La Russia è indebolita, come dimostrano la vicenda dell'ammutinamento della Wagner e la crisi del rublo, quindi bisogna continuare a sostenere l’Ucraina fino alla vittoria. È quanto ha deciso la componente più oltranzista della NATO. Altri in seno all’organizzazione, delusi dagli scarsi risultati dell’offensiva ucraina, si chiedono se non sia il caso di trovare un’altra soluzione. Ma da tutti i sostenitori della linea intransigente, si continua a ripetere il ritornello che “non si può trattare con chi ha violato il diritto internazionale con un’aggressione”.
Allora, andiamo ad esaminare che cosa dice in proposito il diritto internazionale.
L’articolo 2, paragrafo 4 della Carta delle Nazioni Unite, approvata il 26 giugno 1945, pone il divieto per gli Stati membri di ricorrere alla minaccia o all’uso della forza, sia contro l’integrità territoriale o l’indipendenza politica di qualsiasi Stato, sia in qualunque altra maniera incompatibile con i fini delle Nazioni Unite. L’unica eccezione all’impiego della forza militare è il diritto alla legittima difesa (art. 51) in virtù del quale lo Stato che subisce l’attacco armato può ricorre alla forza finché non intervenga il Consiglio di sicurezza. Il diritto di legittima difesa, usando la forza armata, spetta anche a Stati terzi che possono intervenire in difesa del primo (legittima difesa collettiva in cui rientra la NATO).
Il Consiglio di sicurezza (CDS) è l’organo dell’ONU che, agendo in nome degli Stati membri, ha la responsabilità primaria per il mantenimento della pace (art. 24) e della sicurezza internazionale (art. 41). È composto di 15 membri: 5 seggi permanenti appartengono rispettivamente a Cina, Francia, Regno Unito, Russia (ereditato dall’Unione Sovietica), e Stati Uniti; i 10 seggi non permanenti, con mandato biennale, ruotano tra gli altri Paesi membri dell’ONU per elezione da parte dell’Assemblea Generale. Le deliberazioni sono prese con voto favorevole di 9 membri nel quale siano compresi i voti dei membri permanenti (art. 27), ciò che significa il conferimento a ciascuno di essi di un diritto di veto, e di poter quindi bloccare qualsiasi risoluzione “sostanziale”.
Il CDS può decidere misure economiche, commerciali, finanziarie, diplomatiche o di altro genere contro lo Stato responsabile di violazioni della sicurezza internazionale. Qualora tali misure risultino inadeguate, lo stesso CDS può giungere a decidere un’azione militare contro lo Stato in questione (art. 42). Non essendo il CDS dotato dei necessari mezzi militari, esso fa ricorso ad operazioni di peace-keeping di carattere conservativo della pace, mediante l’invio dei caschi blu, autorizzati – di regola – all’uso delle armi solo per difendersi da eventuali attacchi. Nelle situazioni in cui occorra agire in maniera coercitiva contro uno Stato per fare cessare una aggressione, o per liberare un Paese occupato militarmente da un altro, o per garantire la sicurezza di certe aree, o le popolazioni la cui sopravvivenza sia minacciata, il CDS adotta risoluzioni con le quali autorizza gruppi di Stati, o alleanze e organizzazioni regionali, ad usare la forza per conseguire l’obiettivo di volta in volta previsto e ristabilire la pace internazionale.
Quindi i soli interventi armati legittimi riguardano quelli messi in atto da chi subisce una aggressione reale, non semplicemente supposta o minacciata (la difesa preventiva non è ammessa), e quelli autorizzati dal CDS contro lo Stato responsabile di azioni aggressive o di violazioni della sicurezza internazionale. Tutto il resto, comunque motivato (esportare o difendere la democrazia, ragioni umanitarie, lotta al terrorismo, ecc.) costituisce una violazione del diritto internazionale in assenza di approvazione del CDS.
A seguito dell’intervento NATO in Kosovo del 1999, ha avuto luogo, nel settembre dello stesso anno, un dibattito in seno all’Assemblea generale delle Nazioni Unite sulla sua legittimità, e più in generale sulla legittimità di casi analoghi, un evento a cui il numero di “Limes” del dicembre 1999 ha dato ampio risalto.
In tale occasione, i Paesi occidentali hanno assunto una posizione “revisionista”, tesa a rimuovere gli stringenti limiti posti dalla Carta delle Nazioni Unite all’uso della forza senza consenso del CDS. Ma gli altri Paesi, e in particolare il gruppo di quelli tradizionalmente non allineati, hanno adottato una posizione di tipo legalitario, negando in via di principio la possibilità di ricorso all’azione militare se non espressamente autorizzata da un mandato del CDS; in assenza del quale (come detto dal ministro degli esteri svedese) si correrebbero rischi di anarchia e di messa in pericolo della pace e della sicurezza internazionale. Altri hanno sottolineato il pericolo di un “doppio standard”, cioè dell’intervento a protezione dei diritti dell’uomo o della sicurezza internazionale esclusivamente in quelle aree dove sono presenti interessi politici delle grandi potenze.
