
Nei Paesi occidentali stiamo assistendo allo sdoganamento dell'uso dell'aggettivo "multipolare" per descrivere il nuovo assetto delle relazioni fra gli Stati, che si sta affermando. Il termine è entrato nell'uso delle dichiarazioni pubbliche delle cancellerie occidentali e nei commenti dei media più influenti, anche in Italia.
Questa apertura al riconoscimento di un nuovo ordine mondiale basato su una pluralità di centri, di sistemi economici, di reti di alleanze, che tutti insieme concorrono alle decisioni di rilevanza globale, appare densa di conseguenze per l'Occidente. Perché implica di valutare la necessità o meno di un cambio di strategia nei confronti del resto del mondo. Un cambio di strategia che finirebbe col produrre anche un cambio di gerarchie nel mondo occidentale. La vera posta in gioco riguarda l'emergere di un nuovo sistema economico e finanziario internazionale non più controllabile dalla finanza occidentale perché non più basato su un dollaro americano sganciato dall'oro.
Un ritorno in qualche modo a Bretton Woods dove però questa volta a fissare le regole potrebbero essere soggetti non occidentali. Il progetto di una moneta comune di riserva dei Paesi BRICS (che potrebbe chiamarsi "R5", dal nome della prima lettera del rublo russo, del renminbi cinese, della rupia indiana, del rand sudafricano e del real brasiliano, ed esser annunciato già al prossimo summit dei capi di stato e di governo dei cinque Paesi che si terrà a Johannesburg da 22 al 24 agosto prossimo) da usare per gli scambi commerciali fra stati BRICS e con Paesi esterni al Coordinamento, e basata sull'oro e/o su un paniere di materie prime, appare in grado di cambiare le regole del gioco a livello globale. E accelerare l'allestimento di sistemi di pagamento bancario indipendenti da quelli occidentali e di erogazione di crediti agli Stati emergenti nelle loro valute da parte della New Development Bank, la banca per lo sviluppo dei BRICS con sede a Shanghai.
Va rilevato come le azioni intraprese da Stati Uniti e Unione Europea per imporre sanzioni a vari Paesi in relazione a diverse questioni abbiano finito per rendere più spedito questo processo di messa in autonomia delle infrastrutture finanziare dal raggio di controllo dell'Occidente.
In aggiunta, vi sono una quarantina di Paesi – di Africa, Asia e America Latina – che hanno espresso la volontà di aderire al Coordinamento BRICS. L'ultima richiesta in ordine di tempo proviene dall'Etiopia, 120 milioni di abitanti. Già al prossimo vertice in Sudafrica potrebbe esser annunciata la modalità dell'allargamento, in due formati: “BRICS Plus” per i Paesi che intendono aderire e "BRICS Outreach” per i Paesi del Sud Globale interessati a una cooperazione rafforzata.
Sta insomma, emergendo un organismo politico internazionale che nella sua forma allargata sarà rappresentativo di più della metà della popolazione mondiale, dotato di un sistema finanziario basato sull'economia reale anziché su una illimitata emissione di prodotti finanziari con collaterali il più delle volte solo nominali, che imporrà degli standard universali di cui anche l'Occidente dovrà tenere conto.
Se, in parole povere, il denaro smette di generarsi dal denaro a vantaggio di pochi che controllano i meccanismi speculativi, tutto si rimette in gioco, nelle società e fra gli Stati. A contare saranno molto meno parametri economicisti, e molto più indicatori come la giovinezza dell'età media della popolazione, il tasso di crescita demografica, la presenza di materie prime e la capacità di lavorarle in loco, la solidità delle catene di approvvigionamento, la disponibilità di vecchie e nuove fonti d'energia.
Gli Stati, anche quelli di piccole e medie dimensioni e in via di sviluppo, potranno riappropriarsi delle leve delle loro economie e, ben lungi da ogni sirena sovranista, saranno incentivati a ricercare collaborazioni internazionali per migliorare la condizione di vita dei cittadini e rafforzarsi. Una volta riparati dal vortice senza fine del debito estero, che risucchia le loro risorse, i Paesi emergenti e in via di sviluppo (EMDCs), che sono la maggioranza dei Paesi membri dell'Onu, e che sono altro sia dai BRICS che dall'Occidente, potranno avviare forme di collaborazione con i vari blocchi economici, ma alle loro condizioni.
Aprirsi al multipolarismo per l'Occidente significa porsi in un modo molto diverso dall'attuale rispetto ai suddetti processi. Significa accettare di essere uno tra i vari attori che operano sulla scena globale, capace di una collaborazione competitiva con altri poli come la Cina, l'India, l'Africa, la Russia, il Global South.
