La svolta UE sul Patto di stabilità



Giancarlo Infante    23 Marzo 2020       0

Il coronavirus ha potuto quello che anni di dibattiti, polemiche politiche e appelli provenienti da esperti dell’economia e da molti rappresentanti di numerose categorie non erano riusciti a ottenere. L’Unione europea ha sospeso il cosiddetto Patto di stabilità.

Bruxelles è giunta a questa decisione a seguito dell’aggravarsi della situazione d’emergenza. Con i suoi drammatici aspetti sanitari, è divenuta economica, fa assistere al blocco di gran parte delle attività e dei trasporti e, persino, segnare una sospensione della vita civile.

A questo passo estremo, la UE è giunta progressivamente. Prima, consentendo all’Italia di andare oltre il livello di debito pubblico praticabile per il 2020. Immediatamente dopo, è stata costretta a prevedere l’iniezione di 750 miliardi di euro, dimostratisi subito insufficienti, giacché alle condizioni speciali in cui versa il nostro Paese si sono aggiunte quelle di quasi tutti gli altri, a partire dai più grandi, Spagna, Francia e Germania.

Al di fuori dell’Unione, il Regno Unito ha dovuto introdurre interventi di sostegno per le attività commerciali in crisi e per chi perderà il lavoro: l’ammontare potrebbe raggiungere i 330 miliardi di sterline.

Trump, risvegliatosi delle sue minimizzazioni del virus, si avvia verso il varo di un piano straordinario da 1200 miliardi di dollari secondo il quale si potrebbe giungere, persino, all’erogazione di mille dollari in contanti per ogni singolo cittadino americano.

Alla fine, capitolano i due più estremi rappresentanti del “liberal-sovranismo” e, guarda caso, i più altrettanto estremi negazionisti dei pericoli legati alla diffusione del virus. Entrambi promettono l’arrivo del vaccino, ognuno pensa al proprio, a dispetto del realismo degli scienziati e corrono ad allargare il cordone della borsa come ti saresti aspettato annunciare più da dei vecchi protosocialisti: ne va della loro sopravvivenza politica.

Persino gli svizzeri hanno appena portato a 42 miliardi di franchi la somma stanziata dalla Federazione per contrastare l’epidemia e, soprattutto, le sue conseguenze economiche.

Non si tratta solamente, dunque, di preoccuparsi di un virus capace di far registrare un numero altissimo di morti, persino più alto di quello della Cina, bensì d’intervenire anche sul fronte economico finanziario e sostenere già zoppicanti economie e finanze pubbliche. I governi, finalmente, devono preoccuparsi di quanti perderanno il lavoro e finiranno per ritrovarsi una crisi esistenziale senza precedenti. Se è vero, come prevede l’Organizzazione mondiale del Lavoro, che ci si troverà dinanzi ad almeno altri 25 milioni nuovi disoccupati nei Paesi più colpiti dal coronavirus.

Così gli aspetti economici della crisi diventano adesso i preminenti. La politica, le pubbliche autorità hanno ripreso in mano il bandolo della matassa? Se così fosse, sarebbe bene che non se lo facessero togliere di mano nuovamente, una volta passata la fase più acuta della crisi.

È evidente che il coronavirus sta intervenendo su tanti aspetti consolidati della nostra vita. Adesso, scuote quelle linee guida che il mondo finanziario aveva imposto nei decenni scorsi, sulla scia di una visione liberista estrema per la quale si sacrificavano intere nazioni e decine di milioni di persone.

Non so se sia vera la considerazione di qualcuno secondo cui questa terribile epidemia, globalizzata come l’intera economia mondiale, segni la fine definitiva del capitalismo come lo abbiamo conosciuto finora e che già aveva ricevuto, in ogni caso, forti colpi dalla sua evoluzione in finanziarizzazione senza limiti.

Di certo è che le pubbliche autorità sono costrette ad abbandonare le politiche di austerità e a passar sopra quei limiti fissati alla spesa pubblica, com’era nel caso del Patto di stabilità, per iniettare risorse pubbliche soprattutto a favore del lavoro e delle imprese.

Due considerazioni. Una generale e una più specifica per la realtà italiana.

Siamo di fronte ad una svolta epocale. Bisogna vedere come imprimerà un cambio al verso del pendolo che, finora, ha condizionato le nostre esistenze. È evidente che il debito non solo resterà, ma è destinato ad incrementare in maniera esponenziale. È dunque necessario che gli Stati e gli organismi politici sovranazionale, com’è nel caso delle UE, comincino a porsi il problema sull’indirizzo da dare a una insperata riassunzione di responsabilità e di come scommettere su uno sviluppo basato sulla riscoperta di nuove aree d’investimento e di lavoro, quali quelle della salute, dell’ambiente, della formazione e dell’educazione, della scienza e della tecnologia in modo da poter reagire, una volta che la pandemia sarà debellata, alle inevitabili conseguenze che la crisi lascerà, a partire da un debito più ingente da ripagare.

L’Italia, nel dramma, ha la possibilità di vedersi offrire un’occasione irripetibile per una “rinascita”. Se solo fosse in grado di puntare sul rinnovato senso di solidarietà e di coesione scoperto dal Paese e, così facendo, mettesse mano realmente a quelle trasformazioni che devono riguardare le istituzioni, la guida della cosa pubblica, nazionale e locale che sia. Tra queste, continuano a spiccare alcuni problemi storici irrisolti, in particolare quello del Mezzogiorno, che riguardano la coesione e la convergenza tra aree geografiche e strati sociali.

Il coronavirus, per quanto riguarda il Sud sembra, paradossalmente, lavorare con minor intensità, ma a conferma comunque che l’intervento pubblico, a partire da quello della politica, non può che ritrovare una visione d’insieme: locale, nazionale e internazionale.

Sempre a proposito dell’Italia, va considerato che, assieme a quelli della troppa gente ancora scelleratamente in giro per le strade senza un valido motivo, devono essere introdotti altri controlli, altrettanto ferrei.

Dovrebbero essere quelli che riguardano lo sfruttamento dei lavoratori, soprattutto se immigrati, che continua come se non fosse niente anche ai tempi del coronavirus; l’alterazione delle regole del mercato, particolarmente odiosa quando riguarda l’aumento ingiustificato dei beni di prima necessità e dei presidi sanitari di massa come le mascherine. Anche l’attività delle banche e dell’intero sistema finanziario, i primi destinatari della massa di risorse in arrivo, ma non pare che si stiano attrezzando perché il godimento finale vada a favore delle piccole e medie imprese e delle famiglie. Lo segnalano tanti professionisti, piccole imprese e nuclei familiari alla ricerca di un mutuo. Preoccupiamoci anche di questo, per favore

Il coronavirus ci sta costringendo ad imbatterci in tante novità. Starà a noi, quando potremo permetterci di non piangere più un numero così alto di morti, trarne una lezione grazie alla quale potremmo essere davvero capaci di alzare lo sguardo oltre quei limiti in cui, noi stessi e la politica, siamo stati costretti negli ultimi decenni.

(Tratto da www.politicainsieme.com)


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