Le dicotomie e i moderati



Andrea Griseri    14 Aprile 2023       1

È una notizia che ha messo a rumore il Paese un paio di settimane addietro e ora già è stata dimenticata, l’inceneritore mediatico lavora a pieno regime: ma il contrasto fra la preside fiorentina Savino e il ministro Valditara mi appare degno di commento perché paradigmatico e tale da aiutare la lettura se non la comprensione delle distorsioni che innervano la società e il dibattito politico.

Riassumiamo l’episodio: un gruppo di studenti di destra stava distribuendo un volantino di fronte a un liceo fiorentino, alcuni studenti di sinistra hanno cercato di impedirlo, gli studenti di destra hanno chiamato qualche amico muscoloso e manesco e gli studenti di sinistra più mingherlini hanno avuto la peggio. Un deplorevole episodio di violenza molto simile a quelli che accadevano quasi quotidianamente negli anni ’70. Il quale ha fatto parlare di sé un perché ravviva proprio l’atmosfera greve di quegli anni e perché le reazioni alla vicenda sono altamente emblematiche.

Se la nostra beneamata patria fosse quel Paese normale più volte vagheggiato a quale sceneggiatura avremmo assistito?

Innanzitutto individuiamo i soggetti protagonisti. Abbiamo: 1) un gruppo di studenti che hanno come riferimento un humus culturale conservatore e di destra e che pretendono di poter liberamente esprimere le proprie idee all’interno del liceo che frequentano 2) alcuni studenti del medesimo entourage che anziché affidarsi allo strumento dialettico mostrano una marcata propensione per la violenza, anziché pensare (giuste o sbagliate che siano le loro idee) preferiscono menare le mani 3) gli studenti di parte progressista 4) la preside del Liceo 5) il ministro dell’Istruzione.

Orbene in un Paese normale il soggetto 5 (il ministro) rifacendosi anche a quei principi di ordine che dovrebbero secondo la propria visione ideologica informare la statualità sarebbe in prima linea nel richiamare energicamente gli sventati fascistelli (soggetto 2) che apprezzano il gioco di mano, che come recita la saggezza popolare è sempre di villano. Il soggetto 4 (la preside) deplorerebbe gli atti di violenza precisando che sono sempre e comunque inaccettabili da qualsiasi parte provengano, aggiungendo che agli studenti di destra sarà riconosciuto il pieno diritto di esprimere dialetticamente le loro idee. Molti anni fa un guitto della politica che tuttavia aveva ben chiari in mente i principi della liberaldemocrazia non temeva gli sputi in faccia dei “compagni” quando affermava il diritto dei fascisti a parlare nelle assemblee e osservava che, risucchiati nel vortice della normale dialettica politica volenti o nolenti i “fasci”sarebbero diventati un po’ meno maneschi e dunque un po’ meno fascisti. Un paradosso, certo, ma la vita ne è intessuta, come è paradossale che uno sturziano quale il sottoscritto arrivi oggi a rimpiangere le sulfuree provocazioni del vecchio Pannella. E il soggetto 5 (il ministro)? Avrebbe rivolto un pubblico elogio alla Preside ribadendo il ruolo della scuola come maestra di vita, di sapere e di confronto associandosi alla condanna senza se e senza ma di ogni genere di violenza.

Purtroppo non siamo un Paese normale.

La Preside non ha resistito alla tentazione di aggiungere nel suo scritto in cui deplora gli atti di violenza commessi dai fascistelli, un riferimento polemico a chi decanta i valori delle frontiere. Qui il ministro Valditara, credo, deve avere fatto un salto sulla poltrona. E già, perché il professore torinese è autore di un pregevole saggio uscito nel 2018 dal titolo “Sovranismo una speranza per la democrazia”. Un testo denso di riferimenti storici oltre che di argomentazioni giuridiche stringenti (l’autore insegna Diritto privato romano) in cui si mette a tema il rischio che corre la democrazia in un mondo dominato da forti tensioni globaliste: solo all’interno di un campo spaziale e temporale definito sarebbe possibile esercitare con efficacia la rappresentanza democratica dei cittadini.

