Sembra che una nuova era della democrazia bussi inesorabilmente alle nostre porte. Stiamo perdendo per strada alcune idee di fondo, largamente condivise, che abbiamo coltivato sin dalla Rivoluzione Francese. Possiamo definirla l’era dell’incontro e del camminare insieme tra cristianesimo e modernità, tra liberalismo e socialismo, tra mondialismo e nazionalismi: da tutto ciò i diritti della donna e dell’uomo, con il complesso di principi democratici e rispetto etico, prendevano linfa vitale.
Subentra questa nuova era che in quasi tutto il mondo consacra la solitaria personalizzazione della democrazia politica e la totale delega depositata interamente sul nome del leader. Qui da noi istituzionalizzata con la nuova legge sul premierato e con il narcisismo di Giorgia trasferito sulla scheda – cosa che secondo alcuni analisti genera consenso e voti, a prescindere dalla presa in giro di chi vota.
Un premier-leader che annulla il partito e disintermedia gli stessi corpi intermedi. Ormai in diretto rapporto con l’elettorato, lui e solo lui, come dice qualche studioso, grazie soprattutto al sostegno dei media vecchi e nuovi. Qui da noi includendo anche i tre canali televisivi del servizio pubblico, al giorno d’oggi altoparlanti monocordi del governo e della Presidente del Consiglio, come mai prima si era visto. Tutto questo succede proprio mentre noi siamo sbadati e superficiali: distratti, come ci ricorda il Censis. Accontentandoci delle fakes news, degli influencer, delle facce televisive dei leader, della loro politica spettacolo, delle loro posture e… dei loro nomi sulla scheda. Che poi questi stessi nomi siano una presa in giro, nessuno ci fa più caso.
La palla è stata ormai passata ad una comunicazione-spettacolo imbrogliona, polverizzata e orizzontale, sempre più nelle mani del web e dei social; ma facendo per questo ingranare la marcia indietro a quel partito politico che con tutti i suoi difetti abbiamo conosciuto per anni. Facendolo liquefare e retrocedere sino alla Roma dei Cesari: solitari uomini forti e rapidi nelle decisioni – vedi appunto il premierato –, autonomi risolutori della complessità storica in quanto predestinati e unti dal Signore. Rinchiudendolo a chiave – il vecchio partito – su un premier e su un leader. Sul suo volto, sul suo abbigliamento, sul suo modo di parlare, e… sul suo nome!
Esagero? Se esagero dobbiamo però constatare che di tutto il resto non si parla più. Stampa quotidiana e giornalismo televisivo, rincorrendo ogni santo giorno la polemica quotidiana fra leader, abbandonano il loro ruolo di sana, obiettiva e imparziale formazione di opinione pubblica, preferendo, una volta schierati, di concentrarsi sulla disputa frontale fra i solitari segretari di partito. Fenomeno ultraventennale iniziato a suo tempo con Berlusconi e le sue reti televisive private, lasciandoci in eredità il totem dell’uomo solo al comando, che oggi trova la sua consacrazione istituzionale nel premierato, specchio di quel presidenzialismo proposto a suo tempo da Giorgio Almirante.
Aggiungo solo un cenno alla frammentazione personalizzata delle tornate elettorali. Per le prossime elezioni europee sono state presentati ben 42 contrassegni differenti, che in attesa della loro accettazione sono stati definiti “simboli della discordia”. Tra questi 42 contrassegni, di cui alcuni contenitori di altri simboli, ne troviamo ben 8 fortemente personalizzati, con tanto di nome del leader in bella evidenza (Meloni, Salvini, Calenda, e persino Berlusconi… ad memoriam).
Allora, anche se la democrazia ha sempre riconosciuto l’importanza di una buona leadership, intesa come autorevole, intelligente e sapiente guida, oggi tuttavia e dopo l’era berlusconiana, abbiamo a che fare con il leader-capo. O meglio, con una marea di leader e di conseguenza con una marea di partiti che confortano una mia opinione, e non solo mia – quella secondo la quale, appunto, sono proprio i tanti partiti che confondono l’elettore e lo lasciano a casa. Ma è proprio con i tanti partiti che si snatura la vera essenza del pluralismo, che secondo Norberto Bobbio “accanto al beneficio che può derivare dalla frantumazione del potere, c’è il maleficio della disgregazione”; e che secondo Benigno Zaccagnini si può trasformare in stimolo pericoloso “della disgregazione e delle tentazioni centrifughe”. Forse gli USA con il loro bipartitismo e il diffuso associazionismo sociale, insegnano qualcosa.
Mi sono sempre chiesto se non è proprio con un pluralismo finto, a misura personale, che si confonde e disperde l’elettorato. Quello che però oggi diventa pericoloso è la leaderpatia diffusa a macchia d’olio; una tragica malattia psichica dovuta al diffuso individualismo narcisista e alla diversità di soli nomi – a prescindere persino dai programmi – che avanza a passi veloci, aiutata e sorretta da un’etica protestante dimentica della fraternità e dell’uguaglianza. E dimentica soprattutto della metafora marinara di papa Francesco, e cioè che in questo periodo della storia ci troviamo tutti “sulla stessa barca”, e dobbiamo remare tutti insieme.
Insomma, dobbiamo abituarci o addirittura rassegnarci? O possiamo scommettere piuttosto sul bisogno urgente di metterci insieme, di camminare il più possibile insieme, prendendo le distanze dal pensiero unico e quindi confrontandoci con le idee diverse dalle nostre, cercando mediazioni e compromessi?