Il principale banco di prova è l'Eurasia. Non è mai troppo tardi per prendere atto che la strategia di avanzamento delle posizioni occidentali per via militare in Asia, non ha conseguito i risultati attesi. Le non vittorie in Iraq e Afghanistan ce lo ricordano. Ma ce lo ricorda anche la vicenda ucraina. Parlare di multilaterarismo senza realizzare ciò che esso implica, può risultare illusorio e foriero di ulteriori errori. L'integrazione tra la parte europea e quella asiatica della nostra piattaforma continentale, che si estende fra i tre oceani, appare inarrestabile. Rappresenta un'area di libero scambio enorme, troppo grande pure per Cina e India. Anziché coltivare strategie anti-, occorre parteciparvi. C'è spazio anche per l'Occidente. L'Europa, e più ancora l'Italia, sono naturali ponti tra l'Occidente e l'Oriente.
Siamo giunti a una fase molto critica della guerra. Le élites che dirigono l'Occidente appaiono divise fra chi, anche tenendo conto dei risultati dell'offensiva ucraina per la riconquista dei territori invasi dai russi, non esclude l'avvio di consultazioni atte a fare cessare le ostilità in vista della ricerca di una soluzione diplomatica, e quanti, proprio per il momento di grave difficoltà, lavorano per una ulteriore escalation di una guerra che nessuna delle due parti può permettersi di perdere. Purtroppo a giudizio di alcuni influenti circoli transnazionali, il modo per bloccare l'integrazione euroasiatica e per non fare fino in fondo i conti col nascente mondo multipolare, sembra esser quello di procedere verso una guerra più grande. Ma il vento della storia, se Dio vuole, sembra andare in direzione opposta. La speranza è che questo cambiamento d'epoca, in sé incruento, possa avvenire senza alimentare ulteriori tragedie. E ciascuno, nel suo piccolo, ha la sua parte di responsabilità nel dare forma a questa speranza.
Questa apertura al riconoscimento di un nuovo ordine mondiale basato su una pluralità di centri, di sistemi economici, di reti di alleanze, che tutti insieme concorrono alle decisioni di rilevanza globale, appare densa di conseguenze per l'Occidente. Perché implica di valutare la necessità o meno di un cambio di strategia nei confronti del resto del mondo. Un cambio di strategia che finirebbe col produrre anche un cambio di gerarchie nel mondo occidentale. La vera posta in gioco riguarda l'emergere di un nuovo sistema economico e finanziario internazionale non più controllabile dalla finanza occidentale perché non più basato su un dollaro americano sganciato dall'oro.
Un ritorno in qualche modo a Bretton Woods dove però questa volta a fissare le regole potrebbero essere soggetti non occidentali. Il progetto di una moneta comune di riserva dei Paesi BRICS (che potrebbe chiamarsi "R5", dal nome della prima lettera del rublo russo, del renminbi cinese, della rupia indiana, del rand sudafricano e del real brasiliano, ed esser annunciato già al prossimo summit dei capi di stato e di governo dei cinque Paesi che si terrà a Johannesburg da 22 al 24 agosto prossimo) da usare per gli scambi commerciali fra stati BRICS e con Paesi esterni al Coordinamento, e basata sull'oro e/o su un paniere di materie prime, appare in grado di cambiare le regole del gioco a livello globale. E accelerare l'allestimento di sistemi di pagamento bancario indipendenti da quelli occidentali e di erogazione di crediti agli Stati emergenti nelle loro valute da parte della New Development Bank, la banca per lo sviluppo dei BRICS con sede a Shanghai.
Va rilevato come le azioni intraprese da Stati Uniti e Unione Europea per imporre sanzioni a vari Paesi in relazione a diverse questioni abbiano finito per rendere più spedito questo processo di messa in autonomia delle infrastrutture finanziare dal raggio di controllo dell'Occidente.
In aggiunta, vi sono una quarantina di Paesi – di Africa, Asia e America Latina – che hanno espresso la volontà di aderire al Coordinamento BRICS. L'ultima richiesta in ordine di tempo proviene dall'Etiopia, 120 milioni di abitanti. Già al prossimo vertice in Sudafrica potrebbe esser annunciata la modalità dell'allargamento, in due formati: “BRICS Plus” per i Paesi che intendono aderire e "BRICS Outreach” per i Paesi del Sud Globale interessati a una cooperazione rafforzata.
Sta insomma, emergendo un organismo politico internazionale che nella sua forma allargata sarà rappresentativo di più della metà della popolazione mondiale, dotato di un sistema finanziario basato sull'economia reale anziché su una illimitata emissione di prodotti finanziari con collaterali il più delle volte solo nominali, che imporrà degli standard universali di cui anche l'Occidente dovrà tenere conto.