Ora, nell’ottica dell’illegittimità di ogni intervento non approvato dal CDS, diventa lungo l’elenco delle infrazioni della Carta delle Nazioni Unite commesse da numerosi Stati. Accenno ad alcune di quelle riconducibili agli USA, che oggi fanno una bandiera del rispetto del diritto internazionale.
Occupazione USA di Grenada (1983); attività militari e paramilitari americane dentro e contro il Nicaragua (1986); intervento a Panama di forze americane per deporre e catturare il presidente Noriega (1989); intervento NATO in Kosovo (1999). Ci sono poi le varie guerre ed operazioni militari “difensive” motivate da fatti o minacce rivelatisi falsità: incidente del golfo del Tonchino del 1964, casus belli per l’attacco americano al Vietnam del Nord; possesso di armi di distruzione di massa per giustificare la seconda Guerra del golfo nel 2003 (la provetta di vetro contenente presunta antrace sbandierata da Colin Powell); ed altre ancora sulle quali sarebbe troppo lungo entrare in merito.
Torniamo al discusso ruolo del CDS nell’autorizzazione di ogni operazione militare. Si potrà dire che ad impedire al CDS di fare quanto sarebbe necessario è sovente il diritto di veto a cui i membri permanenti possono fare ricorso. In effetti, sugli oltre 280 veti posti finora, vi hanno fatto ricorso principalmente l’Unione Sovietica/Russia (per poco meno del 50%) e gli Stati Uniti (per circa il 30%), il che certamente snatura la funzione di detto Consiglio. Posso aggiungere che di negativo non c’è solo questo: la stessa esistenza di membri permanenti pare oggi ingiustificata e pone degli interrogativi; inoltre, i membri non permanenti sono eletti da un’Assemblea generale dove sono presenti molti Stati microscopici (con meno di 300mila abitanti) e piccoli Paesi (sotto ai 2-3 milioni di abitanti), tutti nell’insieme incapaci di avere una voce propria sulle questioni internazionali, ma totalmente condizionati dalla potenza egemone o dalle nazioni di cui sono stati colonie. Può così capitare che deliberazioni assunte dall’Assemblea Generale non abbiano avuto il sostegno dell’insieme dei Paesi che raccolgono la maggioranza della popolazione del pianeta.
È quindi l’architettura delle Nazioni Unite a non reggere di fronte ai compiti che la stessa Carta assegna a detto organismo. Lo dimostra la oltre cinquantennale incapacità delle Nazioni Unite e della comunità internazionale di affrontare seriamente la questione della Terra Santa, a partire dall’inazione a fronte del mancato rispetto israeliano dell’ingiunzione di restituire i territori conquistati con la forza militare nel 1967 (risoluzione n. 242 delle Nazioni Unite), e in seguito con l’inerzia manifestata rispetto ai drammatici eventi che da anni, e ancora oggi, continuamente si verificano in questa terra.
Attualmente, un altro punto caldo è quello di Taiwan, una questione che, con riferimento al diritto internazionale, è di assoluta chiarezza: Taiwan non è uno Stato indipendente riconosciuto dall’ONU, né dai principali Stati, USA inclusi; è una provincia della Cina.
Dal punto di vista del diritto internazionale, Taiwan è nella stessa situazione della Crimea, dell’Abkhazia, dell’Ossezia, formalmente appartenenti rispettivamente all’Ucraina e alla Georgia, ma di fatto sotto controllo russo o indipendenti. Ma, mentre, da parte occidentale, alla Cina non è considerato lecito riappropriarsi di un territorio giuridicamente suo, lo si ritiene invece un diritto per l’Ucraina e la Georgia. La stessa cosa si può dire in Medio Oriente dei territori occupati da Israele con la Guerra dei sei giorni, da essa iniziata, o del Kosovo strappato alla Serbia con una guerra senza avvallo del CDS, quindi in violazione del diritto internazionale.
Quindi mettiamo da parte il ricorso pretestuoso al diritto internazionale, visto l’uso strumentale che se ne fa. In ogni caso, non si possono affrontare le questioni di ordine internazionale in modo astrattamente giuridico. Occorre tornare alla realtà, cercando di fondare la pace su una condizione di equilibrio tra le potenze, grandi e minori, che tenga conto delle legittime preoccupazioni di tutte, avendo presente la storia, e senza dimenticare la volontà delle popolazioni coinvolte.