Ho riassunto con colpevole e grossolana sinteticità il contenuto del saggio che affronta una questione di vastissima portata cruciale nel dibattito politico contemporaneo in Occidente e non può ridursi a semplificazioni schematiche. Proprio quest’aspetto penso abbia determinato la reazione del Ministro. Ma ecco l’errore di comunicazione e di governance che ha commesso e non dovrebbe trovare spazio in un Paese normale: anziché richiamare disciplinarmente, con rude tratto autoritario, la dirigente scolastica avrebbe potuto promuovere l’apertura di un dibattito su tale fondamentale questione che è estremamente sfumata e per nulla scontata. Avrebbe contribuito a elevare il livello del confronto politico e invitato implicitamente gli studenti, di qualsiasi orientamento, al pensiero e all’approfondimento (facendo di sguincio pubblicità al suo libro!).

Invece a quella certa rigidità progressista su questa (come su altre del resto) questione ha opposto un atteggiamento coriaceo uguale e contrario.

Intendiamoci il pensiero politico ha sempre strutturato la lettura dei sistemi giuridici, delle istituzioni economiche, della società sulla base di schemi dicotomici. Sono celebri le famose dicotomie di Bobbio: destra/sinistra, uguaglianza/diseguaglianza, pubblico/privato. Ma sarebbe profondamente errato concludere che le dicotomie alludano a modelli che si escludono l’un l’altro o che siano portatrici di valenze radicalmente alternative nell’interpretazione della realtà. Esse svolgono una funzione euristica, aiutano cioè l’osservatore a sviluppare un’analisi ordinata della realtà, che è sempre più complessa rispetto a quanto un approccio semplicistico e manicheo vorrebbe far credere.

Oggi è in atto un processo sottile e insidioso: la radicalità che s’impone e viene imposta alle persone equilibrate e moderate. Come dobbiamo intendere il termine moderazione? Innanzitutto la moderazione esclude l’adesione a qualsiasi deviazione estremista. La moderazione è per sua natura centrista. Ma che cosa dobbiamo intendere per centrismo? Quali le caratteristiche salienti del “centrismo moderato”? Eviterei di richiamarmi alle distinzioni che ricalcano le geografie parlamentari. Vorrei piuttosto alludere a un atteggiamento intellettuale e anche a una sorta di stato mentale. Il moderato sa che in questo mondo imperfetto non vi è nulla di definitivo e certo. S’ispira eticamente a un preciso criterio valoriale ma non nutre grandi sicurezze circa il modo con cui i valori si declinano e s’incarnano nelle realtà umane. Il moderato è persona circospetta, sospettosa addirittura; conosce l’ambiguità della storia, tiene alta la guardia contro l’eterogenesi dei fini. Se il centrista moderato si definisse soltanto in termini, come dicevo, di suddivisioni parlamentari si ridurrebbe a essere un uomo alla perenne ricerca del compromesso, una specie di negoziatore compulsivo. Molti moderati, intendiamoci, corrispondono proprio a un simile normotipo. Ma si tratta di una forma banale, triviale di moderatismo. Quello che ci interessa è il centrismo moderato inteso come approccio metodologico: la realtà non è sempre così come ci appare, tutto è dominato dalla complessità, occorre rileggere con occhio disincantato sia la storia del passato sia quella recente ed essere aperti all’ascolto. Senza tradire mai i propri principi ma sapendo che è presunzione intellettuale trinciare giudizi definitivi.

Il “moderato metodologico” in un certo senso ha un approccio alle cose della società e della politica di tipo scientifico-popperiano. Ogni affermazione che oggi ci appare veritiera potrebbe essere corretta o falsificata nel futuro. Sa che la rappresentazione della realtà non si può accontentare di un solo fotogramma scattato frettolosamente; esiste una gerarchia di valori immutabile ma come e dove s’incarnino e si cristallizzino nella storia non è mai completamente certo, il reale può riservare sorprese: è difficile che il fotogramma di oggi sia smentito radicalmente da quello di domani (può accadere semmai in ambito giudiziario, pensiamo a quei processi penali di appello che rovesciano le sentenze di primo grado sulla base di nuove prove e testimonianze) ma le rappresentazioni future possono evidenziare variazioni anche significative rispetto alle prime.

