Popolari o cattolici democratici?



Alessandro Risso    31 Gennaio 2018       4

I commenti dei nostri lettori sono spesso interventi di notevole spessore, che ampliano e arricchiscono il dibattito originato dagli articoli pubblicati. Non di rado vale la pena riprenderne qualcuno e riportarlo alla ribalta per riflessioni più approfondite.
È il caso della questione posta dal professor Giuseppe Ladetto, nostro apprezzato opinionista, a margine di un articolo di Carlo Baviera intitolato "Cattolicesimo democratico, altro che favola".
Ladetto esplicita la sua personale difficoltà a mettere sullo stesso piano l'etichetta "Popolari" con quella di "Cattolici democratici". Vale la pena rileggere il suo intervento.
Voglio approfittare dell'importante articolo di Carlo Baviera sul Cattolicesimo democratico per porre una questione che non è di semplice natura nominalistica, nella speranza di non essere frainteso. Per chiarezza, cercherò di affrontare la questione partendo da una situazione personale. Non sono credente e tuttavia, nel quadro desolante delle offerte politiche attuali, trovo delle affinità con chi propone una visione del mondo ispirata a quei valori cristiani che hanno contrassegnato l'umanesimo e la nostra cultura di europei. Aggiungo che, in questi ultimi decenni, la voce della Chiesa è stata l'unica (capace di farsi ascoltare) a distinguersi dal coro generale ispirato a quel politicamente corretto la cui funzione è orientare l'opinione pubblica a un mondialismo dettato dagli interessi dell'imperante capitalismo finanziario.
Ora, mentre il richiamo ai “popolari” mi pare idoneo a contrassegnare ogni tipo di associazione (partito, movimento, circolo, ecc.) in grado di accogliere credenti e non credenti che condividono importanti obiettivi politici e culturali, il riferimento ai “cattolici democratici” esclude tale possibilità. Non basta sottolineare la laicità, il carattere non confessionale, l'autonomia rispetto alla Chiesa e l'apertura che ha contrassegnato la storia della formazione: il termine “cattolico” è centrale, essendo il sostantivo, mentre “democratico” è solo un aggettivo che qualifica dei cattolici, e solo dei cattolici.
Come ho detto, non ritengo si tratti di una questione nominalistica, ed in ogni caso le parole sempre contano molto. Non è un caso che don Sturzo abbia rifiutato, a suo tempo, il ricorso ad ogni vocabolo che potesse richiamare la religione (e ancor più la Chiesa) per denominare il partito da lui fondato. Io posso sentirmi a casa nell'Associazione Popolari, mai invece potrei esserlo in seno ai “Cattolici democratici”. Eppure vedo utilizzare le due denominazioni come fossero interscambiabili.
Ovviamente io non conto niente, ma ciò che ho detto vale per molte persone (non credenti o di altra fede) che potrebbero guardare con interesse ad una formazione popolare. Certamente comprendo quanto significhi, sul piano emotivo ed affettivo, l'appellativo “Cattolici democratici” per chi ha vissuto sotto questa insegna un tratto importante della propria vita. Tuttavia, se guardiamo all'oggi e soprattutto ad un impegno futuro che vada oltre la presenza dei soli cattolici, credo che definirsi “Popolari” sia il solo modo per contrassegnare un tale impegno, e ciò in particolare in Italia dove alle spalle di tale definizione c'è una storia ben identificabile.
Credo anch'io che non si tratti solo di una questione nominalistica, e condivido inoltre la convinzione – forse un po' retro nell'epoca dei tweet – che le parole abbiano un significato specifico, che dà loro peso e importanza. Va ricordato che gli storici hanno definito “cattolici democratici” i popolari che seguirono Sturzo nell'opposizione al fascismo, contrapposti ai “clerico-conservatori” che abbandonarono il PPI per appoggiare il nascente regime. Ma non è in questa distinzione che possiamo trovare una risposta all'obiezione di Ladetto. Prima di esprimere le mie considerazioni, lascio la parola alla replica di Baviera, che condivido in toto.
Non mi addentro più di tanto nelle considerazioni importanti di Ladetto, non avendone la necessaria competenza. Credo che la questione da lui posta sia fondamentale. Personalmente do una mia risposta. Il cattolicesimo democratico è una corrente di pensiero politico culturale, definito da alcuni tratti (così come indicati da Guido Formigoni), e che contribuisce alla progettualità anche (ma non solo) del "popolarismo". Mentre i "popolari" sono una componente più politica, in cui possono esserci non solo i cattolici democratici.
Ladetto perciò pone una questione corretta e io personalmente la condivido: promettendo di fare attenzione in futuro anche all'uso dei termini, per evitare confusioni. Aggiungo inoltre che, però, oggi risulta equivoco anche il termine "popolare" come sostantivo e come aggettivo: perché troppo abusato, a sinistra, al centro, a destra.
Parlando di popolarismo dovremmo far riferimento soprattutto a Sturzo, ma anche questo rischia di essere equivoco, perché si usa Sturzo solo come favorevole all'economia di mercato, contro lo statalismo e la partitocrazia. Per me Sturzo è molto di più: significa autonomie locali e sociali; regionalismo; impegno per l'estensione del voto e per il proporzionalismo; visione europea e internazionale di pace; riforme sociali, cooperazione, sindacalismo. E, per altro, ritengo che il pensiero di Sturzo vada portato più avanti, debba evolvere (tenendo conto anche delle polemiche con La Pira) verso una solidarietà e un corretto intervento degli Enti Pubblici per non lasciare libero campo alle semplici libere regole dell'impresa e del mercato.