Nel caso specifico della guerra in Ucraina, non è sostenibile la rappresentazione di una Russia ove Putin, un mattino di febbraio 2022, si sveglia e decide di aggredire un’Ucraina che badava ai fatti propri. Si trascura volutamente che sul confine ucraino orientale, era già in corso una guerra a partire dal 2014, innescata dalle questioni irrisolte lasciate aperte dal dissolvimento dell’URSS. Il crollo di ogni impero multinazionale porta sempre con sé una lunga serie di contrasti e conflitti locali (Crimea, Nagorno Karabakh, Ossezia, Transnistria, Cecenia ecc.) e pericolose situazioni di caos (nel Caucaso e nell’Asia centrale) che devono trovare soluzione in ambito regionale, senza che potenze esterne soffino sul fuoco per propri interessi, poiché ne derivano sempre sviluppi pericolosi per il mondo intero.
A partire dalla fine degli anni Novanta del secolo scorso, la Russia si è sentita minacciata dalla sempre più forte pressione occidentale con l’estensione a est della NATO. Nessuna potenza vuole ai suoi confini Paesi ostili. Esemplare il caso di Cuba: prima (1961), il tentativo americano di rovesciare il regime castrista con lo sbarco di fuoriusciti cubani per dare pretesto a un intervento diretto; poi (1962) blocco statunitense di Cuba per impedire l’istallazione di missili sovietici nell’isola (che si sentiva ancora sotto minaccia di invasione), missili analoghi a quelli impiantati dagli americani in Turchia al confine sovietico.
Inoltre, la Russia ha visto con preoccupazione, in Paesi con essa confinanti, rivoluzioni “colorate” (in realtà colpi di stato con la decisiva partecipazione di squadristi e formazioni paramilitari, e il forte sostegno politico ed economico di nazioni occidentali) che hanno portato al potere accesi nazionalisti. Infine, a dare conferma alla minaccia da occidente, è sopraggiunto il preannunziato ingresso dell’Ucraina nella NATO, senza dimenticare le dichiarazioni di Zelenski (fatte a fine 2021 e inizio 2022) di essere ormai pronto militarmente per soffocare la rivolta nel Donbass e per riconquistare la Crimea.
Oggi, il proseguimento della guerra per ottenere la sconfitta e il dissolvimento della Federazione russa rappresenta una strategia pericolosa dalle conseguenze esplosive già sperimentare in altri scenari. La sola alternativa può essere una soluzione di compromesso, o, se vogliamo dire, una pace “giusta”. A tal fine, bisogna riconoscere che sono sempre in campo tutte le questioni già presenti prima del febbraio 2022, alle quali occorre dare una soluzione che rassicuri l’Ucraina, garantendole di non essere fagocitata dalla Russia e di poter mantenere la propria indipendenza, ma che tenga conto anche dei problemi posti da Mosca: 1) la preoccupazione di avere al proprio confine un Paese aderente alla NATO, alleanza rivitalizzata nel Novanta al solo scopo di spingere la Federazione russa sempre più verso est; 2) garanzia di libero accesso al Mar Nero, tenuto conto che tutti i porti della Russia meridionale possono essere bloccati da una Crimea in mani ostili; 3) mettere fine ai conflitti che dal 2014 insanguinano le terre russofone, fornendo una qualche risposta (come si tentò con gli accordi di Minsk) alle aspirazioni della popolazione russa maggioritaria nel Donbass, e in una Crimea che più volte – 1992, 1994 e 1998, ben prima che Putin fosse al potere – ha chiesto di essere indipendente da Kiev.
Allora, andiamo ad esaminare che cosa dice in proposito il diritto internazionale.
L’articolo 2, paragrafo 4 della Carta delle Nazioni Unite, approvata il 26 giugno 1945, pone il divieto per gli Stati membri di ricorrere alla minaccia o all’uso della forza, sia contro l’integrità territoriale o l’indipendenza politica di qualsiasi Stato, sia in qualunque altra maniera incompatibile con i fini delle Nazioni Unite. L’unica eccezione all’impiego della forza militare è il diritto alla legittima difesa (art. 51) in virtù del quale lo Stato che subisce l’attacco armato può ricorre alla forza finché non intervenga il Consiglio di sicurezza. Il diritto di legittima difesa, usando la forza armata, spetta anche a Stati terzi che possono intervenire in difesa del primo (legittima difesa collettiva in cui rientra la NATO).
Il Consiglio di sicurezza (CDS) è l’organo dell’ONU che, agendo in nome degli Stati membri, ha la responsabilità primaria per il mantenimento della pace (art. 24) e della sicurezza internazionale (art. 41). È composto di 15 membri: 5 seggi permanenti appartengono rispettivamente a Cina, Francia, Regno Unito, Russia (ereditato dall’Unione Sovietica), e Stati Uniti; i 10 seggi non permanenti, con mandato biennale, ruotano tra gli altri Paesi membri dell’ONU per elezione da parte dell’Assemblea Generale. Le deliberazioni sono prese con voto favorevole di 9 membri nel quale siano compresi i voti dei membri permanenti (art. 27), ciò che significa il conferimento a ciascuno di essi di un diritto di veto, e di poter quindi bloccare qualsiasi risoluzione “sostanziale”.
