Spagna: 50 anni dalla morte di Franco



Aldo Novellini    23 Novembre 2025       1

Sono passati cinquant'anni anni - giorno più giorno meno - da quel 20 novembre 1975, quando dopo un'agonia di alcune settimane, moriva Francisco Franco, Caudillo di Spagna salito al potere quasi quaranta anni prima. Finiva - dopo quello di Lisbona travolto dalla Rivoluzione dei Garofani l'anno precedente - l'ultimo regime autoritario dell’Occidente. In attesa che il favoloso vento dell'89 facesse cadere come un gigantesco domino anche i totalitarismi dell'est europeo.

Alla sua morte Franco lasciava una Spagna che da parecchi anni era immersa in un limbo tra un regime che pareva eterno e una società ormai insofferente delle sue briglie. Con l’avanzare dell’età del Caudillo si avvicinava sempre più un approdo ignoto ed incerto un po' per tutti: per gli uni la speranza di una compiuta democrazia, per gli altri l'illusione della continuità franchista senza il suo fondatore.

Sino alla fine Franco mantenne intatte le redini del proprio potere assoluto. Nel settembre, di quello stesso 1975, diede il via libera alla condanna a morte di tre terroristi dell'Eta, sfidando le proteste di mezzo mondo, incurante persino degli appelli di Paolo VI.

Il 1° ottobre l'ultima apparizione pubblica, nell'anniversario della presa del potere, 39 anni prima. Quel primo giorno di ottobre del 1975, cinquanta giorni prima della sua scomparsa, evocando la vicenda dei terroristi garrotati, parlò di una Spagna vittima di un complotto massonico orchestrato dal comunismo internazionale. Poche parole scandite a fatica dinanzi ad una folla plaudente convenuta da tutto il Paese. Sarebbe stato l'atto finale di un'epoca prossima al tramonto.

E il tramonto fu più rapido di quanto ci si potesse aspettare. Del nuovo re, Juan Carlos, si sapeva poco o nulla. Franco lo aveva nominato suo successore solo sei anni prima, con la definitiva restaurazione della monarchia. Il giovane sovrano era una vera incognita, ma si capì subito che la musica sarebbe stata un'altra, perché già nel suo primo intervento come nuovo Capo dello Stato, parlò di una Spagna pacificata nella quale avrebbe dovuto esserci spazio per tutti.

Nel giro di tre anni, vissuti in mezzo al guado tra reazioni conservatrici e spinte progressiste, la Spagna cambiò volto divenendo una delle grandi democrazie europee. La Costituzione del 1978, che in molte sue parti ricalca la nostra Carta costituzionale, ha permesso il dispiegarsi di uno Stato di diritto, rispettoso delle libertà individuali e delle autonomie regionali. E la monarchia seppe accompagnare questo percorso.

Ce ne accorgemmo tutti quanti un giorno di fine febbraio del 1981, quando le Cortes furono invase, armi in pugno, da un gruppo di militari nostalgici del franchismo. L'abbozzo di un colpo di Stato. Fidando, forse, nell'acquiescenza del sovrano. Juan Carlos, in un discorso alla nazione, sconfessò invece nel modo più netto ed inequivocabile questo tentativo di riportare indietro le lancette dell'orologio.

Poi nel 1982 vi fu l'arrivo della sinistra alla guida del Paese a segnare, per molti versi, la rivincita degli sconfitti della Guerra civile. Con esemplare buon senso il Partito socialista, guidato da Felipe Gonzalez, evitò di attardarsi nelle polemiche sul passato, impegnandosi piuttosto a costruire la Spagna del futuro. Quella di oggi. Una nazione in cui conquiste sociali e diritti civili la pongono all’avanguardia tra le moderne democrazie. Una scommessa che mezzo secolo fa, di questi giorni, pareva forse impossibile realizzare e che oggi proprio le generazioni più giovani non sembrano soppesare appieno nella sua riuscita.

Un'inchiesta tra i giovani, riportata dal quotidiano El Pais, ha infatti messo in luce che almeno un quarto del campione intervistato prova qualche nostalgia per il franchismo ritenendolo un periodo nel quale fu anche fatto qualcosa di buono per il Paese. E citano le opere pubbliche o il primo abbozzo di welfare state, esaltando il decisionismo della dittatura in contrapposizione ad una democrazia considerata inconcludente e corrotta.

Siamo alle solite: una dittatura pluridecennale (ci ricorda qualcosa?) e le presunte cose buone che ha fatto. E' persino banale riconoscere che anche un regime autoritario possa aver preso, nel corso del tempo, qualche provvedimento utile al proprio Paese. Il punto però non è quello, perché altrimenti si guarda il classico dito anziché osservare la luna.

E se il dito sono le “cose buone” (le autostrade o le norme per la maternità), la luna è invece una feroce dittatura che dopo una guerra civile, costata mezzo milioni di morti, ha cancellato libertà e democrazia, incarcerato o ucciso gli oppositori, distrutto le autonomie locali. Questo fu il franchismo.

Il resto: le opere pubbliche e quant'altro, lo avrebbe fatto sicuramente meglio una qualsiasi democrazia liberale. Come mostrano questi cinquant'anni, con una Spagna che da Paese fortemente arretrato è divenuta una delle nazioni più sviluppate.


1 Commento

  1. Guardare il dito e non la luna…
    Certo, messaggio chiaro.
    Tutte le dittature fanno qlc di buono, perché anche di approvazione popolare si nutrono.
    La domanda è COME queste opere sociali sono fatte, a che prezzo?
    Hitler ha ,inventato’ da zero la Volkswagen, Stalin ha creato una meravigliosa metropolitana a Mosca, facendoci lavorare autentici schiavi, Mussolini ha risanato l’agro pontino….
    Erano comunque governanti, cercavano consensi e stabilità.
    Il problema resta il COME…
    Facciamo attenzione anche noi in Europa (senza entrare nei particolari).

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