Perciò il popolarismo oggi non può che essere riformista, di cambiamento, di allineamento con la più avanzata Dottrina Sociale. Mentre vediamo, anche in Europa, che i popolari si sono sostanzialmente accomodati in posizioni di moderatismo, assuefatti al pensiero prevalente della società del benessere. Il popolarismo deve tornare ad essere (non mi si fraintenda) "rivoluzionario", a fianco di chi lotta per cambiare la storia, per mettere al centro la persona, la comunità, i valori di socialità, la difesa del creato contro ogni interesse economico e contro ogni profitto. E da questo punto di vista quando parlo o scrivo sono in difficoltà; perchè non sentendomi socialista (parte di una storia della sinistra che è datata, con slogan, simboli, esperienze, ecc.) l'usare il termine "popolare" temo si possa confondere con il Partito Popolare Europeo, o con Casini o Alfano.
Baviera solleva una preoccupazione vera, l'ambiguità del termine “popolare”, soprattutto dopo la deriva conservatrice del PPE. Con la conseguente difficoltà nel far emergere i riferimenti cardine del Popolarismo, che ha così ben riassunto. Ora però tornerei al nòcciolo del problema posto da Ladetto: Popolari o Cattolici democratici?
Possiamo ricercare una risposta attingendo dalle parole di Luigi Sturzo. Alla vigilia di Natale del 1905 nella sua Caltagirone espone le sue idee nel celeberrimo discorso che apre la nuova fase di impegno per i cattolici italiani, ai quali si rivolge il sacerdote siciliano esortandoli a scegliere senza indugi la via della democrazia (cioè del progresso), contrapposta a quella della conservazione. E chiude così il suo discorso: “È logico affermare che il neopartito cattolico dovrà avere un contenuto necessariamente democratico-sociale, ispirato ai principi cristiani. Fuori di questi termini, non avrà mai il diritto a una vita propria: esso diverrà un'appendice del partito moderato”. Il fondatore e teorico del popolarismo parla apertamente di “neopartito cattolico”, perché ai cattolici si rivolge: a coloro che avevano concretamente risposto alla sollecitazione della Rerum Novarum creando una fitta rete di cooperative, casse di risparmio e credito, società di mutuo soccorso, sindacati, enti caritativi, tutto collegato nell'Opera dei Congressi. Ma i tempi non sono ancora pronti per la nascita di un partito, come dimostra la tormentata vicenda della Democrazia cristiana di Romolo Murri, che volle sfidare la gerarchia vaticana e finì scomunicato, mentre Sturzo preferì attendere tempi migliori per passare all'azione. Le condizioni maturano appena finita la Grande Guerra, con l'appello del 18 gennaio 1919. Un appello “ai liberi e forti”, non ai cattolici italiani.
Sturzo propone la “terza via” popolare e il programma del PPI a tutti i cittadini, senza una preliminare distinzione identitaria, che avrebbe creato una sorta di barriera d'accesso. Se al primo Congresso di Bologna risponde diplomaticamente ai padri Gemelli e Olgiati che gli rimproverano il mancato riferimento alla religione nel nome del nuovo partito – “È superfluo dire perché non ci siamo chiamati partito cattolico: i due termini sono antitetici; il cattolicesimo è religione, è universalità; il partito è politica, è divisione” –, Sturzo in realtà ha ben chiaro il valore della laicità, un caposaldo del popolarismo. E, in un certo senso, la traduzione pratica dell'insegnamento evangelico: “Date a Cesare quel che è di Cesare, e a Dio quel che è di Dio”.
Inoltre, se lamentiamo a ragione la tendenza di tanta sinistra a rinchiudersi nel recinto delle sue parole d'ordine e tradizioni, rendendo più difficile ricercare forme di collaborazione per un'azione tesa al bene comune e alla giustizia sociale, come potremmo creare a nostra volta un filtro preliminare sulla base della fede religiosa? Ha ragione Ladetto: definirsi “cattolici democratici”, “cattolici popolari” o “cristiani sociali”, mette il sostantivo al primo posto, e lo rende in qualche modo un requisito di ingresso.
Più corretto, e più in linea con l'insegnamento sturziano poi recepito da De Gasperi, sarebbe definirsi “democratici e popolari”, sostantivi che racchiudono già in sé forti contenuti e conseguenti impegni. Poi, per molti, sarà naturale aggiungere “di ispirazione cristiana”, perché il loro punto di partenza e di riferimento nell'azione quotidiana per costruire una società più giusta, coesa e solidale, quindi attenta – per primi – agli ultimi, risiede nel messaggio evangelico.
Allora, dovendo scegliere tra definirsi “Popolari” o “Cattolici democratici”, il primo termine è da preferire perché più inclusivo e in linea con la tradizione culturale e politica ereditata da Sturzo, nel cui partito confluirono principalmente, ma non esclusivamente, i cattolici italiani. E fa bene ribadire che la nostra Associazione riunisce “i Popolari” del Piemonte, ed è laicamente aperta a chiunque ne condivida valori e finalità.
Resta comunque ovvio e naturale che in tanti ci sentiamo legati all'insegnamento sociale della Chiesa, che ci ha guidati nel diventare cittadini consapevoli e in molti casi ci ha indotti ad impegnarci per il bene comune.
Ciascuno, insomma, può benissimo ritenersi “Popolare” e “Cattolico democratico”.