Il CDS può decidere misure economiche, commerciali, finanziarie, diplomatiche o di altro genere contro lo Stato responsabile di violazioni della sicurezza internazionale. Qualora tali misure risultino inadeguate, lo stesso CDS può giungere a decidere un’azione militare contro lo Stato in questione (art. 42). Non essendo il CDS dotato dei necessari mezzi militari, esso fa ricorso ad operazioni di peace-keeping di carattere conservativo della pace, mediante l’invio dei caschi blu, autorizzati – di regola – all’uso delle armi solo per difendersi da eventuali attacchi. Nelle situazioni in cui occorra agire in maniera coercitiva contro uno Stato per fare cessare una aggressione, o per liberare un Paese occupato militarmente da un altro, o per garantire la sicurezza di certe aree, o le popolazioni la cui sopravvivenza sia minacciata, il CDS adotta risoluzioni con le quali autorizza gruppi di Stati, o alleanze e organizzazioni regionali, ad usare la forza per conseguire l’obiettivo di volta in volta previsto e ristabilire la pace internazionale.
Quindi i soli interventi armati legittimi riguardano quelli messi in atto da chi subisce una aggressione reale, non semplicemente supposta o minacciata (la difesa preventiva non è ammessa), e quelli autorizzati dal CDS contro lo Stato responsabile di azioni aggressive o di violazioni della sicurezza internazionale. Tutto il resto, comunque motivato (esportare o difendere la democrazia, ragioni umanitarie, lotta al terrorismo, ecc.) costituisce una violazione del diritto internazionale in assenza di approvazione del CDS.
A seguito dell’intervento NATO in Kosovo del 1999, ha avuto luogo, nel settembre dello stesso anno, un dibattito in seno all’Assemblea generale delle Nazioni Unite sulla sua legittimità, e più in generale sulla legittimità di casi analoghi, un evento a cui il numero di “Limes” del dicembre 1999 ha dato ampio risalto.
In tale occasione, i Paesi occidentali hanno assunto una posizione “revisionista”, tesa a rimuovere gli stringenti limiti posti dalla Carta delle Nazioni Unite all’uso della forza senza consenso del CDS. Ma gli altri Paesi, e in particolare il gruppo di quelli tradizionalmente non allineati, hanno adottato una posizione di tipo legalitario, negando in via di principio la possibilità di ricorso all’azione militare se non espressamente autorizzata da un mandato del CDS; in assenza del quale (come detto dal ministro degli esteri svedese) si correrebbero rischi di anarchia e di messa in pericolo della pace e della sicurezza internazionale. Altri hanno sottolineato il pericolo di un “doppio standard”, cioè dell’intervento a protezione dei diritti dell’uomo o della sicurezza internazionale esclusivamente in quelle aree dove sono presenti interessi politici delle grandi potenze.
Ora, nell’ottica dell’illegittimità di ogni intervento non approvato dal CDS, diventa lungo l’elenco delle infrazioni della Carta delle Nazioni Unite commesse da numerosi Stati. Accenno ad alcune di quelle riconducibili agli USA, che oggi fanno una bandiera del rispetto del diritto internazionale.
Occupazione USA di Grenada (1983); attività militari e paramilitari americane dentro e contro il Nicaragua (1986); intervento a Panama di forze americane per deporre e catturare il presidente Noriega (1989); intervento NATO in Kosovo (1999). Ci sono poi le varie guerre ed operazioni militari “difensive” motivate da fatti o minacce rivelatisi falsità: incidente del golfo del Tonchino del 1964, casus belli per l’attacco americano al Vietnam del Nord; possesso di armi di distruzione di massa per giustificare la seconda Guerra del golfo nel 2003 (la provetta di vetro contenente presunta antrace sbandierata da Colin Powell); ed altre ancora sulle quali sarebbe troppo lungo entrare in merito.
Torniamo al discusso ruolo del CDS nell’autorizzazione di ogni operazione militare. Si potrà dire che ad impedire al CDS di fare quanto sarebbe necessario è sovente il diritto di veto a cui i membri permanenti possono fare ricorso. In effetti, sugli oltre 280 veti posti finora, vi hanno fatto ricorso principalmente l’Unione Sovietica/Russia (per poco meno del 50%) e gli Stati Uniti (per circa il 30%), il che certamente snatura la funzione di detto Consiglio. Posso aggiungere che di negativo non c’è solo questo: la stessa esistenza di membri permanenti pare oggi ingiustificata e pone degli interrogativi; inoltre, i membri non permanenti sono eletti da un’Assemblea generale dove sono presenti molti Stati microscopici (con meno di 300mila abitanti) e piccoli Paesi (sotto ai 2-3 milioni di abitanti), tutti nell’insieme incapaci di avere una voce propria sulle questioni internazionali, ma totalmente condizionati dalla potenza egemone o dalle nazioni di cui sono stati colonie. Può così capitare che deliberazioni assunte dall’Assemblea Generale non abbiano avuto il sostegno dell’insieme dei Paesi che raccolgono la maggioranza della popolazione del pianeta.
