Stato palestinese: non adesso, ma poi intervenga l’ONU



Aldo Novellini    3 Giugno 2024       0

Ci sono delle buone idee che, a volte, rischiano di essere più dannose di quelle cattive. E' questo il caso del riconoscimento dello Stato palestinese, avvenuto nei giorni scorsi, da parte di alcuni Paesi europei come Spagna, Irlanda e Norvegia. Una fuga in avanti che nella situazione attuale può solo complicare un contesto già drammaticamente intricato di suo.

A scanso di equivoci, è meglio intendersi subito. La lotta per l'indipendenza della Palestina è sacrosanta e la pluridecennale occupazione israeliana, volta a negare alla radice questo diritto, è semplicemente scandalosa. Il tutto, per di più, nella totale impunità internazionale. Se oggi ci fosse uno Stato palestinese indipendente, riconosciuto in modo pieno in sede Onu ed inserito a pieno titolo nei rapporti internazionali, quasi certamente non si sarebbe prodotto l'orrore del 7 ottobre. Perché non si sarebbe accumulata lungo i decenni quella tremenda frustrazione, comune a tutti i palestinesi, che ha trovato poi in Hamas il suo tragico e folle interprete.

Però adesso il problema è proprio questo. Di mezzo c'è la strage compiuta da Hamas e con essa il centinaio di ostaggi rapiti e prigionieri a Gaza. Un crimine internazionale, quello della presa di ostaggi, da condannare senza alcuna reticenza. Così come è criminale la reazione di Israele con un dissennato attacco militare nella Striscia che ha provocato 30mila morti, riducendola ad una sorta di lager a cielo aperto.

Genocidio? Forse non in senso ideologico, mancandovi la premeditazione. Ma alla resa dei conti l'esito dei bombardamenti sulla gente inerme di Gaza non risulta poi tanto dissimile. Stiamo infatti assistendo alla distruzione di un'intera popolazione con migliaia di morti, senza risparmiare donne e bambini. Persone ridotte alla fame, senza acqua e medicinali, costrette a vagare avanti e indietro in una gabbia dalla quale non possono uscire.

E dunque, dinanzi a questo disastro umanitario, non è giunta l'ora di riconoscere sin da subito lo Stato palestinese? Spiace doverlo dire ma proprio questo non è il momento. Perché adesso un passo simile equivarrebbe a concedere un premio ad Hamas e alla sua follia omicida. Non proprio il miglior viatico per avviare, in prospettiva, ad un reciproco riconoscimento tra i due popoli e tra i due Stati. Mai come ora, con la sfiducia reciproca tra le parti ridotta ai minimi termini, occorre andare per gradi.

Prima si giunga ad una tregua, poi si liberino gli ostaggi, quindi siano ripristinate delle accettabili condizioni di vita nella Striscia. Solo a partire da quel punto si potrà immaginare un percorso per approdare all'indipendenza della Palestina.

Tempi lunghi di certo, per un'agenda complessa e piena di insidie, anche perché in Israele vi è sfiducia riguardo a qualsiasi concessione: sentimento che alligna anche nella sinistra, un tempo sostenitrice del processo di pace. La tragedia del 7 ottobre ha purtroppo portato acqua al mulino della destra più estrema che da sempre nega alla radice qualsiasi rivendicazione palestinese.

Eppure bisogna rendersi conto che proprio aver distrutto, soprattutto da parte della destra israeliana, il faticoso percorso verso i due Stati, ha finito per radicalizzare l'intero contesto. Fino al pazzesco assalto ai kibbutz. Che ha colpito – per una nemesi davvero amara - proprio quella parte di popolazione israeliana più propensa al dialogo con i palestinesi.

Come uscirne dunque? Evidente che servirà una forte pressione internazionale. Come mai è avvenuto in passato e che dovrà trovare soprattutto negli Stati Uniti i maggiori protagonisti, in grado di premere su Israele. Questa volta, per riparare ad una situazione catastrofica come quella attuale, potrebbe rendersi necessario l'invio di una forza di interposizione Onu a Gaza, per riprendere in mano l'amministrazione della Striscia, in cooperazione a funzionari civili palestinesi non legati ad Hamas. Ma l'Onu - e in questo starebbe la vera discontinuità rispetto al passato - dovrebbe anche intervenire in Cisgiordania, per far finalmente rispettare le risoluzioni che impongono il ritiro israeliano dai territori occupati dal 1967, dopo la guerra dei Sei giorni, facendo cessare la corsa a nuovi insediamenti di coloni israeliani.

Deve essere chiaro a tutti che i confini della Palestina non possono essere che quelli precedenti al 1967, ovvero comprendere Gaza e tutta la Cisgiordania. Questo è il solo punto di approdo sensato, altrimenti l'alternativa è lo Stato binazionale tra israeliani e palestinesi, dove però Israele perderebbe la sua particolarità di Stato ebraico.

Terze vie non ce ne sono. A meno di non prendere sul serio l'idea dell'estrema destra sionista di cacciare i palestinesi da Gaza e dalla Cisgiordania con trasferimenti più o meno forzati in altri Paesi arabi o addirittura in Europa. Una soluzione delirante indegna di un Paese civile.


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