Per il “moderato metodologico” la realtà profonda delle cose non corrisponde necessariamente a ciò che i sensi percepiscono superficialmente. Il fisico Rovelli ha scritto un bel libro divulgativo che si intitola La realtà non è come ci appare in cui cerca di spiegare gli arcani della relatività generale e della meccanica quantistica a noi profani (noi umanisti, giuristi, economisti, portalettere, pescivendoli etc. etc.). Sarebbe ingenuo stabilire un parallelismo puntuale fra la scienza fisica e le discipline sociopolitiche ma anche l’oggetto dello studio di queste ultime sfugge al rigido rassicurante determinismo e vive di situazioni mutevoli e imprevedibili come appunto accade nelle misteriose regioni quantiche. Il “moderato metodologico” è l’esatto contrario del fanatico – non processerà mai brutalmente chi pensa diversamente da lui anche perché nelle pieghe delle opinioni avverse potrebbe rinvenire qualche traccia di verità che lo aiuta a non smarrire il cammino – ma anche del relativista poiché ha piena contezza dei sistemi valoriali e sa che attraverso un faticoso cammino, fatto appunto anche di “ascolto” nei riguardi di chi ha idee diverse dalle sue, può avvicinarsi alla verità e i fotogrammi più recenti saranno via via sempre meno sfocati. Anche agli occhi dei fisici la realtà non è fluida, indefinibile, suddivisibile all’infinito ma finita (i quanti nell’universo sono tantissimi ma il loro numero è finito) e vi sono equazioni che descrivono le interazioni fra le particelle (da cui tutti siamo fatti, anche se non le vediamo) suscettibili tuttavia di essere migliorate o superate da nuovi calcoli e dalle evidenze sperimentali.

Apertura al futuro senza pregiudizi, l’esatto opposto di un atteggiamento conservatore gravato da mille pregiudizi: il vero spirito innovativo per il “moderato metodologico” non deriva dalle cesure traumatiche che illudono e creano spaesamento ma riposa sulla tradizione intesa etimologicamente come principio conservativo/dinamico e trasformativo; è il modello evangelico a ben vedere: Gesù non dichiara di voler abolire la Legge ma non considera la tradizione ricevuta dal suo ambiente socioculturale un feticcio immutabile da adorare come un nuovo vitello d’oro ma piuttosto una sorta di progetto dinamico cui dare compimento, attraverso l’ascolto e attraverso la valorizzazione dei soggetti marginali e dei lontani (le donne, il centurione…).

Il nostro moderato in fondo conserva nella sua interiorità una certa dose di scetticismo nei confronti delle cose di questo mondo, si rende conto che nessuna forma perfetta, nessun assoluto lo potrà mai inabitare; l’assoluto semmai è rimandato a una dimensione totalmente altra e inattingibile con i nostri poveri strumenti umani: un’alterità totale che è il necessario corollario di quel cauto pessimismo antropologico del moderato, e può ridursi a mera ipotesi concettuale o tradursi in esplicita adesione religiosa qualora Dio gli abbia fatto dono della fede.

Ma dove si trovano i moderati? Sarà il tema del seguito di questo articolo.


1 Commento

  1. Dal Corriere Fiorentino del 19 febbraio 2023:
    “Due ragazzi sono andati a scuola trovando pero’ un paio di giovani che stavano effettuando un volantinaggio di fronte al Michelangiolo (il liceo fiorentino ove si sono svolti i fatti sintetizzati dall’articolo)…I due studenti sarebbero andati verso di loro con un cestino. A quel punto gli studenti di Azione Studentesca li avrebbero spinti e poco dopo sarebbero intervenuti gli altri quattro (!) che avrebbero iniziato a menare le mani”.
    Se la fonte e’ corretta, la descrizione del soggetto 2) non hanno “mostrato una marcata propensione per la violenza”, a meno che porgere un cestino non sia equiparabile alle botte di almeno quattro personaggi contro due. L’ironia non e’ equiparabile allo squadrismo.

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