È quindi l’architettura delle Nazioni Unite a non reggere di fronte ai compiti che la stessa Carta assegna a detto organismo. Lo dimostra la oltre cinquantennale incapacità delle Nazioni Unite e della comunità internazionale di affrontare seriamente la questione della Terra Santa, a partire dall’inazione a fronte del mancato rispetto israeliano dell’ingiunzione di restituire i territori conquistati con la forza militare nel 1967 (risoluzione n. 242 delle Nazioni Unite), e in seguito con l’inerzia manifestata rispetto ai drammatici eventi che da anni, e ancora oggi, continuamente si verificano in questa terra.
Attualmente, un altro punto caldo è quello di Taiwan, una questione che, con riferimento al diritto internazionale, è di assoluta chiarezza: Taiwan non è uno Stato indipendente riconosciuto dall’ONU, né dai principali Stati, USA inclusi; è una provincia della Cina.
Dal punto di vista del diritto internazionale, Taiwan è nella stessa situazione della Crimea, dell’Abkhazia, dell’Ossezia, formalmente appartenenti rispettivamente all’Ucraina e alla Georgia, ma di fatto sotto controllo russo o indipendenti. Ma, mentre, da parte occidentale, alla Cina non è considerato lecito riappropriarsi di un territorio giuridicamente suo, lo si ritiene invece un diritto per l’Ucraina e la Georgia. La stessa cosa si può dire in Medio Oriente dei territori occupati da Israele con la Guerra dei sei giorni, da essa iniziata, o del Kosovo strappato alla Serbia con una guerra senza avvallo del CDS, quindi in violazione del diritto internazionale.
Quindi mettiamo da parte il ricorso pretestuoso al diritto internazionale, visto l’uso strumentale che se ne fa. In ogni caso, non si possono affrontare le questioni di ordine internazionale in modo astrattamente giuridico. Occorre tornare alla realtà, cercando di fondare la pace su una condizione di equilibrio tra le potenze, grandi e minori, che tenga conto delle legittime preoccupazioni di tutte, avendo presente la storia, e senza dimenticare la volontà delle popolazioni coinvolte.
Nel caso specifico della guerra in Ucraina, non è sostenibile la rappresentazione di una Russia ove Putin, un mattino di febbraio 2022, si sveglia e decide di aggredire un’Ucraina che badava ai fatti propri. Si trascura volutamente che sul confine ucraino orientale, era già in corso una guerra a partire dal 2014, innescata dalle questioni irrisolte lasciate aperte dal dissolvimento dell’URSS. Il crollo di ogni impero multinazionale porta sempre con sé una lunga serie di contrasti e conflitti locali (Crimea, Nagorno Karabakh, Ossezia, Transnistria, Cecenia ecc.) e pericolose situazioni di caos (nel Caucaso e nell’Asia centrale) che devono trovare soluzione in ambito regionale, senza che potenze esterne soffino sul fuoco per propri interessi, poiché ne derivano sempre sviluppi pericolosi per il mondo intero.
A partire dalla fine degli anni Novanta del secolo scorso, la Russia si è sentita minacciata dalla sempre più forte pressione occidentale con l’estensione a est della NATO. Nessuna potenza vuole ai suoi confini Paesi ostili. Esemplare il caso di Cuba: prima (1961), il tentativo americano di rovesciare il regime castrista con lo sbarco di fuoriusciti cubani per dare pretesto a un intervento diretto; poi (1962) blocco statunitense di Cuba per impedire l’istallazione di missili sovietici nell’isola (che si sentiva ancora sotto minaccia di invasione), missili analoghi a quelli impiantati dagli americani in Turchia al confine sovietico.
Inoltre, la Russia ha visto con preoccupazione, in Paesi con essa confinanti, rivoluzioni “colorate” (in realtà colpi di stato con la decisiva partecipazione di squadristi e formazioni paramilitari, e il forte sostegno politico ed economico di nazioni occidentali) che hanno portato al potere accesi nazionalisti. Infine, a dare conferma alla minaccia da occidente, è sopraggiunto il preannunziato ingresso dell’Ucraina nella NATO, senza dimenticare le dichiarazioni di Zelenski (fatte a fine 2021 e inizio 2022) di essere ormai pronto militarmente per soffocare la rivolta nel Donbass e per riconquistare la Crimea.
