Il Mediterraneo è l’Europa



Domenico Galbiati    14 Maggio 2019       3

“Tutto il Mediterraneo è in Europa – affermava Aldo Moro – perché tutta l’Europa è nel Mediterraneo”.

Se la geologia avesse qualcosa da insegnare alla politica, dovremmo prendere atto di un curioso paradosso: le vallate prealpine in cui la Lega e’ nata ed ha prosperato altro non sono che un estremo lembo di terra africana.

Infatti, il nostro stivale riposa (si fa per dire, dati i ricorrenti terremoti) su quella frangia marginale della zolla continentale africana che va a conficcarsi, come uno sperone, in quella penisola terminale della piattaforma euro-asiatica che ha preso il nome di Europa. Non c’entra niente, ma, in un certo senso, è una cosa suggestiva che, in qualche modo, evoca l’ idea – questa sì non trascurabile – di un sostanziale destino comune o almeno di una reciprocità necessaria, tra Europa ed Africa, con cui dobbiamo fare i conti.

In vista di una nuova Europa che, dopo la consultazione del prossimo 26 maggio, possa riprendere il cammino dell’unità politica – smarrito, in definitiva, fin dall’agosto ‘54 quando, pochi giorni dopo la scomparsa di De Gasperi, l’Assemblea Nazionale francese respinse il trattato istitutivo della Comunità Europea di Difesa – andrebbero approfonditi alcuni aspetti che possono sembrare collaterali al tema, ma, in effetti, ne rappresentano dei riferimenti essenziali.

Anzitutto, dovremmo chiederci: atteso che la democrazia è nata ad Atene, il diritto a Roma e la Spagna ha vissuto la lunga stagione storica dell’incontro-scontro tra civiltà cristiana e cultura islamica che oggi si ripropone, quale può e deve essere il ruolo del nostro e degli altri Paesi mediterranei nella costruzione di quell’ unità europea che non può che radicarsi e nutrirsi della sua storia, prima che dei mercati?

In secondo luogo, come si pone effettivamente l’Europa di fronte al fenomeno migratorio che forse tutti – perfino molti tra i più attenti – sottovalutiamo e rappresenta, al contrario, la “cifra” ineludibile del nostro tempo, nella misura in cui annuncia quel processo di formazione di comunità multi etniche, multiculturali e, soprattutto, multi religiose che, a loro volta, sembrano alludere ad una sorta di “salto evolutivo” dell’umanità; processo tutt’altro che di breve momento che, al contrario, si prenderà, con ogni probabilità, per intero il nostro secolo e magari qualcosa in più ?

Ed anche qui: qual è il ruolo di quei Paesi – Spagna, Italia e Grecia – che, come un tridente, dall’Europa si proiettano nel Mediterraneo a lambire quasi la costa africana ed appena più ad Est le aree critiche del Medio Oriente e Gerusalemme che, a sua volta, evoca quelle radici giudaico-cristiane che, comunque, l’Europa non può scordare ?

La storia, la cultura che ha fecondato le rispettive sponde secondo percorsi che si intrecciano e rinviano l’uno all’altro segnalano una contiguità che va ben oltre la geografia.

Non sono certo i barconi dei nostri giorni a farci scoprire che l’Africa e’ lì – face to face – sull’uscio di casa nostra.

Come un monito, del resto, per la nostra cattiva coscienza di colonizzatori.

In definitiva, la stessa questione migratoria può essere temporaneamente sopita, ma in nessun modo risolta se non ragionando, appunto, sulla scorta di una sorta di aggregato “euro-africano”.

E forse davvero non è fuori luogo porsi in una prospettiva del genere nel momento storico in cui il fenomeno della globalizzazione evoca oppure addirittura esige che, secondo una dinamica ancora rozza di grandi blocchi continentali integrati, cominci a delinearsi una qualche embrionale forma di governo planetario.

Le migrazioni, peraltro, hanno percorso l’intera storia dell’umanità e sono da sempre un fattore indispensabile per la sua stessa evoluzione biologica.

A maggior ragione, per quella culturale.

Noi stessi siamo “migrazione”. Al punto che il nostro genoma non risale agli ominidi autoctoni, originariamente “europei”, ma piuttosto al bipede che faticosamente, cocciutamente ha occupato, fin da allora, le nostre terre giungendo dal Corno d’Africa.

Dovremmo essere consapevoli che, in un’ottica del genere, fulcro dell’Europa piuttosto che gli algidi Paesi del Nord diventa, al contrario, il Mediterraneo.

A maggior ragione Mare Nostrum, non più nel senso del possesso esclusivo, secondo cui tale lo diceva Roma, ma piuttosto nel senso della reciprocità’ e della comune appartenenza alle due sponde.

E forse varrebbe la pena riflettere se la stessa proiezione geografica così’ netta, quasi sfrontata e provocatoria, della nostra penisola al centro del mare, non la costituisca di fatto come un “ponte” che suggerisce una responsabilità’ che sta nelle cose ed a cui noi che tale ponte abitiamo, non possiamo sfuggire.

Ed infine: l’Europa come concepisce se stessa quale terra in cui la democrazia – sia pure scontando una condizione di difficoltà che deve avere il coraggio di riconoscere ed affrontare – ancora vive, assediata ad Est e – sia pure in altre forme – pure ad Ovest da imperi autocratici?

