
Ha ragione padre Zanotelli ad esortarci a usare, di fronte a quello che sta da molti mesi succedendo nella Striscia di Gaza, il termine “genocidio”, anche se ci fa paura. Credevamo che gli orrori del Novecento avessero vaccinato l’umanità contro il ripetersi dei peggiori crimini volti allo sterminio di un popolo. A dicembre 2023 avevamo retoricamente chiesto se non fossero sufficienti 17.700 morti, quelli provocati dalla vendetta (altra parola cruda che potrebbe disturbare) degli israeliani a soli due mesi di distanza dalla “strage dei terroristi di Hamas del 7 ottobre (che) aveva causato 1200 morti, oltre ai 240 civili presi in ostaggio”.
E ponevamo altre domande: “Non bastano 12 palestinesi uccisi per ogni israeliano? A quale numero di morti si placherà la sete di vendetta del governo Netanyahu? Alle vittime dei bombardamenti aspettiamo di aggiungere quelle della fame e delle epidemie?”. A un anno e mezzo di distanza abbiamo risposte parziali ma certe: non sono bastati 50 palestinesi uccisi per ogni israeliano, dato che le vittime accertate sono circa 60.000; non si vede la fine delle uccisioni, dato che ogni giorno muoiono decine di civili sotto i colpi di soldati e piloti israeliani; infine, sì, stiamo aggiungendo le vittime della fame, soprattutto bambini.
Come uscire da questo orrore non lo sappiamo: forse solo gli Stati Uniti potrebbero fermare il governo israeliano, facendo leva su quella parte della politica e dell’opinione pubblica israeliana ed ebraica che non si riconosce nella strategia criminale di Netanyahu. Ma per il primo ministro di Israele la prosecuzione dello stato di guerra è essenziale per la sua sopravvivenza politica, e non si fermerà. La destra al governo sta attuando una evidente pulizia etnica nei territori palestinesi, non solo a Gaza ma anche in Cisgiordania, con l’obiettivo di costringere alla fuga e alla diaspora la popolazione palestinese per realizzare la Grande Israele, dal Giordano al Mediterraneo (ne ha scritto qui Andrea Griseri).
In Occidente non si è voluta vedere questa realtà, neppure quando è diventata palese: anche pulizia etnica è un concetto che disturba quando viene evocato. Nel nostro piccolo mondo lo abbiamo utilizzato senza remore, come un dato di fatto. Siamo invece stati prudenti con il termine “genocidio”, perché le parole hanno un significato e un peso, in questo caso grevissimo. Ma, vista la realtà quotidiana lo possiamo usare senza remore, essendo poi stato pienamente sdoganato dalla relazione per l’ONU di Francesca Albanese, da un operatore di pace come padre Zanotelli (che parla anche di un nuovo apartheid) e persino da uno studioso della Shoah – ebreo e sionista – come Omer Bartov. I loro interventi pubblicati sono più eloquenti di ogni altra mia parola.
Solo un’informazione: se questa sera alle 22 sentirete un inconsueto scampanio e altri rumori insoliti, sarà perché parrocchie e semplici cittadini esprimeranno la volontà di farsi sentire per denunciare e rompere il velo di indifferenza e ipocrisia sulla tragedia, anzi, diciamo bene, sul GENOCIDIO che si sta consumando a Gaza. Anche solo per far sapere che non ne siamo complici.
E ponevamo altre domande: “Non bastano 12 palestinesi uccisi per ogni israeliano? A quale numero di morti si placherà la sete di vendetta del governo Netanyahu? Alle vittime dei bombardamenti aspettiamo di aggiungere quelle della fame e delle epidemie?”. A un anno e mezzo di distanza abbiamo risposte parziali ma certe: non sono bastati 50 palestinesi uccisi per ogni israeliano, dato che le vittime accertate sono circa 60.000; non si vede la fine delle uccisioni, dato che ogni giorno muoiono decine di civili sotto i colpi di soldati e piloti israeliani; infine, sì, stiamo aggiungendo le vittime della fame, soprattutto bambini.
