Ulteriormente acuita dagli effetti della pandemia da COVID-19, la costante crescita del numero di persone e famiglie immigrate in condizione di povertà assoluta – circa 1/3 del totale della popolazione povera residente in Italia – impone una riflessione collettiva sulla congruità delle politiche per l’immigrazione attuate dal nostro Paese e, in particolare, di quelle finalizzate all’integrazione lavorativa, precondizione fondamentale per la sostenibilità dei flussi migratori.
Dal confronto tra le statistiche su povertà e inclusione sociale e quelle relative alla partecipazione degli stranieri al mercato del lavoro italiano (non ultime, quelle contenute nel Rapporto annuale curato dalla Direzione Generale dell’Immigrazione e delle Politiche di Integrazione del Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali), emerge infatti un chiaro paradosso: mentre i redditi delle famiglie immigrate soffrono, cresce la richiesta di molti comparti produttivi e dei servizi di aumentare i flussi di ingresso, anche a fronte della difficoltà di trovare manodopera disponibile all’interno del mercato del lavoro locale. Non casualmente, del resto, la domanda di rivolta agli stranieri è sì forte ma tendenzialmente più elevata nei lavori manuali, esecutivi e/o associati a componenti di disagio professionale in termini di orari e retribuzioni, tanto che, in buona sostanza, i due terzi degli occupati stranieri percepisce salari inferiori alla no tax area.
Tutti elementi che, secondo Natale Forlani – estensore dell’Osservatorio, realizzato con la collaborazione del Prof. Alberto Brambilla – portano alla necessità di un approccio nuovo al fenomeno dell’immigrazione, andando oltre la mera necessità di importare manodopera. Se è infatti vero che fattori di varia natura hanno favorito negli anni soprattutto un’immigrazione “qualitativamente povera”, a bassa qualificazione e con bassi salari, con inevitabili ripercussioni non solo sull’anatomia e sulle dinamiche del mercato del lavoro italiano, ma anche sulle condizioni di vita delle stesse famiglie immigrate, lo è altrettanto che, dati su NEET e popolazione in età da lavoro nel nostro Paese, quest’approccio è ormai da ritenersi economicamente e socialmente insostenibile, oltre che non necessario.
Di qui, l’importanza di ripensare il dibattitto sull’immigrazione al netto di posizioni ideologiche, anzi semmai guardando concretamente ai numeri. Numeri che suggeriscono la necessità di una programmazione pluriennale dei nuovi ingressi che, vada di pari passo, sia con un miglioramento dei nostri percorsi di integrazione sia di un generale rafforzamento dell’attrattività del mercato del lavoro italiano (con investimenti in formazione, competenze delle risorse umane, produttività e sviluppo) in un contesto di crescita internazionale.
Per leggere il documento dell’Osservatorio sull’immigrazione 2023 "L’impoverimento delle famiglie immigrate segna la chiusura di un ciclo”, CLICCA QUI
(Tratto da www.itinerariprevidenziali.it)
Dal confronto tra le statistiche su povertà e inclusione sociale e quelle relative alla partecipazione degli stranieri al mercato del lavoro italiano (non ultime, quelle contenute nel Rapporto annuale curato dalla Direzione Generale dell’Immigrazione e delle Politiche di Integrazione del Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali), emerge infatti un chiaro paradosso: mentre i redditi delle famiglie immigrate soffrono, cresce la richiesta di molti comparti produttivi e dei servizi di aumentare i flussi di ingresso, anche a fronte della difficoltà di trovare manodopera disponibile all’interno del mercato del lavoro locale. Non casualmente, del resto, la domanda di rivolta agli stranieri è sì forte ma tendenzialmente più elevata nei lavori manuali, esecutivi e/o associati a componenti di disagio professionale in termini di orari e retribuzioni, tanto che, in buona sostanza, i due terzi degli occupati stranieri percepisce salari inferiori alla no tax area.
Tutti elementi che, secondo Natale Forlani – estensore dell’Osservatorio, realizzato con la collaborazione del Prof. Alberto Brambilla – portano alla necessità di un approccio nuovo al fenomeno dell’immigrazione, andando oltre la mera necessità di importare manodopera. Se è infatti vero che fattori di varia natura hanno favorito negli anni soprattutto un’immigrazione “qualitativamente povera”, a bassa qualificazione e con bassi salari, con inevitabili ripercussioni non solo sull’anatomia e sulle dinamiche del mercato del lavoro italiano, ma anche sulle condizioni di vita delle stesse famiglie immigrate, lo è altrettanto che, dati su NEET e popolazione in età da lavoro nel nostro Paese, quest’approccio è ormai da ritenersi economicamente e socialmente insostenibile, oltre che non necessario.
Di qui, l’importanza di ripensare il dibattitto sull’immigrazione al netto di posizioni ideologiche, anzi semmai guardando concretamente ai numeri. Numeri che suggeriscono la necessità di una programmazione pluriennale dei nuovi ingressi che, vada di pari passo, sia con un miglioramento dei nostri percorsi di integrazione sia di un generale rafforzamento dell’attrattività del mercato del lavoro italiano (con investimenti in formazione, competenze delle risorse umane, produttività e sviluppo) in un contesto di crescita internazionale.
Per leggere il documento dell’Osservatorio sull’immigrazione 2023 "L’impoverimento delle famiglie immigrate segna la chiusura di un ciclo”, CLICCA QUI
(Tratto da www.itinerariprevidenziali.it)
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