(Tratto da www.politicainsieme.com)


3 Commenti

  1. Oggi, c’è chi fa dell’immigrazione e della creazione di una società multietnica il centro del proprio interesse e della propria azione. Domenico Galbiati se ne fa interprete affrontando il tema migratorio in modo unilaterale senza considerare le dimensioni del fenomeno, i tempi e i limiti in cui può prendere corpo e la capienza e la ricettività dei territori di approdo.
    Le migrazioni, ci dice, hanno percorso l’intera storia dell’umanità e sono da sempre un fattore indispensabile per la sua stessa evoluzione biologica. Vero, tuttavia (come ho già avuto modo di dire in una relazione tenuta presso la nostra associazione), di ogni medaglia, non bisogna guardare una faccia sola, ma anche il retro, la faccia in ombra. Le migrazioni si sono verificate fin dal lontano tempo in cui l’Homo sapiens ha lasciato l’Africa per occupare tutte le terre del globo. Tuttavia, ove è giunto, sono scomparsi gli ominidi che l’avevano preceduto perché il nuovo venuto ha sottratto loro spazio, risorse, quando non li ha sterminati con le malattie portate e con la violenza. Una storia che con poche varianti si è ripetuta più volte nei molti secoli successivi (vedi Jared Diamond “Armi, acciaio, malattie”). Pensiamo alla gigantesca ecatombe prodotta dalle successive ondate migratorie europee nel continente americano in larga parte del quale hanno provocato l’estinzione della numerosa popolazione autoctona. E, a scanso di equivoci, il fenomeno non riguarda solo i “cattivi europei”, perché la stessa cosa è avvenuta nell’Africa meridionale con la discesa delle popolazioni bantù che ha prodotto la quasi estinzione delle popolazioni khoisan che la popolavano. Ed altrettanto nella penisola indiana e indocinese con l’arrivo dal settentrione delle ondate migratorie che hanno cancellato la presenza di popolazioni di tipo melanesiano. Ed ancora in Nuova Zelanda dove i Maori sopraggiunti hanno sterminato chi li avevano preceduti nelle isole. Neanche il crollo del mondo greco-romano, con la grande migrazione germanica, è stato un episodio felice per chi lo ha vissuto. Certo ci sono anche altri esempi con differente risultato, ma non è serio affrontare un fenomeno complesso e di difficilissima gestione come le migrazioni con banali e generiche affermazioni del tipo “ci sono sempre state”.
    Galbiati poi, nel quadro di futuri grandi blocchi continentali integrati, ci propone un blocco euro-africano: una Europa con all’incirca 600 milioni di abitanti e un’Africa che fra trenta anni avrà largamente superato i 2,5 miliardi di abitanti (circa la metà islamici), parte consistente dei quali si riverserà su un territorio europeo già densamente popolato. Chiediamoci se qualcuno può seriamente pensare che a tale evento sopravviverà qualche cosa della millenaria civiltà europea; ed altrettanto delle istituzioni delle quali Galbiati indica le origini nella Grecia antica e nella romanità. Ma forse è una domanda che non avrà risposta perché ritenuta priva di interesse da chi ormai guarda ad altri orizzonti.

  2. Da inesperto e da cittadino “semplice” mi permetto, rispetto alle considerazioni di Ladetto (e altre analoghe se ne aggiungeranno), di far presente che il fenomeno migratorio – come altre questioni attualissime – è un fenomeno complesso, e perciò da affrontare con delicatezza e concretezza, senza slogan e pregiudizi (non mi riferisco a Ladetto, ma ai sapienti del governo italiano); e per risolvere i problemi, non per accentuare le paure e le preoccupazioni. Se noi, pur in buona fede, continuiamo a rincorrere le posizioni di chi getta benzina sul fuoco, faremo solo un regalo a chi vuole innalzare muri, mostrare i muscoli al mondo, dimostrare che la solidarietà è cosa d’altri tempi e da accantonare nel sottoscala perchè non spazza via i diversi. Tutti sappiamo che ci piaccia o no, che sbarriamo le frontiere o meno, che affondiamo i barconi o meno, il fenomeno è epocale e in qualche modo lo si dovrà affrontare facendo spazio in Europa. Che altri Paesi europei non siano stati solidali con l’Italia non esime dal cercare soluzioni per integrare, per affrontare con umanità e rispettando la dignità umana la questione. Che non significa un buonismo sbracato e alla rinfusa: significa organizzare la sociatà in modo diverso, dare risposte anche alle nostre povertà e ai nostri giovani in cerca di occupazione, rivedere il modello ordoliberista che ci governa. L’unica cosa che penso sia da non fare è copiare il metodo sovranista e autarchico; questo sarebbe la negazione del popolarismo, della democrazia, dell’umanesimo sia cristiano che laico, e per chi crede del messaggio evangelico (il cardinale elettricista che ripristina la corrente al palazzo romano docet).

  3. Embrionale forma di governo planetario scrive l’autore. Mi vengono i brividi. Il grande fratello orwelliano poteva essere sconfitto dalle dinamiche comunitarie interne al singolo paese poiché esercitava il proprio dominio in un contesto nazionale. Un potere planetario sarebbe invincibile. Abbiamo visto cose terribili nella vecchia Europa ma qualcosa di buono lo abbiamo fatto: abbiamo la civiltà cristiana abbiamo combattuto i dittatori affermato liberta e democrazia sia pure in modo imperfetto. Teniamocele strette. Non disperdiamoci dietro le perniciose utopie globalizzatrici.

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