Europa, rimangono speranze



Redazione    3 Giugno 2018       1

Dall’ascolto dei tre relatori presenti all’incontro organizzato a Torino presso il Polo del ’900 dalla Fondazione Donat-Cattin lo scorso 31 maggio, vi proponiamo alcune delle idee espresse che ci siamo appuntati.

 

Maurizio Cotta, docente di Scienza politica all’Università di Siena, è stato il primo a intervenire.

Se facessimo uno stress test all'Europa (come è stato fatto alle banche) forse non ce la farebbe a superarlo. Questo non solo e non tanto sul piano economico e finanziario, ma per un complesso di cose. Ogni Stato gestisce più del 40% del reddito nazionale per rispondere alle esigenze dei cittadini, mentre il bilancio comunitario può disporre del solo 1% del reddito europeo. Ci sono rilevanti differenze di reddito e di condizioni di vita fra i Paesi aderenti all'Unione. La crisi economica ha colpito tutti, ma con pesantezza diversificata, e le differenze già presenti prima della crisi si sono fatte più marcate. Anche il fenomeno migratorio investe principalmente alcuni Paesi e non tocca altri. Per affrontare tali problemi manca una comune strategia: difetta la necessaria solidarietà perché non ci sente parte di una nazione.

Oggi l’UE è sostanzialmente un mercato comune. Il vertice comunitario esercita un ruolo regolatore (di un arbitro) ma non è parte attiva politica (un giocatore). Nei vari Paesi, la gente sente il peso e l'invadenza delle regole, ma non vede prendere corpo politiche capaci di affrontare i problemi. Di qui nasce la protesta e la caduta di consenso verso questa Europa. Senza un vero governo, l'attuale assetto e la stessa moneta non possono reggere a lungo. Bisogna fare passi avanti verso una Europa politica. Il punto di partenza è il Parlamento europeo in cui oggi troviamo rappresentanti espressione di partiti nazionali incapaci di esprimere una visione europea . Bisogna creare partiti sovranazionali per dare al Parlamento la capacità di imporsi sulle ottiche nazionali che ancora lo caratterizzano. Un'altra Europa è possibile, anzi è necessaria.

 

Ha poi parlato Franco Chittolina, uno dei tecnici – di formazione sindacale nella CISL – che hanno organizzato l‘OSE, Osservatorio sociale europeo.

La Comunità europea può essere paragonata a un albero con le sue radici, fusto e chioma. È un albero che è cresciuto molto, sui cui sono stati fatti numerosi innesti. Sono entrati a farne parte il Regno Unito e vari Paesi del nord Europa (che ne hanno accentuato il carattere prevalente di area di mercato), poi del Sud ed infine dell'Est. L'ingresso di questi ultimi è stato a lungo dibattuto fra chi riteneva che dovesse essere preceduto da passi avanti nella definizione di una costituzione europea e chi lo esigeva per ragioni geopolitiche. Hanno prevalso questi ultimi, e, alla luce dei fatti, lo si può ritenere un innesto mal riuscito.

Comunque, l'Unione non è solo economia: molte cose positive sono state fatte con normative che hanno lasciato un segno in vari ambiti, come ambiente, istruzione, sanità. Inoltre, nascono problemi nuovi a fronte dei quali le figure tecniche che formano la burocrazia comunitaria, e in specie i giuristi, appaiono inadeguate. Sono molto preparate tecnicamente, ma hanno perso la memoria e la visione di che cosa doveva diventare l'Europa pensata dai padri fondatori. C'è la questione dell'immigrazione con l'esigenza di regolare i flussi e di organizzare l'accoglienza? Questi signori ci dicono che non si può far niente perché i trattati non ne parlano e non ci sono precedenti a cui far riferimento. È ovvio che i fatti nuovi non hanno precedenti, ma è il diritto che si deve piegare alla realtà, e non viceversa. Il relatore, in conclusione, si dichiara in pieno accordo con chi lo ha preceduto auspicando che il Parlamento europeo abbia il coraggio e la capacità di condurre in avanti il processo unitario.

 

Ha chiuso gli interventi Bernard Guetta, giornalista e scrittore esperto di politica internazionale, molto attento ai temi della integrazione europea, ed editorialista per diversi quotidiani.

L’integrazione europea sembra avere molte zavorre, arenata su una concezione burocratica, attenta solo al rispetto dell’austerità finanziaria, esposta a venti nazionalisti e sovranisti che ne mettono in dubbio l’utilità e la missione. È comprensibile che possa prevalere una visione pessimista sul futuro dell’Unione europea. Poi però bisogna valutare alcuni fatti nuovi in prospettiva. Ad esempio il neo isolazionismo degli Stati Uniti: il presidente Trump ha fatto sapere che l’Europa non potrà più contare come prima “sull’ombrello atlantico”, cioè sull’incondizionata protezione americana di fronte a possibili tensioni internazionali. Potrebbe essere fonte di inquietudine, ma questo inizio di disimpegno dalla NATO è il punto di partenza di un necessario accordo tra i Paesi europei, nessuno dei quali può minimamente pensare di risolvere da solo il problema della sicurezza dei propri confini. Mettere in comune la difesa, la produzione di armamenti, la ricerca tecnologica strategica diventerà inevitabile. Così come proseguire nella cooperazione economica per fronteggiare colossi economici come la Cina e gli USA, sapendo dare una risposta unitaria alle scelte protezionistiche che arrivano da oltre Atlantico  e all’aggressiva espansione commerciale cinese. E poi le migrazioni dall’Africa e dall’Asia sono  un altro problema che dovrà necessariamente trovare risposte unitarie in Europa, frutto di una comune strategia.

“Sono stato anch’io pessimista sulle possibilità dell’Europa unita di avere un futuro. Ma ho rifatto tutti questi ragionamenti, mi sono ricreduto e ho capito di essere stato stupido a cadere nel pessimismo”, ha concluso Guetta.


1 Commento

  1. Pessimismo della ragione e ottimismo della volontà! Ma occorre dare ai giovani una prospettiva per il loro futuro (lavoro, famiglia sia pure di diverso tipo, prospettive di studio adeguato alle rapide innovazioni tecnologiche e sociali, formazione e aggiornamento permanente delle competenze, sviluppo delle capacità (che si fondano su valori di cooperazione e solidarietà e non di individualismo egocentrico o di narcisismo aggressivo sui deboli).
    Qui l’Italia non ha utilizzata pienamente e adeguatamente i fondi europei forse perché le classi dirigenti li vorrebbero usare per consenso rapido e non per investimenti a lungo termine come sono la creazione di centri efficienti di avviamento al lavoro, di formazione permanente e di sostegno alla famiglia, che sin’ora è stato in italia l’unica istituzione che ha tenuto nello sconquasso totale, ma che in futuro, se non sostenuta adeguatamente, anche con politiche pubbliche, lascierà il posto alla solitudine lavorativo-consumistica che molti danni ha fatto in Stati Uniti, Gran Bretagna ed ora anche in Francia.
    Ho una nuora francese, alsaziana, che si stupisce, da anni, di quanto la famiglia italiana supplisca alla mancanza di politiche pubbliche e sia ancora alla base della coesione sociale e comunitaria.
    Ancora per quanto?

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