Oggi, il proseguimento della guerra per ottenere la sconfitta e il dissolvimento della Federazione russa rappresenta una strategia pericolosa dalle conseguenze esplosive già sperimentare in altri scenari. La sola alternativa può essere una soluzione di compromesso, o, se vogliamo dire, una pace “giusta”. A tal fine, bisogna riconoscere che sono sempre in campo tutte le questioni già presenti prima del febbraio 2022, alle quali occorre dare una soluzione che rassicuri l’Ucraina, garantendole di non essere fagocitata dalla Russia e di poter mantenere la propria indipendenza, ma che tenga conto anche dei problemi posti da Mosca: 1) la preoccupazione di avere al proprio confine un Paese aderente alla NATO, alleanza rivitalizzata nel Novanta al solo scopo di spingere la Federazione russa sempre più verso est; 2) garanzia di libero accesso al Mar Nero, tenuto conto che tutti i porti della Russia meridionale possono essere bloccati da una Crimea in mani ostili; 3) mettere fine ai conflitti che dal 2014 insanguinano le terre russofone, fornendo una qualche risposta (come si tentò con gli accordi di Minsk) alle aspirazioni della popolazione russa maggioritaria nel Donbass, e in una Crimea che più volte – 1992, 1994 e 1998, ben prima che Putin fosse al potere – ha chiesto di essere indipendente da Kiev.
Ringrazio il prof. Ladetto per le chiare precisazioni degli elementi su cui poggia l’attuale Diritto Internazionale e sull’uso disinvolto e sostanzialmente ipocrita che ne è stato fatto nel corso dei decenni. Condivido anche la sintetica ricostruzione della vicenda ucraina e le conclusioni cui perviene, sostanzialmente in linea – per altro – con la linea espressa dalla S. Sede.
Ladetto aiuta i cittadini che intendano formarsi una propria opinione, a non guardare solo il drappo rosso sventolato dai media per non fare la fine del toro nella corrida, ma a soppesare la molteplicità di fattori che concorrono a creare situazioni di crisi e di guerra. Un atteggiamento che sarà sempre più utile a capire dove sta andando il mondo e a comprendere che il superamento del doppio standard di giudizio da parte occidentale è innanzitutto interesse dell’Occidente, anche come garanzia in un futuro prossimo in cui il mondo sarà guidato per lo più da potenze extra occidentali, che queste ultime evitino di imporre un loro doppio standard nei nostri confronti. Al momento paiono ben disposte, ma la nostra resistenza nel prendere atto che il mondo è cambiato non aiuta ad avviare una riforma degli organismi internazionali nel segno di una maggiore equità e di una maggiore capacità di rappresentanza dei mutati equilibri globali.
A me sembra che la situazione territoriale ante aggressione dell’URSS all’Ukraina era stata pacificamente accettata dalla stessa URSS, compresa la CRIMEA, prima dell’avvento del dittatore PUTIN.
L’aiuto richiesto agli occidentali è stata una necessità, compresa la richiesta di adesione alla NATO. Anche gli altri Stati europei, temono aggressioni dall’Urss e chiedono aiuto alla NATO. Si può negare questo aiuto che appare logico e doveroso? La temporalità dei confini può essere sempre oggetto di rivendicazioni ma non può avere mai certezze! In tempi antichi quasi tutta l’Europa era considerata UNICO Impero Romano!!
La complessità della situazione internazionale necessita di continue riflessioni; da aggiornare sulla base del susseguirsi degli eventi. Il confronto che caratterizza questo sito-giornalino è una delle perle del nostro tempo. L’asticella si alza continuamente e l’autorevolezza degli interlocutori impone un contributo alla riflessione. E’ vero,concordo, il Diritto Internazionale viene continuamente blandito e usato come se fosse semplicemente il contrario del “rovescio”; a seconda degli interessi in gioco.
Tuttavia non è la vera questione in gioco: non è un problema di Diritto seppur internazionale; è un solido,inedito, complesso problema POLITICO.
Don Luigi Sturzo ci ha magistralmente insegnato come l’analisi dettagliata delle situazioni politiche, nella loro complessità, sia indispensabile per la riflessione volta alla soluzione dei problemi da esse generate. “ La storia non si fa con le ipotesi; ma le ipotesi giovano a chiarire la storia”. Se “il raggio di conoscenze politiche è limitato solo a quel che quotidianamente viene stampato sui giornali (oggi i social o internet), si legge in fretta e si dimentica presto”. “Molti hanno un forte ritegno a chiamare Lega delle Nazioni quell’organizzazione internazionale che dovrà seguire la guerra e la vittoria degli alleati. La diremo Comunità delle Nazioni o Società degli Stati? O World Commonwealth? O Federazione Internazionale? Si va in cerca di nomi per dire che si vuole costituire una Lega delle Nazioni migliore della passata. Non facciamo questione di nomi, teniamoci alla sostanza”(1944).
Nacque l’ONU.
