“Se mi uccidono vuol dire che siamo fortissimi”



Guido Puccio    19 Febbraio 2024       2

“Se mi uccidono vuol dire che siamo fortissimi” aveva detto Aleksej Navalny dopo il tentativo di avvelenamento che aveva subito in Russia, salvato in extremis dopo un drammatico volo dalla Siberia a Berlino, dove era stato curato e salvato con l’intervento personale di Angela Merkel.

Era tornato nella sua terra ben sapendo che sarebbe stato punito con le solite accuse di comodo. Infatti era stato confinato in una colonia penale di massima sicurezza, nella parte più estrema della Siberia di nord-ovest, in un distretto scarsamente popolato sull’oceano Artico. Ed inoltre, pur nelle condizioni estreme del gulag, era soggetto costantemente a punizioni. E sarebbe deceduto per un arresto cardiaco dicono le fonti ufficiali del gulag, quasi condivise dal solito leghista di casa nostra, memore forse della famosa maglietta del capo sulla Piazza Rossa.

La causa della morte dichiarata dalle autorità del penitenziario lacerano il comune buonsenso: è sufficiente la detenzione in un penitenziario siberiano per uccidere. Basta leggere Solzenitsyn, Sacharov e altri pochi sopravvissuti al gulag per rendersene conto. O magari il più recente romanzo (ma non troppo) di Giuliano da Empoli, Il mago del Cremlino, per capire come vengono prese le decisioni dietro le mura della antica sede degli Zar.

In queste ore dilagano le cronache. Seguiranno commenti e appelli ma pochi ne traggono già le conseguenze: la prepotenza delle autocrazie spazza via il dissenso con il cinismo ben noto dei tempi staliniani; organizza il consenso impedendo candidature alternative per motivi burocratici; arresta chi partecipa a qualsiasi forma di protesta o di semplice ricordo (cento arresti e rimozione dai fiori sulle piazze a Pietroburgo e Mosca il primo giorno dopo la morte di Navalny).

E che fa l’Occidente? È incapace di reagire, è dubbioso nel continuare ad aiutare l’Ucraina aggredita, è inascoltato nei tentativi di fermare il conflitto mediorientale, non c’è davanti alle esigenze di costruire una difesa comune europea; è diviso nell’interpretare una politiche comuni.

A Mosca lo hanno capito e perseguono il loro disegno contro le libertà, la civiltà e la democrazia dei paesi occidentali. Per non dire di quello che si muove nelle nostre piazze: inutile sperare di vedere manifestazioni contro il crimine di un dissidente che si batteva per le libertà ed era recluso tra i ghiacci di una colonia penale, come invece avviene per ben altro.

E i cattolici? Siamo portatori di valori universali e capaci di mobilitarci per le marce della pace. Punto. Purtroppo dobbiamo convenire che ci vorrebbe un Pannella, o magari un’altra iniziativa di protesta come quelle organizzate da Giuliano Ferrara quando vengono violentati i nostri valori, altro che le bandiere con i cinque colori.

Leggeremo ben presto analisi e appelli, dopo le notizie di cronaca. Poi silenzio. L’Europa continuerà nel suo benessere rispetto al sud del mondo, eleggerà a breve il suo nuovo Parlamento discutendo della esigenza di creare un esercito comune per la difesa, senza domandarsi che senso ha un esercito europeo senza avere una politica estera comune che non esiste.

Eppure dovrebbe insegnarci qualcosa l’ennesimo delitto di un dissidente che amava il proprio Paese senza paura di ritornarci, anziché fare appelli dal divano di casa. Un dissidente che anche in condizioni estreme denunciava corruzione e frodi e che voleva la libertà e la democrazia per il suo popolo.

(Tratto da www.politicainsieme.com)


2 Commenti

  1. La vicenda Navalny in ogni caso suscita qualche perplessità. Al potere autocratico russo fa comodo la morte probabilmente procurata di Navalny? Mettiamo in fila tre o quattro considerazioni: la guerra in Ucraina sta volgendo a favore della Russia che non ha assolutamente fretta di concluderla, l’attenzione mediatica sull’Ucraina si sta affievolendo, il Congresso statunitense è diviso fra chi intende proseguire il confronto per procura con la federazione e chi, cogliendo a pretesto i costi ingenti già sostenuti e da sostenere per l’invio di armi, punta a una revisione della postura sin qui espressa nei confronti della Russia, Putin ha rilasciato un’intervista a Carlson (ha ottenuto un numero altissimo di visualizzazioni) in cui con calma e sicurezza (ed era stato descritto come malato e quasi in punto di morte!) illustra la necessità, già ribadita in occasioni precedenti, di approdare a un negoziato globale per garantire la reciproca sicurezza della parte orientale e occidentale dell’Europa e successivamente dichiara la disponibilità ad aprire la trattativa con l’Ucraina. Una strategia di captatio benevolentiae con l’opinione pubblica americana che inevitabilmente raffronta la lucidità del leader russo con la debolezza mentale e caratteriale dei due candidati alla presidenza (per inciso: ma è mai possibile che in un grande paese come gli USA non si riesca a trovare di meglio? Segno forse che l’Impero non è più tale o che il potere non abita realmente nello studio ovale e nei palazzi della politica? Segno di decadenza, voluta, della più grande democrazia del pianeta?). L’indignazione suscitata in Occidente , largamente prevedibile dagli strateghi del Cremlino, dalla morte o dall’assassinio di chi è divenuto simbolo della dissidenza (indipendentemente dai reali riscontri della sua vicenda autobiografica e politica) ostacola e rallenta la strategia vincente del Cremlino. Come, mutatis mutandis, i terribili eccidi del 7 ottobre hanno rallentato (speriamo non sepolto per sempre) e messo in pausa il processo di appeasement fra Israele e Arabia Saudita che avrebbe avuto ripercussioni epocali nel tormentato Medio Oriente. E’ poco credibile che Putin e la sua cerchia siano stati così fessi da servire ai propri avversari il cadavere caldo di Navalny: oggi ai fautori di una strategia assertiva contro la Russia Navalny serve più da morto che da vivo. Quali altri ipotesi dietro la sua fine repentina? Un’azione dei servizi segreti angloamericani? Politicamente credibile ma operativamente di ardua realizzazione (più facile fare i fuochi d’artificio sul North stream 2 che penetrare una prigione in una remota regione vicina al Polo nord). Morte per cause naturali? Oppure un ennesimo segno della divisione latente nel sistema di potere della Federazione: qualcuno potrebbe avere avuto interesse a gettare cinicamente il cadavere del dissidente sulla strada di Putin e Lavrov (alcuni storici per esempio ipotizzano che il delitto Matteotti sia riconducibile ad ambienti dell’estremismo fascista che temevano una svolta in senso monarchico-moderato di Mussolini). Probabilmente neppure i cremlimologi più esperti verranno a capo del mistero. A me, molto più modestamente, di fronte alle tortuosità della storia piace citare la celebre frase che amava ripetere un noto senatore a vita italiano…..”A pensar male si fa peccato ma ci si azzecca…”

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