Come uscire da questo orrore non lo sappiamo: forse solo gli Stati Uniti potrebbero fermare il governo israeliano, facendo leva su quella parte della politica e dell’opinione pubblica israeliana ed ebraica che non si riconosce nella strategia criminale di Netanyahu. Ma per il primo ministro di Israele la prosecuzione dello stato di guerra è essenziale per la sua sopravvivenza politica, e non si fermerà. La destra al governo sta attuando una evidente pulizia etnica nei territori palestinesi, non solo a Gaza ma anche in Cisgiordania, con l’obiettivo di costringere alla fuga e alla diaspora la popolazione palestinese per realizzare la Grande Israele, dal Giordano al Mediterraneo (ne ha scritto qui Andrea Griseri).
In Occidente non si è voluta vedere questa realtà, neppure quando è diventata palese: anche pulizia etnica è un concetto che disturba quando viene evocato. Nel nostro piccolo mondo lo abbiamo utilizzato senza remore, come un dato di fatto. Siamo invece stati prudenti con il termine “genocidio”, perché le parole hanno un significato e un peso, in questo caso grevissimo. Ma, vista la realtà quotidiana lo possiamo usare senza remore, essendo poi stato pienamente sdoganato dalla relazione per l’ONU di Francesca Albanese, da un operatore di pace come padre Zanotelli (che parla anche di un nuovo apartheid) e persino da uno studioso della Shoah – ebreo e sionista – come Omer Bartov. I loro interventi pubblicati sono più eloquenti di ogni altra mia parola.
Solo un’informazione: se questa sera alle 22 sentirete un inconsueto scampanio e altri rumori insoliti, sarà perché parrocchie e semplici cittadini esprimeranno la volontà di farsi sentire per denunciare e rompere il velo di indifferenza e ipocrisia sulla tragedia, anzi, diciamo bene, sul GENOCIDIO che si sta consumando a Gaza. Anche solo per far sapere che non ne siamo complici.
EGR. A. RISSO,
Nelle sue denunce lei dimentica di notare che la guerra a Gaza è stata scatenata da Hamas, nel cui proclama programmatico è compresa la distruzione di Israele e la soppressione degli ebrei ovunque nel mondo. Nessuno può o ha potuto o potrà fermare quella strage fratricida se non lo stesso Hamas restituendo tutti gli ostaggi in suo possesso, almeno quelli che non ha ancora eliminato.
Certo è evidente, l’innesco dell’operazione Gaza è stato il 7 ottobre. Ma esiste una proporzione altrettanto evidente fra l’azione e la reazione. Al di là della macabra conta delle vittime (in stragrande maggioranza civili) queste azioni che Bartov senza demagogia ma con grande rigore giuridico definisce genocidiarie non aiuteranno minimamente a sciogliere i nodi intricati di una questione che si trascina da un secolo (prima del ’47), l’odio richiamerà odio in una rincorsa senza fine. La miopia politica si rifugia, è una costante nella Storia, nell’inazione o nella tracotanza criminale. Il fondamentalismo postsionista (il sionismo era in se stesso un progetto di altro e alto profilo) sta oltretutto provocando un danno enorme si spera non irreversibile all’immagine e alla coscienza dell’ebraismo.
Egr. A. Ghiberti,
Siamo sempre lì. La reazione esagerata come lei dice di Israele si sarebbe già fermata da tempo se Hamas avesse restituito gli ostaggi. Non lo fa? Hamas è quindi interessata a continuare la guerra. E’ quella stessa Hamas che dei 3.167 camion carichi di aiuti di vario genere del programma alimentare mondiale inviati da maggio ad agosto 2025 a Gaza solo 351 sono giunti a destinazione per la distribuzione alla gente. Il restante è stato saccheggiato prima dell’arrivo a destinazione dagli assalti perpetrati in gran parte da Hamas che requisisce cibo, carburante e farmaci per la propria organizzazione e che in parte rivende a prezzi esorbitanti alla popolazione civile. Questi dati sono dell’Ufficio ONU Unops. Chi è quindi responsabile della fame e della carestia nella striscia? Questa la Verità attuale, lontana da simpatie e soprattutto da ideologie.