Netanyahu all’ONU



Aldo Novellini    1 Ottobre 2025       1

In attesa di vedere se decollerà il piano di 21 punti su Gaza approntato dal presidente americano, Donald Trump, restano agli atti le parole del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu alle Nazioni Unite. Un discorso tignoso e puntiglioso che meritava di essere ascoltato sino in fondo. Seppur comprensibile, non può infatti dirsi una mossa avveduta quella di abbandonare l'aula come tante delegazioni hanno fatto. Condivisibile, quindi, la scelta del rappresentante italiano nel rimanere: l'ascolto dell'altro, di chiunque altro, è la prima cosa e mai deve mancare.

Dato alla forma quello le spetta, veniamo adesso ai contenuti del discorso. E qui - diciamolo francamente - proprio non ci siamo. Si è assistito ad una sequela di giustificazioni dell'ingiustificabile sproporzionata reazione israeliana a Gaza, senza mai un minimo di comprensione verso le sofferenze del popolo palestinese. Per poi concludere con un'asserzione del tutto grottesca: "dare ai palestinesi uno Stato a un miglio da Gerusalemme dopo il 7 ottobre è come dare ad Al-Qaeda uno Stato a un miglio da New York dopo l'11 settembre".

Siamo dinanzi ad un discorso che non offre alcuna seria prospettiva di pace al Medio Oriente, e paradossalmente neppure ad Israele. Tanto che a Tel Aviv il mondo politico centrista e progressista si è detto sconcertato per la pochezza di quanto dichiarato dal capo del governo.

Possiamo dirci delusi? In realtà no. Perché da Netanyahu solo questo c'era da aspettarsi. Lui è parte del problema, non certamente la soluzione. Lo è da sempre, da oltre trenta anni. Da quando – lo si dimentica troppo facilmente – tuonava contro Yitzhak Rabin e gli accordi di Oslo, bollando come traditore il generale vittorioso nella Guerra dei Sei giorni che, alla guida del governo più di sinistra della storia israeliana, provava a fare la pace con i palestinesi secondo la formula dei due popoli, due Stati.

E a forza di urlare con rabbia al tradimento, Rabin fu ucciso. Netanyahu è tra i massimi responsabili di quel clima di esasperazione e di odio che ha condotto all'irreparabile. Cosa potevamo dunque aspettarci dalle sue parole all'ONU? Niente. Tranne quello che ha detto.

Intendiamoci, però. Occorre anche distinguere. Non si può che essere dalla parte di Israele quando viene ricordato l'orrore compiuto da Hamas il 7 ottobre e quando Netanyahu ritiene necessario battersi contro gruppi terroristici come Houthi ed Hezbollah che vogliono distruggere lo Stato israeliano. Bene anche l'eliminazione mirata dei capi di Hamas: criminali che hanno giocato con la pelle del proprio popolo. Ed è difficile dispiacersi di qualche azione mirata contro il regime degli Ayatollah, noto finanziatore del terrorismo ed inviso ad almeno metà del popolo iraniano.

Tutto bene, allora? Per nulla. Perché le ragioni di Israele contro i nemici esterni sono soltanto il contorno del vero problema. Che è quello palestinese. Causa di tutto il male mediorientale, la cui mancata risoluzione fornisce l'alibi ad Iran, Houthi o Hezbollah per colpire Tel Aviv. Da parte israeliana reagire a questo assedio è pienamente comprensibile. Non lo è invece ignorare le ragioni profonde di questa situazione. E queste Netanyahu non le vuole capire, anche a costo di isolare Israele, di indebolirne la credibilità internazionale mai così in basso dopo il continuo massacro della popolazione di Gaza.

E' una follia immaginare di sradicare Hamas distruggendo la Striscia, annientando la sua popolazione senza alcun riguardo per centinaia di migliaia di bambini ridotti alla fame. Se non fosse una cosa seria verrebbe da sorridere dinanzi alla sicumera di Netanyahu quando afferma – con una perentorietà degna di miglior causa – che non ci sarà mai uno Stato palestinese. Come se non ci fosse un popolo di cinque milioni di persone tra Gaza e Cisgiordania e fosse davvero possibile cancellarlo o deportarlo.

Il premier israeliano tratta la Palestina come fosse un'espressione geografica, allo stesso modo con cui il cancelliere austriaco Klemens von Metternich trattava l'Italia pre-risorgimentale. Eppure l'Italia ha realizzato la sua Unità nazionale, mentre l'impero degli Asburgo è uscito dal palcoscenico mondiale. Attenzione dunque – fatte ovviamente tutte le differenze del caso – a trattare la Palestina come qualcosa di inesistente come fa l'estrema destra di Tel Aviv. Si rischia di ritrovarsi dalla parte sbagliata della storia. E la gente di Israele non lo merita affatto.


1 Commento

  1. Condivido larga parte dello scritto dell’amico Novellini, devo però fare una considerazione, e rammentare alcuni fatti.
    Molti media indicano Hamas come principale responsabile della tragica situazione di Gaza anche quando criticano Netanyahu per la sproporzionate e brutale risposta alla strage del 2023, e alla cattura di civili per farne degli ostaggi. Lasciano intendere che, messa fuori gioco l’organizzazione terroristica, sarebbe aperta la strada per la pace, e resa possibile la convivenza fra i due popoli.
    Credo, tuttavia, che le cose siano molto più complesse.
    Hamas è nato nel 1987, a seguito della prima intifada palestinese, mentre guerre, espulsioni di popolazioni, atti di terrorismo, dure misure repressive erano già presenti in Terra Santa a partire dal 1947-48.
    Rammento, inoltre, che Israele ha aiutato, in modo diretto ed indiretto, Hamas fin dalla nascita di tale organizzazione (ed ha continuato a farlo a lungo) per usarla come antagonista dell’OLP, visto come principale minaccia (vedi le analisi in argomento fatte dal Center for Strategic Studies).
    Soltanto tardivamente, mentre declinava il peso politico e organizzativo dell’OLP, Israele si è resa conto della maggiore pericolosità di Hamas. Ciononostante (come ha scritto Federico Rampini in “Il nuovo impero arabo”), Netanyahu ha incoraggiato il Qatar a continuare ad inviare aiuti ad Hamas. Dietro tale decisione, c’è stato un cinico calcolo: consolidare il controllo di Hamas su Gaza per creare una dicotomia con l’Autorità palestinese che governa la Cisgiordania, rendendo così impossibile la nascita di uno Stato palestinese.

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