Nell’annunciato trionfo dell’estrema destra di AfD (Alternative für Deutschland) nei due länder orientali di Turingia e Sassonia, in cui si è votato ieri, incidono certo scelte di politica interna contingenti, di cui è responsabile la coalizione “semaforo” tra socialdemocratici, verdi e liberali, che dal 2021 gestisce soprattutto il declino dell’ex locomotiva d’Europa. In particolare il furore ideologico dei Verdi della ministra degli esteri Annalena Baerbock, proprio negli anni in cui eventi straordinari come la pandemia e la guerra sull’uscio di casa della Germania, avrebbero consigliato un approccio più flessibile in materia di energia e di ambiente, hanno contribuito a incattivire il clima, soprattutto agli occhi delle fasce sociali e dei territori più vulnerabili, come quelli dell’ex DDR.
Ma un’ascesa così consistente dell’estrema destra in questi due länder, peraltro accompagnata da una clamorosa affermazione del partito nato da una scissione della sinistra di Linke, la Bsw, l’Alleanza “Sahra Wagenknecht – Ragione e Giustizia”, fondata appena nel gennaio scorso dalla stessa Wagenknecht, non appaiono spiegabili solo con cause interne recenti o di lunga data, come l’approccio predatorio che molti tedeschi orientali rimproverano ai fratelli dell’Ovest, dopo una riunificazione di cui l’intera Unione Europea si è fatta carico.
Ciò a cui si sta assistendo in Germania, sembra implicare un discorso più complesso.
Mentre l’ascesa dell’estrema destra, che trova il suo principale argine nella tenuta del centro della Cdu (primo partito, seppur di poco, in Sassonia), appare sempre più difficile da contenere nelle istituzioni, emerge una spaccatura nella sinistra, generalmente liquidata in termini di rossobrunismo, nonostante la leader della sinistra nazionalista Sahra Wagenknecht abbia già categoricamente escluso qualunque ipotesi di collaborazione con AfD in Turingia e Sassonia. Accanto a un crescente malcontento sociale, a una crisi economica spaventosa, la politica tedesca è portata dagli eventi a chiedersi come reagire, in un impasto di sentimenti tra la coscienza della grandezza del popolo tedesco, della colpa per un certo suo passato, della sua vocazione sempre contrastata fra l’Europa e l’immensità di un Est di cui sente profondo il richiamo.
È sufficiente un sommario richiamo a ragioni di tale ordine per capire che, da una prospettiva di ragione storica, sia estremamente rischioso trattare un Paese dagli equilibri così complessi e fragili come la Germania, come è stato trattato in questo secolo dagli alleati americani e britannici. Fino allo scorso decennio dandole carta bianca in Europa, incuranti degli enormi danni causati dall’ordoliberismo e dalla conseguente austerità, e in questo decennio, dopo aver avvelenato i pozzi di una possibile soluzione diplomatica della questione ucraina, antecedente all’invasione russa, imponendo alla Germania i canoni di una anacronistica geopolitica mackinderiana fondata sull’eurasia-fobia, che l’ha privata del fondamentale apporto dell’energia russa a basso costo, in seguito al sabotaggio dei gasdotti North Stream.
Mentre giustamente in molti ora avvertono il rischio di una deriva estremista di destra in Germania, pochi sottolineano che un tale rischio non poteva non essere messo nel conto (e i maligni insinuano forse anche voluto, ancora una volta, dopo la non lineare ascesa del politico di origini austriache nel secolo scorso) da quei gruppi dirigenti che hanno avuto un ruolo di primo piano nel riportare, sin da subito dopo la caduta del Muro di Berlino, la guerra in Europa e che stanno ora cercando attraverso il conflitto ucraino di realizzare il loro progetto di una separazione strutturale e duratura dell’Europa dall’Asia, da perseguire anche al prezzo di sfidare la Storia, ovvero al prezzo di rischiare una nuova, imprevedibile destabilizzazione tedesca. A queste forze va opposto l’impegno per un’Europa che punti al più presto a uscire dal suo status di nano politico per proporsi invece come uno dei cardini del nuovo multipolarismo che si sta affermando nel mondo attuale.
(Tratto da www.ildomaniditalia.eu)
Ma un’ascesa così consistente dell’estrema destra in questi due länder, peraltro accompagnata da una clamorosa affermazione del partito nato da una scissione della sinistra di Linke, la Bsw, l’Alleanza “Sahra Wagenknecht – Ragione e Giustizia”, fondata appena nel gennaio scorso dalla stessa Wagenknecht, non appaiono spiegabili solo con cause interne recenti o di lunga data, come l’approccio predatorio che molti tedeschi orientali rimproverano ai fratelli dell’Ovest, dopo una riunificazione di cui l’intera Unione Europea si è fatta carico.
Ciò a cui si sta assistendo in Germania, sembra implicare un discorso più complesso.
Mentre l’ascesa dell’estrema destra, che trova il suo principale argine nella tenuta del centro della Cdu (primo partito, seppur di poco, in Sassonia), appare sempre più difficile da contenere nelle istituzioni, emerge una spaccatura nella sinistra, generalmente liquidata in termini di rossobrunismo, nonostante la leader della sinistra nazionalista Sahra Wagenknecht abbia già categoricamente escluso qualunque ipotesi di collaborazione con AfD in Turingia e Sassonia. Accanto a un crescente malcontento sociale, a una crisi economica spaventosa, la politica tedesca è portata dagli eventi a chiedersi come reagire, in un impasto di sentimenti tra la coscienza della grandezza del popolo tedesco, della colpa per un certo suo passato, della sua vocazione sempre contrastata fra l’Europa e l’immensità di un Est di cui sente profondo il richiamo.
È sufficiente un sommario richiamo a ragioni di tale ordine per capire che, da una prospettiva di ragione storica, sia estremamente rischioso trattare un Paese dagli equilibri così complessi e fragili come la Germania, come è stato trattato in questo secolo dagli alleati americani e britannici. Fino allo scorso decennio dandole carta bianca in Europa, incuranti degli enormi danni causati dall’ordoliberismo e dalla conseguente austerità, e in questo decennio, dopo aver avvelenato i pozzi di una possibile soluzione diplomatica della questione ucraina, antecedente all’invasione russa, imponendo alla Germania i canoni di una anacronistica geopolitica mackinderiana fondata sull’eurasia-fobia, che l’ha privata del fondamentale apporto dell’energia russa a basso costo, in seguito al sabotaggio dei gasdotti North Stream.
Mentre giustamente in molti ora avvertono il rischio di una deriva estremista di destra in Germania, pochi sottolineano che un tale rischio non poteva non essere messo nel conto (e i maligni insinuano forse anche voluto, ancora una volta, dopo la non lineare ascesa del politico di origini austriache nel secolo scorso) da quei gruppi dirigenti che hanno avuto un ruolo di primo piano nel riportare, sin da subito dopo la caduta del Muro di Berlino, la guerra in Europa e che stanno ora cercando attraverso il conflitto ucraino di realizzare il loro progetto di una separazione strutturale e duratura dell’Europa dall’Asia, da perseguire anche al prezzo di sfidare la Storia, ovvero al prezzo di rischiare una nuova, imprevedibile destabilizzazione tedesca. A queste forze va opposto l’impegno per un’Europa che punti al più presto a uscire dal suo status di nano politico per proporsi invece come uno dei cardini del nuovo multipolarismo che si sta affermando nel mondo attuale.
(Tratto da www.ildomaniditalia.eu)
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