I vincitori della II guerra mondiale, Stalin, Churchill e Roosevelt strinsero i Patti di Yalta(4/11 febbraio 1945), preceduti dagli accordi segreti di Teheran(28.11/1.12 1943) e seguiti dagli accordi di San Francisco del 25 aprile 1945, definirono composizione e regole del Consiglio Permanente di sicurezza della costituente ONU. Negli accordi, includenti cinque seggi e diritto di veto vennero ricompresi successivamente anche Francia (per l’Europa occidentale) e la Cina Nazionalista –Kuomintang di Chiang Kai-shek (per l’area del Pacifico), per completare gli “equilibri mondiali”. Stalin fu già allora doppiogiochista accettando gli accordi e finanziando neanche troppo sottobanco (durante la II guerra mondiale tutto era lecito per contrastare il Giappone) il Partito Comunista Cinese di Mao Zedong, antagonista del Kuomintang. Le sfere di influenza furono definite in quegli accordi, meglio esplicitate da Churchill con la enunciazione della “Cortina di ferro”; l’Europa divisa tra USA e URSS, la Cina “attenzionata” congiuntamente. Nel 1949 Mao Zedong non ostacolato da Stalin compie la Rivoluzione contro il Kuomintang costringendo Chiang Kai-shek a riparare a Taiwan dove insedia, resistendo, il legittimo governo cinese. Mao Zedong insedia il Partito Comunista Cinese a Pechino governando di fatto il continente. Cresciuta economicamente e influente nell’area del sud pacifico, verrà riconosciuta dagli USA di Nixon solo nel 1971 e quindi dall’ONU; sostituendo il Kuomintang nel seggio permanente del CdS. Come si vede la questione “Taiwan” non è derubricabile ad affare interno cinese, né tantomeno paragonabile ad Ossezia, Abkhazia o Crimea.
Il dato certo e ineludibile contempera lo sviluppo dell’Europa occidentale, finanziata dal Piano Marshall, nel segno della democrazia e delle libertà, il regresso dell’Europa orientale, compressa dall’URSS, nel segno della dittatura e della povertà. Questa la differenza reale tra USA e URSS.
Un inciso asettico su Israele, per la precisione. Nasce nel 1947 a seguito della deliberazione dell’ONU relativa alla partizione delle terre Palestinesi, già soggette a mandato Britannico, in stato ebraico e stato arabo. Israele fu costituita il 14 maggio 1948 con soddisfazione degli ebrei mentre gli arabi palestinesi osteggiarono da subito la partizione iniziando uno scontro armato sostenuto dai vicini paesi arabi; si arrivò così alla guerra dei sei giorni dove Israele occupò porzioni strategiche della Cis-Giordania (terre arabo-palestinesi). Attualmente la Federazione Russa partecipa attivamente alla guerra in Siria come ulteriore fattore di destabilizzazione dell’area.
Concordo su un’altra affermazione, occorre tornare alla realtà. Ricordando le invasioni russe, seguite al patto Molotov-Von Ribbentrop, di Estonia, Lettonia e Lituania, Finlandia, Bessarabia e Bucovina settentrionale; poi quelle successive al disciolto patto, Polonia, Romania, Ungheria, Cecoslovacchia, Bulgaria e Germania est ratificate negli accordi di Jalta. Solo l’Austria scampò il pericolo con l’autonomia nel 1955 a prezzo dell’espropriazione sovietica di 450 imprese; poi la Manciuria, il sud del Sachalin, la Corea del nord restituita solo all’insediato regime comunista di Kim II-Sung. La tentata invasione della Corea del sud, indi i carri armati di nuovo in Ungheria e poi in Cecoslovacchia. Nel 1979 l’invasione dell’Afghanistan, nel 1996 della Cecenia. In mezzo la “parentesi” Gorbaciov; ribadisco l’errore strategico occidentale e degli USA nel non capire la portata della “perestroika” e il ruolo giocato da San Giovanni Paolo II in quel frangente. Oggi la Federazione Russa potrebbe essere parte integrante dell’Europa e la Nato un diverso soggetto.
Invece arriva Putin dopo Eltsin, usurpatore fallimentare di Gorbaciov. Sono ventitre anni di regno dittatoriale caratterizzati sin dall’insediamento, da discorsi imperialisti (basta leggerli) e guerre. Non ancora insediato al Cremlino ma capo del governo occupa il Daghestan Caucasico, poscia riprende l’offensiva in Cecenia bombardando i civili al mercato nella capitale, abbattendo un aereo di profughi e perpetrando stupri e violenze. Era il tempo della operazione di peacekeeping in Kosovo, operazione Kosovo Force (Kfor), di cui faceva parte anche la Federazione Russa. Gli occidentali si voltarono dall’altra parte riguardo alla Cecenia, Putin fece altrettanto sul Kosovo. Seguì un periodo di non belligeranza tra USA, occidente e Federazione Russa durato fino al 2008, quando Putin utilizzò ancora il metodo Ceceno/Kosovaro per sottrarre Ossezia e Abkhazia alla Georgia. Successivamente si preoccupò di consolidare la sua dittatura con l’ausilio del fido Medvedev e con la modifica costituzionale che lo vedrà in carica potenzialmente sino al 2035 (ottimo esempio di democrazia e libertà).
