Niente quorum nei cinque referendum



Aldo Novellini    11 Giugno 2025       1

Quorum mancato nei cinque referendum, ma netto successo dei Sì con percentuali superiori all'85 per cento, tranne per il quesito sulla cittadinanza fermo al 65. Prova referendaria però invalidata da un'affluenza alle urne del 30 per cento, venti punti sotto il quorum richiesto. Ossia la partecipazione al voto di almeno il 50 per cento più uno degli aventi diritto, come previsto nell'art. 75 della Costituzione.

Questo, per sommi capi, l'esito del voto sui cinque referendum: quattro sul lavoro, sostenuti dalla Cgil, ed uno sulla cittadinanza, promosso da Più Europa. Risultato ampiamente prevedibile dal momento che le forze di governo – Fdi, Lega e Forza Italia – avevano puntato sull'astensione, contando di far mancare il quorum necessario. Unici nella maggioranza a discostarsi da questa opzione, Noi moderati schierati sul No.

Le norme oggetto del referendum rimangono quindi in vigore, ma i favorevoli all'abrogazione sono stati ben 12 dei 14 milioni di votanti. Una cifra ragguardevole che il Governo farebbe bene a non prendere sotto gamba, seppure a conti fatti si sia rivelata perdente.

Dei cinque quesiti il meno gettonato è stato quello sulla cittadinanza dove i No si sono avvicinati al 35 per cento. Evidentemente anche nel centrosinistra – cui quasi per intero appartiene il segmento che si è mobilitato per il voto – sono emersi parecchi dubbi sulla riduzione a cinque anni del periodo per la richiesta della cittadinanza italiana da parte delle persone extra Ue, legalmente residenti nel nostro Paese. Forse non si è spiegato in maniera sufficientemente chiara che il quesito poneva in discussione solo la tempistica per ottenere la cittadinanza, fermo restando tutti gli altri requisiti: necessità di un lavoro stabile, piena regolarità fiscale, fedina penale pulita e conoscenza della lingua italiana. Probabile che la questione sia stata confusa in modo improprio con quella delle persone entrate illegalmente. In ogni caso il tema della cittadinanza, sia allineando la tempistica a cinque anni, come si prevede in molti Paesi Ue, sia in relazione allo ius scholae, su cui puntava Forza Italia, prima o poi dovrà essere seriamente preso in esame.

Percentuali tutte superiori all'85 per cento hanno avuto i quattro referendum sul lavoro. L'annullamento della prova lascia tutto come prima, ma una questione come la responsabilità negli appalti connessa alle norme di sicurezza per i lavoratori potrebbe essere degna di riflessione da parte della politica. Anche perché la drammatica conta degli infortuni sul lavoro trova il suo apice proprio nella catena dei subappalti. D'altro canto non si comprende quali siano le difficoltà del legislatore o delle parti sociali nell'individuare quattro o cinque causali che possano giustificare il lavoro temporaneo da parte delle imprese, impedendone un uso eccessivamente smodato.

Come era da attendersi, le forze politiche hanno immediatamente reagito al voto. La maggioranza parla di mancata spallata al governo da parte della sinistra. Una tesi priva di fondamento essendo impensabile che un esecutivo dotato di un ampio sostegno parlamentare come quello guidato da Giorgia Meloni, potesse entrare in crisi in caso di una vittoria dei Sì al referendum. Nel Pd qualcuno intravede uno scontro tra la minoranza riformista e il gruppo dirigente che fa capo ad Elly Schlein. Solite schermaglie politiche, ma come sempre nulla che possa realmente interessare i cittadini. Maggior attenzione deve invece destare il dibattito che si sta imbastendo attorno all'istituto stesso del referendum.

Da un lato si pensa all'abolizione del quorum, o quanto meno ad un suo ridimensionamento, per tener conto dell'attuale disaffezione al voto. Dall'altro si vorrebbe aumentare dalle attuali 500mila ad un milione le firme necessarie per richiedere un referendum ed imporre prima della sottoscrizione un preventivo parere di ammissibilità della Corte costituzionale. Proposte tutte da valutare. Essenziale è non comprimere o stravolgere questo importante strumento di partecipazione diretta alla vita democratica del Paese.


1 Commento

  1. Mi pare di capire che Novellini abbia sostenuto il terzo e il quarto referendum. Condivido! Mi sono recato al seggio e ho votato anch’io due sì. Relativamente alla sicurezza: mi auguro che passata la sbornia di avventuristiche dichiarazioni sugli esiti del voto ( abbiamo perso… ma no! Abbiamo vinto….) le forze responsabili propongano in Parlamento una legge modellata sull’esempio della 231 per quanto riguarda la responsabilità del committente nel caso in cui il dipendente di un’impresa appaltatrice subisca un infortunio sul lavoro. La 231 prescrive alle aziende l’adozione di codici di condotta per prevenire con serietà la commissione di reati da parte di propri dipendenti o partner. Se le misure risultano sufficientemente solide nessuna colpa ricade sull’azienda nel caso in cui fortuitamente e malauguratamente abbia luogo una violazione delle norme. La mappatura dei rischi operativi (Risk management nel rispetto delle regole adottate dalle banche nei round di Basilea) e un’efficace Compliance costituiscono ulteriori elementi di mitigazione del rischio: perché non estendere organicamente anche agli incidenti sul lavoro queste logiche? Sui contratti a termine come ben dice Novellini vi sono stati troppi abusi e l’individuazione di causali precise non rappresenta un onere gravoso per le imprese. Bene che sia stato invalidato il secondo referendum: attribuire al giudice la decisione circa il risarcimento da versare al dipendente licenziato nelle aziende con meno di 16 addetti avrebbe semplicemente incoraggiato il ricorso al lavoro nero (oltre a provocare paradossalmente una discriminazione ai danni di chi lavora in aziende di grandi dimensioni). E il primo referendum non avrebbe consentito un ritorno all’art.18 ma addirittura ridotto l’entità del risarcimento massimo da 36 a 24 mesi lasciando oltretutto senza tutele i dipendenti degli enti di scopo ( enti religiosi e sindacati! Verrebbe da avanzare qualche maliziosa ipotesi sul sostegno della CGIL di Landini a questo quesito…). Il tema vero è un altro: il Jobs act tracciava un percorso che dovrebbe approdare alla costruzione di un moderno sistema di “flexsecurity” ma nulla è stato fatto in tal senso: colpa della politica ma anche delle forze sociali ( organizzazioni imprenditoriali e sindacati).A tal riguardo le osservazioni di Renzi non mi sono apparse trascurabili. Sulla cittadinanza avevo già avuto modo di esprimermi in un articolo pubblicato qualche mese fa su Rinascita popolare. Qui mi limito a dire che liquidare la questione migratoria e l’impegno reciproco (istituzioni e stranieri) per una vera integrazione con una semplice sforbiciata ai tempi di attesa rivela un approccio semplicistico e burocratico.

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