Premierato, serve una critica allargata



Giuseppe Davicino    7 Novembre 2023       0

La riforma costituzionale per l'elezione diretta del premier, presentata dal governo Meloni suscita parecchie perplessità. I motivi di tali riserve i lettori di “Rinascita popolare” li conoscono bene. In particolare ricordano la critica di Guido Bodrato, sin dai tempi della avventata introduzione dell'elezione diretta negli Enti Locali del 1993 (che è servita da culla della cultura di destra che ispira l'attuale riforma), ogni qual volta riaffiorava nel dibattito il tema del presidenzialismo o di qualche suo surrogato (e l'elezione diretta del premier rientra in questa fattispecie) rispondente al mito dell'uomo (o della donna) solo al comando.

In sostanza il cosiddetto premierato rischia di concentrare in sé tutti i difetti dell'elezione diretta propria del sistema presidenziale ma senza riprodurne i pregi e senza i necessari contrappesi costituzionali.

Se questa è la posizione di principio, largamente condivisa fra i Popolari, credo occorra prestare nel contempo attenzione ad almeno tre ordini di problemi, dati nell'attuale fase, che appaiono destinati a interagire con il percorso della riforma costituzionale voluta da Giorgia Meloni, influenzandone il suo esito.

Il primo aspetto è addirittura paradossale e passibile di una clamorosa eterogenesi dei fini. Un ridimensionamento e una semplificazione così drastici del dibattito politico interno – perché di questo si tratta – come quelli che sarebbero prodotti dalla riforma costituzionale del centrodestra, se in una nazione extra-UE rischierebbero di produrre una autocrazia, in uno Stato membro quale noi siamo, una siffatta riforma potrebbe dare molti dispiaceri ai sovranisti. Non solo nel caso in cui a vincere col nuovo sistema dovesse essere il centrosinistra, ma in ogni caso. La ragione di ciò consiste nel fatto che se l'Unione europea marcerà nella direzione auspicata da Mario Draghi, arrivando a una gestione comunitaria della politica fiscale, di difesa ed estera, allora la possibilità di avere un “sindaco d'Italia”, per dirla con Matteo Renzi che per primo ha lanciato la discutibile idea dell'elezione diretta del premier, apparirebbe molto meno preoccupante per la democrazia, per non dire che essa potrebbe risultare addirittura funzionale all'idea di Europa di Draghi e di quanti auspicano un’Europa più politica, capace di esistere anche politicamente in un mondo che si va facendo multipolare.

Il secondo aspetto da considerare riguarda il modo in cui questa riforma costituzionale impatta sul processo in corso di costruzione del Centro. Stante la diversità di giudizio sul premierato fra il mondo dei Popolari e il partito che di tale sistema ha fatto la sua bandiera, Italia Viva, emerge il fatto che la riforma Meloni diviene un banco di prova fondamentale per capire se il rapporto considerato strategico fra i Popolari e Renzi, è così forte da riuscire ad anteporre le ragioni della costruzione del Centro a quelle di valutazioni diverse di un determinato tema programmatico, e se a prevalere sarà la logica della sintesi, con cui si costruiscono i partiti, anziché quella della spaccatura.

In terzo luogo credo vada considerato anche il fatto che sia i fautori sia i critici del premierato si espongono al rischio di attribuire a questa riforma costituzionale proprietà, in positivo o in negativo, che essa non può avere. Un governo che si fossilizzasse sulla riforma costituzionale, mentre il Paese deve affrontare ben altre priorità, rischierebbe, come è già successo a Renzi nel 2016, di perdere presto la sintonia con gli elettori. Parimenti, un'opposizione che si focalizzasse in modo eccessivo sui pericoli insiti nell'elezione diretta del premier, rischierebbe di apparire assente da questioni molto più decisive per il nostro futuro.

La “battaglia” sulla riforma costituzionale del premierato va condotta in un modo puntuale e consapevole del fatto che le vere riforme, i veri cambiamenti strutturali che coinvolgono le persone e gli Stati, sono principalmente quelli che ci impone la fase storica che stiamo attraversando, una fase di passaggio da un ordine globale al tramonto a uno nuovo che si sta imponendo, quello che vede come protagonisti tutti i popoli della Terra.

Non esistono scappatoie, scorciatoie, o stratagemmi istituzionali per fare in modo che una tale transizione epocale (che sta chiudendo un'epoca durata cinque secoli di egemonia occidentale sul mondo) possa avvenire in modo incruento e vantaggioso per tutti. Esiste solo la via della politica, i cui spazi non è mai saggio comprimere, a nessun livello istituzionale.


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