Le Forze Armate che vogliamo



Redazione    4 Novembre 2025       4

Nel giorno delle Forze Armate pubblichiamo una storia dimenticata, trovata in rete alla pagina Fb WMS - War Meme Squad Italia che l’ha meritoriamente riproposta. È un limpido e nobile esempio di cosa devono essere l’Esercito, la Marina e l’Aviazione in una Nazione, secondo la sua Costituzione, “ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”.

1979: IL MARE DEGLI ULTIMI

Il 30 aprile 1975 Saigon cadde.
Il Nord comunista trionfò, il Sud scomparve, e con esso milioni di destini.
La guerra del Vietnam finì, ma la pace che seguì non ebbe volto.
I vincitori riempirono i campi di rieducazione, i vinti riempirono il mare.
Centinaia di migliaia di uomini, donne e bambini si imbarcarono nella notte su gusci di legno, barche da pesca, camere d’aria.
Fuggivano verso l’ignoto, sperando che la corrente fosse più misericordiosa degli uomini.
Li chiamarono "Boat People".
Tra il 1975 e il 1980 più di un milione di vietnamiti tentarono la fuga via mare.
Decine di migliaia morirono.
Il Mar Cinese Meridionale divenne un cimitero invisibile, un oceano di voci sommerse.
Fu allora che l’Italia decise di non voltarsi dall’altra parte.
Le ambasciate italiane di Bangkok e Manila trasmettevano rapporti drammatici: barche in avaria, intere famiglie alla deriva, bambini che morivano di sete.
Nessuna grande potenza agiva. Le navi mercantili spesso ignoravano volutamente le imbarcazioni alla deriva.
Ma in un ufficio del Ministero della Difesa un uomo propose qualcosa di mai tentato.
L’Ammiraglio di Squadra Sergio Agostinelli, comandante dell’8º Gruppo Navale, chiese l’autorizzazione a partire con tre navi da guerra non per combattere, ma per salvare.
Roma approvò.
Il 27 giugno 1979 arrivò l’ordine.

Il 4 luglio, da La Spezia, salpò l’incrociatore Andrea Doria; il giorno dopo, da Taranto, partirono il Vittorio Veneto e la nave rifornitrice Stromboli.
Tre navi, mille uomini, un oceano da attraversare.
Non portavano munizioni: portavano riso, coperte, medicinali e un compito impossibile, dare speranza ai vivi.
Attraversarono il Canale di Suez e l’Oceano Indiano, fino al Mar Cinese Meridionale.
Undicimila miglia di viaggio, quaranta gradi di calore, mare infestato da pirati e relitti.
Gli elicotteri Agusta-Bell AB-204 e AB-212 scandagliavano l’orizzonte.
I radar cercavano ombre di legno e disperazione.
Le prime barche furono avvistate al largo del Golfo del Siam.
Piccoli relitti carichi di corpi.
I profughi tendevano le mani verso l’alto, come ciechi verso la luce.
Molti si gettarono in mare pur di raggiungere le navi italiane.
I marinai calarono scialuppe, tirarono su bambini, donne incinte, vecchi disidratati, uomini che non ricordavano più la terraferma.
Ogni salvataggio era una preghiera fatta carne.
Gli hangar degli elicotteri vennero trasformati in dormitori.
Le cucine servirono tonnellate di riso, le infermerie curarono ferite e febbri.
Don Luigi Callegaro, cappellano dell’8º Gruppo Navale, scrisse:
“I bambini si sono scelti un marinaio ciascuno, come protettore. Li seguono ovunque. I genitori si inchinano, non capiscono le parole, ma comprendono la bontà.”
Tra i salvati c’era anche una donna incinta: partorì a bordo dell’Andrea Doria.
Il bambino fu battezzato “Andrea”, in onore della nave che gli aveva dato la vita.

Alla fine, le tre unità italiane percorsero 2.640 miglia nautiche e pattugliarono 250.000 chilometri quadrati di mare, salvando 907 persone, di cui 125 bambini.
Un sottufficiale scrisse nel diario di bordo:
“Non c’è onore più grande che restituire la vita a chi il mare stava per prendersi.”
Il 21 agosto 1979, dopo quasi due mesi di missione, le tre navi italiane entrarono nel porto di Venezia.
Le accolsero il nuovo governo, il primo presieduto da Francesco Cossiga, e tutti gli alti gradi militari del Paese.
Il molo era gremito di giornalisti, ufficiali, medici e civili in lacrime.
Le sirene delle navi suonarono insieme.
Sui ponti, centinaia di volti asiatici guardavano la città come un miraggio.
Molti si inginocchiarono e baciarono il suolo.
Per evitare rischi sanitari, i profughi avrebbero dovuto trascorrere un periodo di quarantena nel Lazzaretto Vecchio di Venezia, la stessa isola che nei secoli aveva accolto i malati di peste.
Ma al momento dello sbarco molti di loro fecero resistenza: non volevano abbandonare le navi che li avevano salvati.
Alcuni giovani chiesero se potessero arruolarsi nella Marina Militare, in segno di riconoscenza per la vita restituita.
Uno di loro disse al comandante:
“Se potessi, resterei qui per sempre.
Su questa nave ho imparato che non tutti gli uomini del mare fanno la guerra: alcuni la vincono contro la morte.”

