Il recinto della sinistra



Alessandro Risso    12 Dicembre 2017       5

Le elezioni politiche si avvicinano e le forze in campo sono note.
Il centrodestra, aggregato dal redivivo - e pregiudicato, non dimentichiamolo - Berlusconi, in ascesa nelle recenti elezioni e nei sondaggi. Il partito di Renzi, in calando continuo di consensi da tre anni a questa parte. Questi due schieramenti rappresentano quello che per comodità chiamiamo "il sistema". Non a caso si profila una loro collaborazione di governo dopo il voto nel caso, probabile, che non ci sia un vincitore con i numeri per governare. Collaborazione che si è avuta con il governo Letta e, di fatto, con i successori Renzi e Gentiloni: per confermarlo basti pensare al ruolo di Verdini e soci, stampella al Senato in più occasioni.
Il Movimento 5 Stelle, stabile da tempo vicino al 30% delle intenzioni di voto, drena invece i consensi "contro il sistema".
Nel dualismo tra sistema - il cui azionista di maggioranza rimane Berlusconi, l'originale, e non Renzi, la copia - e antisistema intravediamo il nuovo bipolarismo italiano.
Esiste però un elemento fondamentale, e sottovalutato dal circo mediatico, che va considerato: l'astensionismo in costante aumento. Se sommiamo i consensi attuali alla composita coalizione di destra, al PD e cespugli alleati, ai 5 Stelle, non arriviamo a metà del corpo elettorale. Di fronte a tale offerta politica, tantissimi cittadini scelgono il non voto.
Scelta comprensibile, per una serie di motivi.
I partiti si sono arroccati nel fortino dell'autoreferenzialità, come ha ben dimostrato l'ennesima legge elettorale voluta per garantire i nominati attraverso i listini bloccati. I capi dei partiti personali hanno ridotto il dibattito politico a una sorta di commedia dell'arte con maschere e ruoli predefiniti e ripetitivi. La necessità di cambiare il nostro Paese, guarendolo dalle sue malattie (individualismo e carenza di senso civico, clientelismo, corporativismo, corruzione, evasione ed elusione fiscale, lentezza della giustizia, lassismo e inefficienze nella Pubblica Amministrazione) è stata delusa da riforme schizofreniche, tra roboanti propositi, decisioni errate, lacunose e contraddittorie, risultati deludenti. Coloro che si sono vantati di cambiare la politica in Italia, al governo o nei grandi Comuni che amministrano, hanno dimostrato di puntare ad altro o si stanno dimostrando inadeguati. E intanto aumenta la povertà e si allarga la forbice delle ricchezze, che premia una esigua minoranza di benestanti e impoverisce gli strati bassi e medi della piramide sociale.
È naturale che sia aumentata la sfiducia nel presente e nel futuro, causa prima dell'astensionismo.
Tra i più disillusi vi sono gli elettori che nei decenni passati si affidavano ai partiti del centrosinistra. Se prima la sfiducia era causata dalla loro scarsa coesione, la trasformazione del Partito Democratico nel PdR, il partito di Renzi, così simile a Forza Italia per prassi e contenuti, ha creato in molti un senso di tradimento dei valori, espressi nella Costituzione, che hanno rappresentato il collante dei riformisti italiani. Nel momento in cui i partiti continuano a preoccuparsi più del controllo delle banche che della lotta alla disoccupazione, in cui l'individualismo liberista e le disuguaglianze prevalgono, in cui ritornano prepotenti rigurgiti neofascisti, ci sarebbe lo spazio politico per rilanciare una “alleanza popolare per la democrazia e l'uguaglianza”: uso il nome con cui Tomaso Montanari e Anna Falcone, tra gli animatori del fronte del No al referendum costituzionale, hanno battezzato il loro tentativo di costituire una formazione capace di raccogliere quel consenso disperso. Iniziativa fallita in pochi mesi per le tensioni create da Rifondazione comunista, forza organizzata che ha cercato di condizionare pesantemente e “mettere il cappello” sul movimento. Ma l'insuccesso, come tanti in precedenza, ha avuto una causa più generale: l'indomabile tendenza dei partiti, gruppi e militanti della sinistra di rinchiudersi nelle loro orgogliose tradizioni, nelle solite parole d'ordine, incapaci di essere inclusivi aprendosi a culture e ambienti diversi.
