Riprendiamo il controllo del bisonte impazzito



Giuseppe Ladetto    23 Marzo 2020       0

Ho più volte citato il paragone fatto da Anthony Giddens fra la condizione in cui ci troviamo a vivere nella modernità ultima e quella di chi si trova a viaggiare su un “bisonte della strada” impazzito che solo con grande fatica, e non si sa fino a quando, riesce ad evitare che vada a schiantarsi.


La preoccupazione prima di ogni gruppo dirigente responsabile dovrebbe essere quella di riprendere il controllo del bisonte impazzito e di tutto quando è ormai fuori controllo: la situazione ambientale e climatica, il mercato globale, le modalità dell'accumulazione capitalistica, le logiche della tecnoscienza, e non solo. Infatti, altri fenomeni sono totalmente incontrollati come la crescita demografica nel Sud del mondo, o le grandi migrazioni verso i Paesi benestanti.


È possibile? C'è la volontà di farlo?


Secondo uno studio della Banca Mondiale (pubblicato a fine ottobre 2017) “il Ventunesimo secolo sta assistendo alla collisione fra due forze inarrestabili: un'esuberante crescita demografica e un clima che cambia”. Sono quindi in primo luogo queste due forze a richiedere la nostra attenzione.


Viene detto da più parti che non è possibile mettere sotto controllo fenomeni che da sempre sfuggono, per la loro natura, ad ogni tipo di limitazione, risultando di fatto ingovernabili.


È il caso, ad esempio, della crescita demografica. Il numero di esseri umani sul pianeta è continuamente cresciuto e l'Homo sapiens si è spinto ad insediarsi in ogni territorio idoneo ad accoglierlo. È vero, ma vediamo se è possibile continuare sulla stessa strada.


Sulla Terra, si è passati da pochi milioni di abitanti in epoca preistorica a 250 milioni di persone intorno al Mille, per giungere ad oltre 7,5 miliardi oggi. In passato, prima grazie all'agricoltura e all'allevamento animale, poi con l'avvento dell'industria e l'introduzione di sempre nuove tecnologie, è stato realizzato, rispetto all'epoca preistorica, un enorme incremento della produttività a cui si è accompagnata, per molti secoli, una crescita demografica sostenibile dal pianeta.


Attualmente non è più così, essendo stata superata la soglia di sostenibilità: infatti l’impronta ecologica risulta essere di 2,70 ettari pro capite a fronte di una biocapacità di 1,78 ha/persona, mentre il giorno del sorpasso cade ormai già a fine luglio.


Se continuiamo su questa strada, pare inevitabile il momento della resa dei conti in cui potrebbe verificarsi un traumatico riequilibrio fra carico demografico e risorse del pianeta (un dramma a cui possono concorrere anche le epidemie prodotte da nuovi agenti infettivi, la cui genesi e diffusione è favorita dall'elevata densità di popolazione). Non si può quindi rimanere inattivi e assistere passivamente al divenire del fenomeno. È il caso che le organizzazioni internazionali si muovano per incentivare politiche volte a responsabilizzare in materia popolazioni e Stati, politiche che hanno già dato risultati positivi in numerosi paesi del Sud del Mondo.


La seconda forza inarrestabile, a detta della Banca mondiale, è il riscaldamento climatico di cui sono ritenute responsabili le attività umane. Oggi, di fronte alla pandemia prodotta da Covid-19 ed alle sue conseguenze sul terreno economico-produttivo, sentiamo invocare da più parti la necessità di accantonare i problemi ambientali e le misure per contrastare il riscaldamento climatico per concentrare tutti gli sforzi sul rilancio economico. Presa di posizione che rivela un'assoluta miopia politica. Riguardo al riscaldamento climatico, Antonio Gutierres, Segretario generale dell'ONU, ha affermato che “siamo vicini a un punto di non ritorno” e che “gli obiettivi dell'accordo di Parigi del 2016 sul taglio delle emissioni non sono più raggiungibili”. Dal Rapporto relativo al “Programma ambientale ONU”, pubblicato a fine 2019, si evidenziano la mancanza di misure atte a mantenere il riscaldamento entro +1,5° centigradi entro fine secolo e l'impossibilità di centrare il taglio delle emissioni previsto dall'UE per il 2030. Intanto anche la Conferenza di Madrid (Cop 25) si è conclusa con ben poco di fatto.