Dopo lo sbarco, un gruppo di profughi consegnò all’Ammiraglio Agostinelli una lettera scritta collettivamente in vietnamita e tradotta da un interprete.
È conservata ancora oggi negli archivi della Marina Militare.
Recita così:
“Ammiraglio, comandante, ufficiali, sottufficiali e marinai, grazie per averci salvati!
Grazie a tutti coloro che, con spirito cristiano, si sono sacrificati per noi notte e giorno.
Voi italiani avete un cuore molto buono: nessuno ci ha mai trattato così bene.
Eravamo morti e, per la vostra bontà, siamo tornati a vivere.
Questa mattina, quando dal ponte di volo guardavamo le coste italiane, una dolce brezza ci ha accarezzato il viso in segno di saluto e riempito di gioia il nostro cuore.
Siete diversi dagli altri popoli: per voi esiste un prossimo che soffre, e per questa causa vi siete sacrificati.
Grazie.”

Il Presidente della Repubblica Sandro Pertini inviò un messaggio personale agli equipaggi:
“Avete dimostrato che la forza d’Italia non è nella potenza delle sue armi, ma nella grandezza del suo cuore.”
Pochi giorni dopo, Giovanni Paolo II ricevette i marinai in Vaticano:
“Avete portato la croce della speranza oltre i confini del mare.
In voi vive il Vangelo del mare: salvare chi è perduto.”
Gli uomini dell’8º Gruppo Navale ricevettero encomi solenni, ma molti rifiutarono le medaglie.
“Le nostre decorazioni sono stati i loro sorrisi”, disse un sottufficiale.

Molti dei vietnamiti salvati in quella missione sono oggi cittadini italiani, insieme ai loro figli e, in alcuni casi, ai loro nipoti.
Vivono tra Venezia, Trieste e Milano.
Alcuni di loro, ogni anno, tornano al Lido a guardare il mare.
Dicono che lì, tra la nebbia e la laguna, riconoscono ancora il suono lontano delle sirene del Vittorio Veneto.
Fu la prima missione umanitaria oceanica della Marina Militare italiana: la più lontana, la più silenziosa, la più nobile.
Tre navi partite per un mare di morte e tornate con la vita a bordo.
Un Paese piccolo, ma capace di compiere un gesto immenso.
E in quell’estate del 1979, tra i relitti di una guerra dimenticata, l’Italia scelse di difendere non i confini, ma la dignità dell’uomo.
E scrisse, nel linguaggio eterno del mare,
la sua vittoria più grande: quella sull’indifferenza.

Per approfondire questa vicenda, segnaliamo una vecchia puntata della trasmissione Rai Passato Presente, che si può raggiungere da QUESTO LINK.


4 Commenti

  1. Commosso e doveroso ricordo di un’impresa generosa disarmata e disarmante. Ma gli eserciti, per natura e scopo,non sono la Croce Rossa. E hanno un compito preciso definito in Costituzione. Se indispensabile, sparano e bombardano.

  2. 1979 – 2025 neanche mezzo secolo è passato ma il mondo è cambiato, anzi è precipitosamente ritornato agli anni più bui dell’umanità, direi ben prima di Cristo quando per il nemico non vi era pietà ma solo morte distruzione e dileggio. La stessa cosa esatta che avviene oggi, non verso un Governo di un Paese che può e deve anche essere condannato per le sue azioni ma verso tutti gli abitanti di quel Paese, trattati come dei paria, ignorati completamente, ad esempio che siano sportivi o cantanti lirici come nel caso dei russi o siano persone semplici che tutti i sabati manifestano in Israele sotto la casa di Netanyahu. Oggi per chi viene considerato nemico e non fa parte dei buoni, nessuna pietà. Peccato che da sempre la storia gira e presto toccherà a noi subire la stessa sorte, se non peggiore. P.S ma a nessuno viene la nausea ogni sera sentire le elites di Bruxelles, Von der Layen in testa parlare solo di armi, armi, armi, colpire, difesa etc. ??? Questa è l’Europa faro di civiltà ?? Suvvia

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