Conosciamo da tempo il dibattito che circola quando si parla di cattolici impegnati in politica. Da un lato c'è chi, in modo anche un po' grottesco, pensa di rappresentare in modo esclusivo e coerente quei valori. I cosiddetti "sepolcri imbiancati" per dirla con Carlo Donat-Cattin o i "cattolici professionisti" come ci ricordava con sarcasmo Mino Martinazzoli. Poi c'è chi, correttamente, riconosce il profondo pluralismo che caratterizza l'arcipelago cattolico italiano e la diversità delle scelte politiche e partitiche. Infine ci sono coloro che, altrettanto correttamente, si impegnano per una prospettiva a più lunga scadenza che dovrebbe condurre alla nascita di una formazione laica e di ispirazione cristiana che riproponga nell'agone politico italiano una sorta di Partito popolare, aggiornato e modernizzato. E senza disconoscere il pluralismo. Ma, in attesa che questo progetto si stagli all'orizzonte – se mai dovesse decollare – si deve fare i conti con la concreta situazione politica italiana.
All'interno di questa cornice non può sfuggire che sul versante del centrosinistra – e cioè di una opzione politica democratica, riformista, progressista e socialmente avanzata – la presenza di un'area cattolico democratica e popolare continua a essere decisiva per qualificare quel progetto politico. Questo vale per il PD e, a maggior ragione, vale per la formazione appena decollata che va sotto il nome di "Liberi e uguali". In entrambi i casi, anche se il PD oggi è di fatto un "partito personale" (l'ormai famoso "PdR", per dirla con Ilvo Diamanti e Stefano Folli), si tratta di esperienze politiche "plurali" dove le diverse culture politiche devono saper fecondare l'elaborazione del progetto politico di riferimento. E proprio Pietro Grasso domenica scorsa a Roma, nel suo intervento che ha inaugurato la "discesa in campo" nella nuova formazione politica, ha individuato nel "cattolicesimo popolare e sociale" una delle componenti decisive per il profilo stesso del nuovo partito. E questo non per dargli una riverniciatura cattolica ma, soprattutto, per far sì che l'esperienza, i valori e le coordinate politiche e culturali del Popolarismo giochino un ruolo protagonistico nell'elaborazione del programma del partito. E non solo, di conseguenza, come semplice garanzia della sua pluralità culturale.
È inutile, però, girare attorno all'ostacolo. Lo abbiamo detto molte volte quando si parla di cattolicesimo sociale e popolare. Quello che è mancato per troppo tempo alla politica italiana, o meglio al centrosinistra italiano degli ultimi anni, è una "sinistra sociale" di governo capace di farsi interprete dei bisogni, delle esigenze e delle domande che salgono dalla società per tradurle, poi, in concrete scelte politiche e legislative.
Abbiamo da imparare dal passato al riguardo? La risposta è molto netta: sì. Dobbiamo imparare molto, a cominciare proprio dall’esperienza della sinistra sociale nella Democrazia cristiana, che si è sempre contraddistinta per la sua vocazione di governo, e non solo testimoniale, accompagnata però da una reale capacità di saper intercettare e rappresentare quei bisogni. E oggi, di fronte ad una "questione sociale" semplicemente drammatica – l'ultimo numero agghiacciante ce lo ha fornito l'ISTAT con quasi 18 milioni di persone a rischio povertà in Italia – non è più eludibile la presenza di una "sinistra sociale" di governo nel campo del centrosinistra.
Altro che il dibattito sulle banche, sulle fake news, sul partito personale e sulle capacità salvifiche e miracolistiche dell'uomo solo al comando. Se ci si riduce a questo dibattito è persin naturale che fasce crescenti di emarginati, di nuovi poveri e di non inclusi guardino politicamente altrove. Come è già puntualmente capitato alle ultime elezioni amministrative. In particolare a Torino dove la guida di centrosinistra alla città per un ventennio ha progressivamente smarrito le sue radici culturali per diventare il riferimento esclusivo del "sistema", del potere e dei "garantiti".
Ecco perché, anche da una formazione politica come quella di "Liberi e uguali" – al netto della propaganda spicciola, ridicola sulla "cosa rossa" e sul "ritorno dei comunisti" – la presenza di un'area cattolico democratica, popolare e sociale può essere decisiva per centrare un obiettivo che dovrebbe essere comune a tutta l'area di un vero centrosinistra.
