
La Rete di Trieste, costituitasi nella settimana Sociale 2024 tra amministratori locali e gruppi di volontariato e impegno sociale e politico di ispirazione cristiana, ha preso posizione sulla inaccettabile tragedia umanitaria che si sta consumando nella Striscia di Gaza. Invita tutti a un digiuno di condivisione nella giornata di oggi, cui aderiamo come Popolari piemontesi. Sapendo che non basta la vicinanza morale per far cessare la criminale operazione di pulizia etnica che il governo israeliano sta attuando nel territorio palestinese.
Noi amministratori della Rete di Trieste, l’esperienza nata a margine della Settimana Sociale dello scorso anno, che riunisce oggi circa mille persone trasversali rispetto alle diverse appartenenza politiche e territoriali del nostro Paese, vogliamo unirci agli appelli e alle iniziative che da tante parti si stanno moltiplicando a favore delle popolazioni della Striscia di Gaza.
È impossibile continuare ad assistere passivamente a quella che è una delle più grandi tragedie umanitarie della storia recente.
È colpevole rassegnarsi davanti a tanta sofferenza innocente.
Perché davvero nulla può giustificare quanto sta accadendo.
Ci uniamo all’appello accorato di Papa Leone a “consentire l’ingresso di dignitosi aiuti umanitari e a porre fine alle ostilità, il cui prezzo straziante è pagato dai bambini, dagli anziani, dalle persone malate”.
Vogliamo farlo affiancandoci alla Sua preghiera e proponendo un gesto concreto, certamente piccolo davanti a drammi così indicibili, ma che vuole essere anche un appello al nostro Governo e al Parlamento affinché la politica – senza distinzioni – si adoperi in tutte le sedi e con tutti gli strumenti possibili per far concludere quanto prima gli orrori che sono da mesi sotto gli occhi di tutto il mondo.
Invitiamo, perciò, tutti i nostri colleghi e le nostre colleghe, insieme a tutti gli uomini e le donne di buona volontà ad una giornata di digiuno il prossimo 26 maggio.
Per condividere, ricordare, esprimere la nostra vicinanza e dare voce a chi in quelle terre martoriate non ne ha più.
Per dare forza ad ogni piccola fiammella di Speranza, ad ogni seme di Bene, e a quell’Umanità che sopravvivono anche quando tutto sembra perduto.
Noi amministratori della Rete di Trieste, l’esperienza nata a margine della Settimana Sociale dello scorso anno, che riunisce oggi circa mille persone trasversali rispetto alle diverse appartenenza politiche e territoriali del nostro Paese, vogliamo unirci agli appelli e alle iniziative che da tante parti si stanno moltiplicando a favore delle popolazioni della Striscia di Gaza.
È impossibile continuare ad assistere passivamente a quella che è una delle più grandi tragedie umanitarie della storia recente.
È colpevole rassegnarsi davanti a tanta sofferenza innocente.
Perché davvero nulla può giustificare quanto sta accadendo.
Ci uniamo all’appello accorato di Papa Leone a “consentire l’ingresso di dignitosi aiuti umanitari e a porre fine alle ostilità, il cui prezzo straziante è pagato dai bambini, dagli anziani, dalle persone malate”.
Vogliamo farlo affiancandoci alla Sua preghiera e proponendo un gesto concreto, certamente piccolo davanti a drammi così indicibili, ma che vuole essere anche un appello al nostro Governo e al Parlamento affinché la politica – senza distinzioni – si adoperi in tutte le sedi e con tutti gli strumenti possibili per far concludere quanto prima gli orrori che sono da mesi sotto gli occhi di tutto il mondo.
Invitiamo, perciò, tutti i nostri colleghi e le nostre colleghe, insieme a tutti gli uomini e le donne di buona volontà ad una giornata di digiuno il prossimo 26 maggio.
Per condividere, ricordare, esprimere la nostra vicinanza e dare voce a chi in quelle terre martoriate non ne ha più.
Per dare forza ad ogni piccola fiammella di Speranza, ad ogni seme di Bene, e a quell’Umanità che sopravvivono anche quando tutto sembra perduto.
Per fermare il genocidio in corso e il dissolvimento del diritto internazionale in atto occorre denunciare chiamando per nome le violazioni in atto che si configurano come crimini contro l’umanità ed applicando le sanzioni e le incriminazioni che ne derivano per il mantenimento della validità del diritto stesso. Generici appelli e sostanziali inazioni servono a tranquillizzare le nostre coscienza, senza che si compiano azioni responsabili.
Abbiamo scritto “digiuno per Gaza ma non basta” e questa è una doverosa ovvietà. Ne propongo un’altra: non tutto ciò che si fa giova realmente alla causa palestinese. Per esempio, gli scontri con la polizia dei gruppi violenti “pro pal”.
Ora si legge che i partiti di opposizione stiano organizzando una grande “marcia per Gaza”, per fare pressione sul nostro governo affinché prenda una posizione dura contro quello israeliano. Va bene, una causa nobile… e in più un’occasione per mostrare i muscoli e caricare il morale delle truppe in vista dei referendum. Inevitabilmente però in tal modo lo sguardo si rivolge al cortile di casa, piuttosto che alla costa della Palestina. La motivazione per la marcia è sacrosanta: la presidente Meloni ed il suo governo hanno si iniziato a contestare Netanyahu ma con il garbo che si deve ad un amico, inadeguato alla spietata pulizia etnica in corso e programmata. Dunque, la Meloni deve cambiare marcia, anche in sede europea e nei rapporti con “l’amico” Trump.
