La Germania e l’Europa, tra passato e futuro



Redazione    30 Maggio 2018       0

Mentre in Italia si litiga, ci si divide sull'atteggiamento da tenere verso la Comunità europea e, su questi temi, affondano proposte di governo e si creano crisi istituzionali, altrove si elaborano progetti da mettere in campo qualora continuasse lo stallo dell'Unione, o peggio, se la solidità dell'edificio diventasse ulteriormente critica.

Riteniamo utile segnalare un articolo (Il nucleo della Germania e il posto dell'Italia) di Federico Petroni su "Limes" del 18 maggio scorso, del quale forniamo una breve sintesi.

Le difficoltà del progetto europeo e le incongruenze strutturali dell’euro, che rendono inevitabile una nuova crisi monetaria, preoccupano Berlino. Neppure le proposte di riforma dell’Eurozona del presidente francese Emmanuel Macron (probabilmente destinate ad arenarsi ) convincono i tedeschi. Così c'è chi parla di Europa a due velocità e si fa strada il progetto di recuperare la nozione di euronucleo (Kerneuropa) per tenersi stretti i territori limitrofi più integrati nella filiera produttiva dell’industria tedesca. Si tratta di un’area da mantenere aperta agli scambi commerciali e di capitali, nonché da dotare di una valuta comune.

Chi farà parte di questo progettato euronucleo? Circolano carte geografiche in cui, oltre alla Germania, troviamo il Benelux, la Danimarca, l'Austria, la Slovenia, la Slovacchia, la Cechia e (attenzione!) il solo Nord Italia, territori le cui eccellenze manifatturiere sono avvinte all’economia teutonica in un’inevitabile simbiosi.

E la Francia (fino ad oggi il principale partner della Germania) dove si posiziona? Il Paese dell'esagono sarebbe estremamente indeciso se aderire o meno all’iniziativa, perché l’ufficializzazione della Kerneuropa sposterebbe molto più a est il baricentro dello storico nucleo franco-tedesco e sancirebbe la subordinazione francese alla Germania.

Per l'Italia, ove il progetto andasse in porto, la situazione diventerebbe estremamente difficile: sarebbe esposta a una spinta centrifuga, con il motore produttivo del Nord pronto a premere per restare nella sfera della Germania, mentre il resto del Paese, abbandonato a se stesso, finirebbe per affondare sempre più.

Questa lettura di "Limes" (una rivista di tutto rispetto per autorevolezza e competenza) ci propone uno scenario inquietante. Forse è solo un' improbabile ipotesi di studio o invece è qualche cosa di molto più serio. In ogni caso, sarebbe bene preoccuparsene.

 

Anche perché i tedeschi  ragionano in termini pragmatici. Ci è tornato alla mente il libro dell’ex ministro degli Esteri tedesco Joschka Fischer (L’Europa fallisce?) uscito nel 2014 e presentato su “Il Sole 24ore” da Riccardo Barlaam. Oltre a denunciare le “politiche di euroegoismo” attuate dalla cancelliera Merkel e dal suo ministro delle Finanze Schaeuble, la voce critica dell’ex leader dei verdi si era levata a ricordare la storica Conferenza di Londra del 1953, quando l’Europa cancellò alla Germania buona parte dei debiti di guerra. “Senza quel regalo – scrive l’ex ministro tedesco nel suo libro – non avremmo riconquistato la credibilità e l’accesso ai mercati. La Germania non si sarebbe ripresa e non avremmo avuto il miracolo economico”.

L’austerità imposta dalla coppia Merkel-Schaeuble, viene giudicata “devastante” perché ha imposto ai Paesi del Sud Europa “una deflazione dei salari e dei prezzi” impossibile da superare con il peso del rigore; così questi Paesi sono condannati “alla trappola della spirale dei debiti”, che impedisce la loro uscita dalla crisi con il pretesto del risanamento dei conti. Fischer accusa la Germania di essere “il più grande pericolo per l’Europa”: “Se la BCE non avesse seguito le decisioni di Draghi ma le obiezioni dei tedeschi a quest’ora l’euro non esisterebbe più”.

Ma peggio ancora è la rimozione del passato. Nel 1953 vennero condonati alla Germania i debiti di due guerre mondiali per darle la possibilità di ripartire. Tra i 21 Paesi che decisero allora di non esigere il conto c’erano anche l’Italia di De Gasperi e la Grecia che pure aveva subito enormi danni da parte delle truppe tedesche durante la seconda guerra mondiale. Il debito di guerra tedesco era stabilito in 23 miliardi di dollari, cifra enorme per i tempi. Con il trattato di Londra il debito fu dimezzato e dilazionato in 30 anni. Solo l’Unione Sovietica pretese il pagamento per intero. Il rimborso dell’altro 50% era però previsto dopo l'eventuale riunificazione delle due Germanie. Ma nel 1990 Helmut Kohl si oppose, per evitare il possibile default tedesco. E anche questa volta gli altri Stati, tra cui Italia e Grecia, acconsentirono di non esigere il dovuto. Così nel 2010 la Germania ha finito di rimborsare i debiti concordati nel 1953: senza l’accordo di Londra, avrebbe dovuto continuare a pagare per altri 50 anni.

Oggi la rigida posizione tedesca impone ai Paesi del Sud Europa una austerità che non permette l’uscita dalla crisi. Fischer punta il dito contro la Cancelliera: “Né Schmidt né Kohl si sarebbero voltati dall’altra parte. Avrebbero anzi approfittato della crisi per fare un altro passo avanti verso l’integrazione europea. La Merkel così distrugge l’Europa”.


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