Unione Europea: dall’austerità alla solidarietà



Mario Di Massa    7 Maggio 2018       0

Nel trattato di Lisbona del 2007, l’Unione Europea si prefiggeva di diventare in un decennio la più innovativa economia del Mondo. Nel 2010 invece si è verifica la crisi dei debiti sovrani con lo spread ai massimi storici. L’anno successivo i Paesi PIIGS (Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia, Spagna), declassati dalle agenzie di rating, hanno dovuto affrontare una lunga e complessa crisi economica.

Eravamo e siamo tuttora preoccupati per le scelte di austerità e per le riforme neoliberiste degli economisti dell’area euro, perché purtroppo si tratta di scelte che hanno protratto a lungo la crisi dei debiti sovrani e che hanno finito per condurre ad un’egemonia di Germania e Francia. Rammentiamo che la Germania concesse prestiti alla Grecia per consentire di importare le sue commodity (Mercedes, ecc.), salvo poi, quando la Grecia si è trovata in difficoltà, spostare i problemi delle sue banche sui cittadini europei (situazione in cui risultò sostanziale anche il contributo dell’Italia).

Ricordiamo inoltre che Obama, nel 2009, per riuscire a tirare fuori l’economia USA dalla recessione, scelse di riprendere le politiche che consentirono di uscire dalla crisi del ’29, adottato una politica ultra espansiva (immissione di una ingente quantità di liquidità nel sistema, affiancata ad una politica di tassi d’interesse a “zero”). L’opposto della politica economica di austerity sui conti pubblici imposta da Bruxelles e che ha portato a circa 120 milioni di cittadini in condizioni di povertà e almeno 50 milioni in stato di privazioni. Anche molti economisti hanno preso posizione al riguardo e sostengono che, quando si è in recessione, l’austerity non funziona, crea disoccupazione e fa abbassare i salari. Ad ulteriore riprova, i paesi dell’Eurozona hanno avuto minore crescita e maggiore disoccupazione rispetto ai Paesi che ne sono rimasti fuori.

È arrivato il momento di smettere di credere a dogmi che stanno portando al collasso il sistema EU. Quello che stiamo scoprendo con chiarezza, a distanza di 8 anni dalla crisi del 2010, è che l’economia stenta a riprendersi.

Gli effetti delle politiche di austerità hanno portato alla recessione, con livelli peggiori degli anni ‘30. Per alcuni Paesi, come la Grecia, è stato un disastro totale. La crisi ha tagliato pesantemente la spesa pubblica e l’effetto è stato il drammatico rallentamento della sua economia. Al contrario, i metodi adottati per ridurre il debito della Grecia hanno prodotto invece un ulteriore indebitamento. Ottenendo povertà, disuguaglianza e una cattiva distribuzione della ricchezza.

Infatti, i singoli Paesi membri dell’Eurozona tassano in euro, spendono in euro, fanno debito in euro ma non possono creare l’euro. Per questi Paesi l’euro è – di fatto – una moneta straniera. Il risultato è che i mercati possono mettere in sofferenza i governi periferici dell’Europa se vendono sufficienti quantità di euro. In sostanza, tali Paesi, non potendo stampare moneta, potrebbero non avere sufficiente liquidità per ripagare i detentori dei propri titoli ed, essendo perciò costretti a ricorrere ad ulteriori prestiti, potrebbero facilmente essere declassati e diventare a rischio default.

È inoltre da considerare che la spesa pubblica porta inflazione solo se si è arrivati oltre la propria capacità produttiva e si ha un livello di disoccupazione tendenzialmente nullo. Ovvero, se si continua a spendere senza avere più risorse. Invece la zona euro, con circa il 9% di disoccupati, è ancora ben al di sotto delle sue potenzialità economiche. In una economia in cui tutti cercano di ridurre il proprio debito, il governo deve intervenire per aumentare la domanda. L’esperienza insegna che gli investimenti devono innanzitutto essere indirizzati a infrastrutture, istruzione, ricerca, sanità, trasporti, energie alternative.

Come spesso il presidente Mario Draghi ha ricordato, una inflazione bassa ci impedisce di crescere. Ed è su questa base che, negli ultimi anni, in rispondenza al proprio mandato, la BCE con il QE ha positivamente immesso miliardi di euro (attualmente 25 miliardi mese) nei nostri mercati finanziari tramite l’acquisto di titoli di stato. Miliardi che però bisogna sottolineare stentano ad arrivare nell’economia reale (le imprese hanno purtroppo ancora eccessiva difficoltà a trovare finanziamenti). Da osservare, inoltre, che il prossimo anno la Germania intende proporre alla presidenza della BCE un suo rappresentante. Prospettiva questa per l’Italia e gli altri Paesi periferici alquanto allarmante.

Nella sostanza, l’austerity indebolisce il mondo del lavoro, smantella lo stato sociale e crea forti tensioni sociali. I servizi diventano accessibili solo per i cittadini che possono permetterseli ed umilia e taglia fuori i più deboli. Purtroppo, i burocrati di Bruxelles stanno disconoscendo le politiche sociali, favorendo i grandi interessi economici.

I fondamenti dell’Unione Europea devono invece essere democrazia e solidarietà. Occorre, perciò, al più presto concorrere a definire una road map per cambiare l’Europa così come tutti la vorremmo (immigrazione compresa). Ad esempio, ricette alternative nella zona euro sono possibili promuovendo una espansione della domanda interna dei Paesi oggi in avanzo, Germania prima di tutte, in modo da riuscire ad incentivare le esportazioni dei Paesi in disavanzo.


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