Se quello è il fine – assolutamente condivisibile – lo strumento non è il più adeguato. Il dramma in corso non può essere ridotto alla opposizione che preme ed il governo che non vorrà perder la faccia.
Una (dieci, venti …) grande manifestazione popolare deve esserci ma la più ampia ed inclusiva possibile, SENZA VESSILLI DI PARTITO, che raccolga la voce di tutta quella porzione maggioritaria dell’opinione pubblica italiana che è disgustata da quello che vede e vuole che si intervenga.
Gente dell’Opposizione, certamente ma non solo; persone non schierate, cittadini normalmente estranei alla dialettica politica come pure elettori non pentiti dei partiti di maggioranza ma uniti nello sdegno. Coinvolgendo organismi, associazioni, gruppi di volontariato che statutariamente o per ragioni di opportunità consolidate non possono schierarsi politicamente. E la Chiesa, con le sue voci nazionali e locali.
Di fronte ad un movimento di questa natura, che certamente coinvolgerebbe anche una quota rilevante della propria base elettorale, il Governo potrebbe rimanere inerte?
Quello che mi stupisce grandemente nell’invito al digiuno pro-Gaza è che non ci sia alcun riferimento al fatto che per porre termine a tutto basterebbe che Hamas restituisse gli ostaggi, almeno quelli che non ha ancora eliminato. Anche perché a scatenare il tutto è stata Hamas ed è nel programma scritto di Hamas l’obbiettivo di eliminare Israele e tutti gli ebrei. Pertanto a me sembra che il digiuno sia usato in modo improprio o incompleto o fuorviante.
Nessuno parla mai di Hamas. Del fatto che usa i palestinesi come scudo, fa incetta degli aiuti per venderli e armarsi, ha usato gli aiuti europei per scavare tunnel…. spero che tutti quelli che fanno marce abbiano studiato la storia di quelle terre e abbiano fatto un viaggio in Israele, a Zgaza, in Cisgiordania…. c’è da imparare e capire molto..
Di fronte alle stragi di Gaza e la chiara volontà israeliana di attuare una pulizia etnica nei confronti della popolazione palestinese (Cisgiordania compresa), fino ad oggi la comunità internazionale (Italia inclusa con il silenzio assordante dei suoi vertici istituzionali) si è dimostrata insensibile, o quanto meno incapace di proporre interventi idonei a contrastare queste azioni criminali. Ora, quando non si può più nascondere che Israele abbia superato ogni limite, si fanno sentire anche in Europa parole critiche ed appelli a raggiungere una tregua. Ma come ha giustamente scritto Norberto Julini, i generici appelli servono solo a tranquillizzare le nostre coscienze, se non si accompagnano ad azioni responsabili ed efficaci. Temo tuttavia che ciò non accadrà per vari motivi.
A determinare l’atteggiamento dell’Europa (Germania e Italia in primis), pesa ancora fortemente il senso di colpa per il passato stermino degli ebrei e le molte atrocità commesse nei loro confronti, o per le complicità, o per l’indifferenza manifestate in quei terribili momenti. E’ comprensibile, ma non giustifica la tolleranza di quanto fa Israele ai palestinesi da secoli abitanti della terra contesa.
Davanti a quanto accade, non basta certo dichiararsi a favore della creazione di uno Stato palestinese che conviva con Israele in quella martoriata terra se non si dice di che natura questo potrà essere e come si potrà raggiungere un tale obiettivo. Non solo l’attuale governo israeliano ma ogni possibile altro governo mai accetterà di abbandonare la Cisgiordania, Gerusalemme est e una consistente parte di Gaza; nessuno potrà imporre ai 800.000 coloni di lasciare le terre occupate. Infatti la maggioranza della popolazione israeliana dichiara di non volere uno Stato per i palestinesi dei quali auspica la cacciata dalle terre in cui ancora vivono. Uno Stato palestinese, viene detto, è incompatibile con la sicurezza di Israele, affermazione speculare a quella di quanti sull’altro fronte sostengono che è Israele ad essere incompatibile con la nascita di uno Stato palestinese. E’ una terra da anni dominata da un clima di reciproco odio e da desideri di vendetta che non lasciano spazio ad alcuna pacificazione.
Inoltre, per arrivare a qualche risultato positivo, non serve fare assegnamento sulle Nazioni Unite. Proprio gli eventi pluridecennali della Terra santa sanciscono il completo fallimento di una istituzione che mai si è dimostrata in grado di dare risposte concrete a qualunque grave criticità internazionale. Ci vorrebbe una sua radicale riforma o meglio una sua rifondazione.
Se non si guarda alla realtà quale essa è, per dolorosa che ci appaia, non si metterà mai in campo nessuna seria e duratura soluzione. Certo è bene protestare, manifestare e perfino digiunare per ottenere almeno uno stop alla strage, ma non facciamoci illusioni almeno fino a che gli Stati Uniti non tolgano l’incondizionato sostegno a Israele.