Una volta stabilizzatosi formalmente dà il via alla questione Ucraina. Nel 2012 Unione Europea e Ucraina avviano libere trattative commerciali. La federazione Russa interviene bloccando gli scambi con l’Ucraina obbligandola ad un regresso del PIL e a fare marcia indietro con la UE. Il 21 novembre del 2013 gli ucraini scendono in piazza a Kiev a sostegno degli accordi con la UE. Le proteste continueranno fino al 20 gennaio 2014, soffocate nel sangue. Il 21 febbraio il governo filo-russo di Viktor Janukovyč arriva a patti con l’opposizione insediando un nuovo governo. Polonia Francia e Germania firmano l’accordo, la Federazione Russa no. La situazione degenera, Janukovyč scappa e a Putin non resta che invadere la Crimea a marzo. Ad aprile i separatisti del Donbass, armati dai russi non ufficialmente, occupano alcune sedi istituzionali. Inizia la controffensiva Ucraina volta a ristabilire l’ordine. Poi il 2022 e la guerra vera e propria. Per distrarsi inviò truppe in Libia non certo per stabilizzare un’area soggetta a protettorato italico, già disconosciuto da Francia e UK. Non dimentichiamo gli assassinii di stato dei giornalisti avversi al regime o gli avvelenamenti degli oppositori politici. Quando sopravvivono vengono inviati a contare gli orsi polari in Siberia. Comunque la si voglia leggere, la storia è più complessa delle banali e sommarie interpretazioni, sempre di parte mai verità assolute.
Ora come si possa sostenere la tesi dell’allargamento della Nato ad est come matrice e causa della invasione russa mi è del tutto ignoto, posto che liberi referendum ed elezioni democratiche popolari né hanno sancito l’adesione dei popoli finalmente liberi dall’oppressione sovietica. Così come è francamente incomprensibile giustificare i crimini di guerra commessi dall’esercito russo a danno dei civili, bombardamenti, stupri, sevizie, trucide torture, deportazioni di minori(sulle quali la Santa Sede, confermando le deportazioni, è opportunamente operativa). Peraltro crimini perpetrati scientemente in ogni luogo dal primo giorno che è salito al potere, riutilizzando anche i celebri “Gulag”. Resta l’inconcludente confronto tra la lista delle “ingiustizie” commesse da USA e Federazione Russa, comunque a svantaggio conclamato di quest’ultima.
Sul tavolo della politica internazionale che conta, parlo dei contraenti di Jalta, restano solo Federazione Russa e USA, vassallati dalla Gran Bretagna, in subalternità la Francia, con la Cina “illegittima” a far da spettatrice di una “wenti”, tutti bloccati dal diritto di veto. Quindi? Rimangono due soluzioni praticabili: la politica e la “forza”. Quella politica è impraticabile per l’assenza di un attore fondamentale: l’Europa; PERCHÉ SEMPLICEMENTE NON ESISTE. Esistono stati singoli, sovrani che condividono una moneta e litigano su tutto il resto, a cominciare dall’esodo africano, rispetto al quale Federazione Russa e Cina non sono immuni da ruolo attivo, interessate come sono ai prodotti rari del sottosuolo. Praticabile se Putin facesse un passo indietro restituendo i territori occupati e ottenendo altro di vitale importanza in cambio. Difficile se si pensa che non potendo ottenere il giocattolo, lo sta letteralmente radendo al suolo. Non mi pare una buona base di trattativa. “C’est l’argent qui fait la guerre” da sempre, come il 70% del silicio mondiale e la tecnologia dei nanochips prodotti a “Taiwan”, così le “terre rare” del Donbass dove si estraggono i minerali preziosi indispensabili alle nuove tecnologie, anche militari. Resta la soluzione di forza che contempera la vittoria sul campo di uno dei contendenti o l’abbattimento del Tiranno, previsto anche dal Catechismo della Chiesa Cattolica, non dalla Chiesa Ortodossa.
Nell’attesa che maturino nuovi eventi o sviluppi di pace, condividendo la passione per la musica classica, rinnovo l’invito ad ascoltare Picture at an exhibition di Mussorsgsky, integrando con l’ascolto de “Il Crepuscolo degli dei” di Wagner, in particolare “La marcia funebre di Sigfrido”, concludendo con l’Ouverture del Guglielmo Tell di Rossini. L’ascolto al buio aiuta la riflessione. Buon Ascolto.