I valori di democrazia, eguaglianza e giustizia sociale che si possono associare alla parola “sinistra” per darle contenuto, non sono patrimonio dei soli partiti e gruppi di sinistra. La nostra Costituzione ha avuto il contributo anche di Togliatti e Nenni, ma non è né comunista né socialista. È democratica.
La sinistra che si chiude nel suo recinto identitario non riuscirà a far molto meglio del 6% ottenuto dal candidato presidente Fava alle regionali siciliane. Quindi, se non autolesionista, è almeno limitante il continuo richiamo a una etichetta – la sinistra – che fa battere il cuore solo ad una minoranza di militanti. Nel 2016, in un sondaggio sull'orientamento politico degli italiani, appena il 12 % degli intervistati si è dichiarato “di sinistra” (11 di centrosinistra, 5 di centro, 4 di centrodestra, 12 di destra). Ma il 56% non si è collocato, perché nella crisi di valori, sociale ed economica, le etichette sono diventate prive di significato per la grande maggioranza. Se invece si passa dalle etichette alle idee, ai contenuti – democrazia, eguaglianza, diritti/doveri, giustizia sociale – e alle loro applicazioni concrete, ci si può intendere meglio. La mobilitazione per il No al referendum di un anno fa, con l'inattesa alta affluenza alle urne, ne è la dimostrazione. E merita ricordare un significativo sondaggio dell'Istituto Cattaneo: un terzo di coloro che ha votato No al referendum lo ha fatto per un giudizio di merito sui contenuti della riforma, ritenendo che avrebbe peggiorato la nostra Carta costituzionale. Sono 6 milioni di elettori, i quali vorrebbero che la Costituzione venisse prima attuata, non cambiata.
Questi 6 milioni di persone rappresentano i primi interlocutori a cui una “alleanza popolare per la democrazia e l'uguaglianza” dovrebbe rivolgersi. Ma per parlare a questa massa di elettori, a qualche altro milione di astenuti, ad almeno metà di coloro che votano 5 Stelle e PD – quindi a oltre il 50% del corpo elettorale interessato al cambiamento – non conviene rinchiudersi nel recinto, glorioso e orgoglioso quanto si vuole, della sinistra.
Adesso, dopo il tentativo fallito di Montanari/Falcone, dopo che l'incerto Pisapia con il suo “Campo Progressista” ha gettato la spugna, è salpata la nave di “Liberi e uguali”. Un risultato sorprendente si è già avuto: dopo le ripetute divisioni a sinistra, tre partiti (MDP, Sinistra Italiana e Possibile) si sono fusi in un'unica forza politica. Il leader è una personalità tutta d'un pezzo come Pietro Grasso, e il manifesto costituente ha toni e contenuti condivisibili. I principali promotori del nuovo soggetto politico, Bersani e D'Alema, ascoltati in diverse occasioni, non hanno battuto sul tasto ossessivo della sinistra, convinti che solo una proposta aperta e di ampio respiro possa recuperare dall'astensionismo i molti che vi si sono rifugiati. Pare si rendano conto anche loro che una ennesima ridotta di sinistra sarebbe non solo perdente alle elezioni, ma inutile, senza prospettiva.
Vedremo dove porteranno i futuri sviluppi del progetto, quali idee e proposte concrete diventeranno le priorità caratterizzanti di “Liberi e uguali”, e se riuscirà a far rinascere un po' dello “spirito dell'Ulivo”. Sapendo bene che le idee camminano con le gambe delle persone.