Un centrosinistra, però, che non si vuol ridurre a un semplice prolungamento delle politiche del centrodestra o a uno schieramento che pensa di essere moderno cancellando le storiche differenze tra la "destra" e la "sinistra". Che, piaccia o non piaccia, continuano a esistere anche quando i soloni della modernità hanno decretato che sono parole desuete e che appartengono alla stagione lontana e irripetibile del Novecento.
Le questioni che abbiamo sul tappeto e, soprattutto, le risposte politiche che devono essere date non sono indistinte o generiche. Appartengono anche a una gerarchia dei valori. Ed è proprio su questo terreno che la destra e la sinistra sono e restano alternative.
All'interno di questa cornice non può sfuggire che sul versante del centrosinistra – e cioè di una opzione politica democratica, riformista, progressista e socialmente avanzata – la presenza di un'area cattolico democratica e popolare continua a essere decisiva per qualificare quel progetto politico. Questo vale per il PD e, a maggior ragione, vale per la formazione appena decollata che va sotto il nome di "Liberi e uguali". In entrambi i casi, anche se il PD oggi è di fatto un "partito personale" (l'ormai famoso "PdR", per dirla con Ilvo Diamanti e Stefano Folli), si tratta di esperienze politiche "plurali" dove le diverse culture politiche devono saper fecondare l'elaborazione del progetto politico di riferimento. E proprio Pietro Grasso domenica scorsa a Roma, nel suo intervento che ha inaugurato la "discesa in campo" nella nuova formazione politica, ha individuato nel "cattolicesimo popolare e sociale" una delle componenti decisive per il profilo stesso del nuovo partito. E questo non per dargli una riverniciatura cattolica ma, soprattutto, per far sì che l'esperienza, i valori e le coordinate politiche e culturali del Popolarismo giochino un ruolo protagonistico nell'elaborazione del programma del partito. E non solo, di conseguenza, come semplice garanzia della sua pluralità culturale.
È inutile, però, girare attorno all'ostacolo. Lo abbiamo detto molte volte quando si parla di cattolicesimo sociale e popolare. Quello che è mancato per troppo tempo alla politica italiana, o meglio al centrosinistra italiano degli ultimi anni, è una "sinistra sociale" di governo capace di farsi interprete dei bisogni, delle esigenze e delle domande che salgono dalla società per tradurle, poi, in concrete scelte politiche e legislative.
Abbiamo da imparare dal passato al riguardo? La risposta è molto netta: sì. Dobbiamo imparare molto, a cominciare proprio dall’esperienza della sinistra sociale nella Democrazia cristiana, che si è sempre contraddistinta per la sua vocazione di governo, e non solo testimoniale, accompagnata però da una reale capacità di saper intercettare e rappresentare quei bisogni. E oggi, di fronte ad una "questione sociale" semplicemente drammatica – l'ultimo numero agghiacciante ce lo ha fornito l'ISTAT con quasi 18 milioni di persone a rischio povertà in Italia – non è più eludibile la presenza di una "sinistra sociale" di governo nel campo del centrosinistra.
Altro che il dibattito sulle banche, sulle fake news, sul partito personale e sulle capacità salvifiche e miracolistiche dell'uomo solo al comando. Se ci si riduce a questo dibattito è persin naturale che fasce crescenti di emarginati, di nuovi poveri e di non inclusi guardino politicamente altrove. Come è già puntualmente capitato alle ultime elezioni amministrative. In particolare a Torino dove la guida di centrosinistra alla città per un ventennio ha progressivamente smarrito le sue radici culturali per diventare il riferimento esclusivo del "sistema", del potere e dei "garantiti".
Ecco perché, anche da una formazione politica come quella di "Liberi e uguali" – al netto della propaganda spicciola, ridicola sulla "cosa rossa" e sul "ritorno dei comunisti" – la presenza di un'area cattolico democratica, popolare e sociale può essere decisiva per centrare un obiettivo che dovrebbe essere comune a tutta l'area di un vero centrosinistra.
Un centrosinistra, però, che non si vuol ridurre a un semplice prolungamento delle politiche del centrodestra o a uno schieramento che pensa di essere moderno cancellando le storiche differenze tra la "destra" e la "sinistra". Che, piaccia o non piaccia, continuano a esistere anche quando i soloni della modernità hanno decretato che sono parole desuete e che appartengono alla stagione lontana e irripetibile del Novecento.
Le questioni che abbiamo sul tappeto e, soprattutto, le risposte politiche che devono essere date non sono indistinte o generiche. Appartengono anche a una gerarchia dei valori. Ed è proprio su questo terreno che la destra e la sinistra sono e restano alternative.
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