Di fronte a questa minaccia, molti fanno affidamento sulle sole risposte che la tecnologia potrà dare, sia per mettere freno al procedere del riscaldamento, sia nel porre riparo ai guasti che ne derivano con politiche di adattamento alla situazione nuova che verrà a determinarsi. Tuttavia, bisogna tenere conto che la velocità con cui si sviluppa la tecnologia non sembra tenere il passo con la velocità dei mutamenti climatici e più in generale dei guasti ambientali prodotti dallo “sviluppo”.


Certamente la tecnologia, se governata e indirizzata adeguatamente, potrebbe dare (unitamente a un drastico cambiamento delle modalità di consumo dei Paesi sviluppati) un significativo contributo alla lotta contro il riscaldamento climatico. Ciò richiederebbe che gran parte delle risorse tecnologiche del pianeta fosse diretta a tale obiettivo. Ma sono quanti operano nel mondo tecnologico a dire che è impossibile governare l’innovazione perché implica la capacità di anticipare il futuro, e perché l’innovazione è il risultato aleatorio, e sovente non previsto, dell’attività di ricerca che le imprese conducono. Eppure ci sono stati grandi traguardi, come l'Apollo 11 (che ha condotto l'uomo a metter piede sulla Luna), per raggiungere i quali è stato fatto un enorme sforzo e sono state messe insieme e coordinate tutte le energie, le capacità e la ricerca tecnologica di un grande Paese. Dietro a tale impresa, c'era una volontà “politica” dettata dall'obiettivo (condiviso dalla società americana) di mantenere il primato tecnologico e militare mondiale. Purtroppo non sembra tale l’attitudine dell’attuale società planetaria con l’accesa competizione fra Paesi in ambito economico e politico-militare. È illusorio immaginare, al presente, una convergenza di interessi e di volontà che consenta di mettere in campo, in ambito tecnologico, un qualche cosa di coordinato e mirato a limitare il cambiamento climatico.


Ho letto che negli USA, malgrado il disimpegno del presidente Trump in tema ambientale, in questo ultimo anno c’è stata una inversione di tendenza nelle emissioni di CO2. Ciò deriverebbe da scelte responsabili fatte in materia da singoli Stati della Federazione, da imprese e da cittadini. Questa novità, se confermata, lascerebbe intendere che il riscaldamento climatico può essere contrastato indipendentemente dagli interventi di una autorità politica, sia a livello nazionale che planetario. La crisi della sovranità, intesa come autorevolezza e capacità delle istituzioni politiche di indicare obiettivi e attuare decisioni efficaci, investirebbe quindi (almeno in Occidente) gli Stati nazionali indipendentemente dalla loro dimensione (non solo quelli europei, ma gli stessi Stati Uniti). Nuovi soggetti non ancora ben definiti, specie di comunità forti e consolidate, sarebbero destinati a diventare i nuovi protagonisti nella lotta in difesa dell'ambiente e forse non solo in essa.


In materia, merita attenzione quanto scritto da Carlo Petrini su “La Stampa” del 15/12/2019, affermando che “se i governi nazionali sono incapaci di agire nell'interesse della comunità planetaria, se manca la capacità da parte delle istituzioni globali di mettere fine alle discussioni in nome del bene comune, non abbiamo altra scelta che impegnarci ancora di più come società civile, cittadini, istituzioni locali, territori, imprese. L'unica speranza è la forte voce di cambiamento che viene dal basso, da un numero sempre crescente di cittadini, specie se organizzati in associazioni, movimenti, reti. La spinta di queste nuove forze sta già iniziando a cambiare le imprese; forse arriveranno un giorno a condizionare in maniera determinante anche la politica e chissà che la prossima Cop 26 non possa svolgersi in uno scenario del tutto nuovo”.


Sono parole di speranza pienamente condivisibili. Tuttavia non dimentichiamo che ad essere fuori controllo, insieme ai mutamenti climatici, vi sono numerosi altri fenomeni, tutti in qualche misura collegati e intrecciati, che nel loro insieme sono simbolizzati dal “bisonte della strada impazzito”. Per riprenderne il controllo è la Politica (con la maiuscola) a dover tornare protagonista, dotandosi delle competenze e degli strumenti necessari per acquisire il primato che le compete e per mettersi in grado di esercitare quel potere “sovrano”indispensabile per guidarci verso un futuro vivibile a misura d'uomo.


Purtroppo, guardandoci intorno, non si vede nulla all'orizzonte che vada in tale direzione, e non solo in Italia.




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