Se, in parole povere, il denaro smette di generarsi dal denaro a vantaggio di pochi che controllano i meccanismi speculativi, tutto si rimette in gioco, nelle società e fra gli Stati. A contare saranno molto meno parametri economicisti, e molto più indicatori come la giovinezza dell'età media della popolazione, il tasso di crescita demografica, la presenza di materie prime e la capacità di lavorarle in loco, la solidità delle catene di approvvigionamento, la disponibilità di vecchie e nuove fonti d'energia.
Gli Stati, anche quelli di piccole e medie dimensioni e in via di sviluppo, potranno riappropriarsi delle leve delle loro economie e, ben lungi da ogni sirena sovranista, saranno incentivati a ricercare collaborazioni internazionali per migliorare la condizione di vita dei cittadini e rafforzarsi. Una volta riparati dal vortice senza fine del debito estero, che risucchia le loro risorse, i Paesi emergenti e in via di sviluppo (EMDCs), che sono la maggioranza dei Paesi membri dell'Onu, e che sono altro sia dai BRICS che dall'Occidente, potranno avviare forme di collaborazione con i vari blocchi economici, ma alle loro condizioni.
Aprirsi al multipolarismo per l'Occidente significa porsi in un modo molto diverso dall'attuale rispetto ai suddetti processi. Significa accettare di essere uno tra i vari attori che operano sulla scena globale, capace di una collaborazione competitiva con altri poli come la Cina, l'India, l'Africa, la Russia, il Global South.
Il principale banco di prova è l'Eurasia. Non è mai troppo tardi per prendere atto che la strategia di avanzamento delle posizioni occidentali per via militare in Asia, non ha conseguito i risultati attesi. Le non vittorie in Iraq e Afghanistan ce lo ricordano. Ma ce lo ricorda anche la vicenda ucraina. Parlare di multilaterarismo senza realizzare ciò che esso implica, può risultare illusorio e foriero di ulteriori errori. L'integrazione tra la parte europea e quella asiatica della nostra piattaforma continentale, che si estende fra i tre oceani, appare inarrestabile. Rappresenta un'area di libero scambio enorme, troppo grande pure per Cina e India. Anziché coltivare strategie anti-, occorre parteciparvi. C'è spazio anche per l'Occidente. L'Europa, e più ancora l'Italia, sono naturali ponti tra l'Occidente e l'Oriente.
Siamo giunti a una fase molto critica della guerra. Le élites che dirigono l'Occidente appaiono divise fra chi, anche tenendo conto dei risultati dell'offensiva ucraina per la riconquista dei territori invasi dai russi, non esclude l'avvio di consultazioni atte a fare cessare le ostilità in vista della ricerca di una soluzione diplomatica, e quanti, proprio per il momento di grave difficoltà, lavorano per una ulteriore escalation di una guerra che nessuna delle due parti può permettersi di perdere. Purtroppo a giudizio di alcuni influenti circoli transnazionali, il modo per bloccare l'integrazione euroasiatica e per non fare fino in fondo i conti col nascente mondo multipolare, sembra esser quello di procedere verso una guerra più grande. Ma il vento della storia, se Dio vuole, sembra andare in direzione opposta. La speranza è che questo cambiamento d'epoca, in sé incruento, possa avvenire senza alimentare ulteriori tragedie. E ciascuno, nel suo piccolo, ha la sua parte di responsabilità nel dare forma a questa speranza.
Alla base delle guerre, ci sono sempre varie cause che talora risalgono a molto tempo addietro, ma giustamente negli articoli di Giuseppe Davicino e di Stefano Zamagni, si coglie quello che oggi è il denominatore comune dei molti recenti conflitti, di quelli in corso (Ucraina compresa) e di quelli potenziali (nell’estremo oriente): la volontà americana di mantenere a tutti i costi un assetto unipolare per conservare lo status di Numero Uno fino ad oggi ricoperto. Tuttavia, gli equilibri planetari sono profondamente mutati, e questa linea non è solo irresponsabile ma estremamente pericolosa perché sempre più affidata all’impiego diretto o indiretto delle e armi, un terreno in cui gli Usa hanno ancora un significativo vantaggio. Inoltre, il gruppo dirigente statunitense si rende conto di non poter più conseguire tale obiettivo con i soli mezzi del paese, e sta cercando di trasformare la Nato da strumento militare limitato al teatro europeo in un organismo, non solamente militare ma politico, economico e tecnologico, da impiegare su scala planetaria a sostegno del proprio primato