4 Commenti

  1. Un articolo, quello di Alessandro, utile perchè non solo fa chiarezza terminologica ma offre spunti politici e culturali essenziali e decisivi per comprendere il profilo “popolare” e “cattolico democratico” nella società contemporanea.

  2. Mah! La questione nominalistica ripresa e approfondita da Alessandro non appartiene alla serie delle cose che mi entusiasmano, specie se, nel trattare della questione, non si fa cenno specifico ai valori presenti nel partito politico che si sottintende. Partito Popolare semanticamente non ha sìgnificato preciso. Nel nostro paese ha un significato definito poiché richiama l’esperienza del Partito Popolare Italiano, creato nel 1919 da Don Luigi Sturzo e ricreato nel 1994 da Mino Martinazzoli, ma altrove lo stesso termine è stato usato per indicare partiti politici assai diversi fra di loro, e la semantica permette di farlo. Il collegamento Popolare = Governo del Popolo = Democrazia è un po’ forzato, per la debolezza della prima identità, e in effetti, a livello europeo, il Partito Popolare Europeo è alquanto disomogeneo al proprio interno e, di fatto, ha preso il significato di Partito di Centro (per quello che di significativo ha oggi questo termine – sic). Sembrerebbe che la denominazione Cattolici Democratici sia più precisa, ma purtroppo non lo è, non perché il cattolicesimo non abbia ben definito i suoi valori, ma perché molti sedicenti cattolici non li conoscono o, pur conoscendoli, non li rispettano nella loro vita concreta, e ancor più nella loro eventuale azione politica. In effetti, motivo di fondo dell diaspora democristiana degli Anni Novanta del secolo scorso è stato che i democristiani, pur definendosi tutti cattolici, avevano valori personali alquanto differenti tra di loro e il tetto della casa comune DC non era più adeguato, data la bufera di Mani Pulite. Allora, prima parliamo di valori, dei principi che sono contenuti nel canestro del bene comune che il partito di cui si parla intende proporre e sostenere; poi si potrà parlare, a ragion veduta, della denominazione del partito stesso. Alla fin fine, DEMOCRAZIA (sostantivo riguardante il modello di organizzazione della società politica) CRISTIANA (aggettivo che connota la declinazione del sostantivo, purché i valori posseduti e vissuti dagli aderenti al partito siano davvero cristiani) parrebbe essere tuttora la più corretta e adeguata…

  3. Anch’io sono grato al Direttore, e a tutti coloro che hanno preso parte alla discussione, per aver analizzato dal punto di vista culturale le ragioni della distinzione fra popolari e cattolici democratici. Fare chiarezza su questo tema ci aiuta a mettere a fuoco meglio il da farsi, sapendo che l’ambiguità sul termine “popolare”, utilizzato da forze dai più disparati orientamenti, si supera soltanto con il riferimento a un progetto politico adeguato al nostro tempo, a servizio del quale va tutta l’attività di questa nostra Associazione.

  4. Sulla base di quanto scritto nel mio “Conservatori, progressisti o innovatori” io propenderei per “Innovatori Cristiani”
    Ma è uno slogan, non ancora un programma.

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