5 Commenti

  1. Condivido in pieno l’analisi di Alessandro. Dubito però che in D’Alema abbia mai soggiornato lo “spirito dell’Ulivo”. E Grasso sarà in grado di tenere a bada il nostro “baffino”? Ai posteri l’ardua sentenza.

  2. Beh, che dire. Un articolo che riflette, con rara lucidità, il panorama politico e culturale dell’attuale centro sinistra. Cioè un campo di macerie. Dando per scontato che il Pdr, il partito di Renzi, non è più in grado di recuperare il progetto originario del Pd, credo sia importante che la formazione che nasce attorno al Presidente Grasso riesca adesso a recuperare le ragioni fondanti di un centro sinistra di governo. Plurale e inclusivo. Dopodiché sarà il voto di marzo a dirci e a spiegarci come potrà essere ricostruita una coalizione di centro sinistra. Che oggi, purtroppo, è stata azzerata dalla “vocazione maggioritaria” di Renzi e dall’isolamento politico ed elettorale del Pd.

  3. Condivido anch’io l’analisi di Alessandro. Come sottolineo quanto sostenuto in merito al voto referendario di un anno fa (il 30% dei NO lo ha fatto per un giudizio di merito); anche se ritengo che sia opportuno, per tutti, mettersi alle spalle quel risultato e non riprendere le polemiche. Serve invece ripartire dall’applicazione della Costituzione, in particolare su lavoro, politiche di pace, solidarietà e diritti, famiglia… oltre al guardare ad un’Europa sociale e della cultura. Per quanto riguarda la nuova formazione di sinistra: bene le dichiarazioni ufficiali e i propositi, ma si tratta di capire se e quanto spazio esiste per la cultura “personalista, di fraternità, di federalismo comunitario” (il cattolicesimo democratico e popolare) e per i leaders che lo incarnano. In sostanza, pur nella discontinuità che deve esserci rispetto alle esperienze del ‘900, se si mettono insieme in modo plurale e rispettoso le diverse culture e provenienze, oppure se è la continuazione pur rinnovata della storia delle sinistre socialiste e laiche.

  4. Alessandro mette impietosamente il dito nella piaga maggiore delle forze progressiste: la loro difficoltà nel tradurre in proposte concrete i valori che declamano. Infatti, come si può esser credibili a dichiarare di volere politiche per il lavoro, i diritti sociali, la riduzione delle disuguaglianze, senza prendere le distanze da ciò che rende la società, la classe media e lavoratrice più povera, ovverossia la privatizzazione delle politiche monetarie e di bilancio? Siccome gran parte della sinistra sulle materie economiche alla fine ragiona come Monti o Draghi, l’elettorato popolare la punisce con ragione nelle urne.

  5. L’analisi di Alessandro è puntuale e dà una panoramica completa dell’attuale panorama politico italiano; vorrei solo rimarcare che quest’ultimo è lo specchio dei vizi degli italiani da lui elencati:”individualismo e carenza di senso civico, clientelismo, corporativismo, corruzione, evasione ed elusione fiscale”. La frammentazione delle forze non nel nome di un bene comune e di un interesse generale ma di personalismi nascosti dietro motivi ideologici spesso incoerenti con i comportamenti privati e pubblici di chi li propugna, è il paradigma di questa vocazione dell’italiano medio a cercare sempre e comunque la propria affermazione, a coltivare il suo orticello, costi quel che costi anche la demolizione di un soggetto politico a favore degli avversari, in una logica che con le stesse armi e atteggiamenti della vocazione maggioritaria tanto osteggiata si fa a sua volta massimilasta, intransigente e sempre più lontana dai problemi concreti. Le questioni di principio travalicano i contenuti e il merito dei problemi, oggi complessi e articolati al punto da diventare persino secondario se un provvedimento giusto e necessario viene votato anche da altre coalizioni di diverso orientamento politico, per lo meno alla luce del cittadino moderno medio che chiede più concretezza e meno ideologia. Le ideologie non sono morte, i valori sono sempre gli stessi, ma il cittadino si astiene dal voto perchè stanco di come vengono declinati a vuoto, in un clima di continua rissa e delegittimazione dell’avversario politico e mai tradotti in provvedimenti concreti. Perchè fondare mille partitini con il proprio nome per dare sfogo al personalismo e non lavorare invece all’interno di una grande formazione perchè i tuoi valori diventino opzione maggioritaria e motore dell’azione legislativa? Perchè “liberi e uguali” non poteva lavorare all’interno del PD? Siamo o non siamo consci che l’italiano medio è di centro/centro destra e non di sinistra? Siamo consci che chi si astiene è perchè non trova proposte forti e chiare da parte di nessuno, non rispetto ai massimi sistemi ma ai problemi del lavoro, della disoccupazione giovanile, della lentezza della giustizia, delle pensioni, dei migranti, dei privilegi inaccettabili della politica rispetto ai paesi stranieri, delle sparatorie per le strade della malavita che uccidono persone innocenti? e la lista potrebbe essere molto molto lunga. Tutti temi sui quali il populismo va a nozze mentre noi ci preoccupiamo dei distinguo ideologizzati facendo gemmare nuove formazioni politiche aumentando il distacco dell’elettore medio che vede solo più risse e mai dibattiti sui contenuti e proposte chiare e comprensibili. Meditiamo bene e attentamente dove sono le responsabilità della disgregazione della sinistra: diffido delle condanne sommarie contro una sola persona, oggetto spesso di odio ingiustificato. Le responsabilità sono collettive ed ognuno nel suo piccolo faccia cristianamente un bel mea culpa.

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