IntesaSanPaolo la Fondazione torinese Compagnia di San Paolo è ancora il maggiore azionista con una presenza di Enti locali al suo interno. Chi dovrebbe operare per far sì che Fideuram spostasse il suo centro direzionale a Torino se non gli amministratori e i politici locali?
Purtroppo nello stesso blog c’è un’amara constatazione a proposito dei politici torinesi a livello nazionale : “A Chi l'ha visto? – o a Chi l'ha sentito? – presto, potrebbero comparire due ministre piemontesi: la cuneese Fabiana Dadone (Pubblica Amministrazione) e la torinese Paola Pisano (Innovazione tecnologica e digitalizzazione). Se ne sono perse le tracce”. Sono entrambe 5 Stelle, ma se guardo agli altri partiti non cambia granché.
Condivido pienamente l’individuazione del punto debole della macchina sanitaria pubblica nel ruolo dei medici di famiglia. Il covid ne ha fatto risaltare l’inadeguatezza che tuttavia era già possibile constatare prima di questa emergenza.