Francesca Rigotti nel suo L’era del Singolo racconta i dilemmi di una società frantumata per effetto di un individualismo esasperato. Ne dobbiamo far tesoro, è una lezione importante se vogliamo andare oltre le ideologie del Novecento, fortemente divisive, mirando però a scansare con tutte le nostre forze questa avvolgente e lesiva seduzione del leaderismo.
(Tratto da www.ildomaniditalia.eu)
Subentra questa nuova era che in quasi tutto il mondo consacra la solitaria personalizzazione della democrazia politica e la totale delega depositata interamente sul nome del leader. Qui da noi istituzionalizzata con la nuova legge sul premierato e con il narcisismo di Giorgia trasferito sulla scheda – cosa che secondo alcuni analisti genera consenso e voti, a prescindere dalla presa in giro di chi vota.
Un premier-leader che annulla il partito e disintermedia gli stessi corpi intermedi. Ormai in diretto rapporto con l’elettorato, lui e solo lui, come dice qualche studioso, grazie soprattutto al sostegno dei media vecchi e nuovi. Qui da noi includendo anche i tre canali televisivi del servizio pubblico, al giorno d’oggi altoparlanti monocordi del governo e della Presidente del Consiglio, come mai prima si era visto. Tutto questo succede proprio mentre noi siamo sbadati e superficiali: distratti, come ci ricorda il Censis. Accontentandoci delle fakes news, degli influencer, delle facce televisive dei leader, della loro politica spettacolo, delle loro posture e… dei loro nomi sulla scheda. Che poi questi stessi nomi siano una presa in giro, nessuno ci fa più caso.
La palla è stata ormai passata ad una comunicazione-spettacolo imbrogliona, polverizzata e orizzontale, sempre più nelle mani del web e dei social; ma facendo per questo ingranare la marcia indietro a quel partito politico che con tutti i suoi difetti abbiamo conosciuto per anni. Facendolo liquefare e retrocedere sino alla Roma dei Cesari: solitari uomini forti e rapidi nelle decisioni – vedi appunto il premierato –, autonomi risolutori della complessità storica in quanto predestinati e unti dal Signore. Rinchiudendolo a chiave – il vecchio partito – su un premier e su un leader. Sul suo volto, sul suo abbigliamento, sul suo modo di parlare, e… sul suo nome!
Esagero? Se esagero dobbiamo però constatare che di tutto il resto non si parla più. Stampa quotidiana e giornalismo televisivo, rincorrendo ogni santo giorno la polemica quotidiana fra leader, abbandonano il loro ruolo di sana, obiettiva e imparziale formazione di opinione pubblica, preferendo, una volta schierati, di concentrarsi sulla disputa frontale fra i solitari segretari di partito. Fenomeno ultraventennale iniziato a suo tempo con Berlusconi e le sue reti televisive private, lasciandoci in eredità il totem dell’uomo solo al comando, che oggi trova la sua consacrazione istituzionale nel premierato, specchio di quel presidenzialismo proposto a suo tempo da Giorgio Almirante.
Aggiungo solo un cenno alla frammentazione personalizzata delle tornate elettorali. Per le prossime elezioni europee sono state presentati ben 42 contrassegni differenti, che in attesa della loro accettazione sono stati definiti “simboli della discordia”. Tra questi 42 contrassegni, di cui alcuni contenitori di altri simboli, ne troviamo ben 8 fortemente personalizzati, con tanto di nome del leader in bella evidenza (Meloni, Salvini, Calenda, e persino Berlusconi… ad memoriam).
Allora, anche se la democrazia ha sempre riconosciuto l’importanza di una buona leadership, intesa come autorevole, intelligente e sapiente guida, oggi tuttavia e dopo l’era berlusconiana, abbiamo a che fare con il leader-capo. O meglio, con una marea di leader e di conseguenza con una marea di partiti che confortano una mia opinione, e non solo mia – quella secondo la quale, appunto, sono proprio i tanti partiti che confondono l’elettore e lo lasciano a casa. Ma è proprio con i tanti partiti che si snatura la vera essenza del pluralismo, che secondo Norberto Bobbio “accanto al beneficio che può derivare dalla frantumazione del potere, c’è il maleficio della disgregazione”; e che secondo Benigno Zaccagnini si può trasformare in stimolo pericoloso “della disgregazione e delle tentazioni centrifughe”. Forse gli USA con il loro bipartitismo e il diffuso associazionismo sociale, insegnano qualcosa.
Mi sono sempre chiesto se non è proprio con un pluralismo finto, a misura personale, che si confonde e disperde l’elettorato. Quello che però oggi diventa pericoloso è la leaderpatia diffusa a macchia d’olio; una tragica malattia psichica dovuta al diffuso individualismo narcisista e alla diversità di soli nomi – a prescindere persino dai programmi – che avanza a passi veloci, aiutata e sorretta da un’etica protestante dimentica della fraternità e dell’uguaglianza. E dimentica soprattutto della metafora marinara di papa Francesco, e cioè che in questo periodo della storia ci troviamo tutti “sulla stessa barca”, e dobbiamo remare tutti insieme.
Insomma, dobbiamo abituarci o addirittura rassegnarci? O possiamo scommettere piuttosto sul bisogno urgente di metterci insieme, di camminare il più possibile insieme, prendendo le distanze dal pensiero unico e quindi confrontandoci con le idee diverse dalle nostre, cercando mediazioni e compromessi?
Francesca Rigotti nel suo L’era del Singolo racconta i dilemmi di una società frantumata per effetto di un individualismo esasperato. Ne dobbiamo far tesoro, è una lezione importante se vogliamo andare oltre le ideologie del Novecento, fortemente divisive, mirando però a scansare con tutte le nostre forze questa avvolgente e lesiva seduzione del leaderismo.
(Tratto da www.ildomaniditalia.eu)
Lascia un commento