Ucraina, il grande successo di Washington



Giuseppe Ladetto    3 Febbraio 2023       11

Solo un anno fa, l’America sembrava perdere colpi ed essere in ritirata su vari fronti: Trump voleva mettere da parte la NATO; Biden aveva abbandonato l’Afghanistan quasi fuggendo; nel Medio Oriente prevaleva il disimpegno. In Europa, ci si chiedeva se non fosse opportuno cercare percorsi autonomi almeno in alcuni settori; Macron esortava a prendere le distanze dalla politica americana riguardo alla Russia, al Vicino Oriente e all’Africa; perfino Mattarella e Von der Layen ritenevano che fosse venuto il momento di dare alla UE una dimensione politica e una autonoma capacità di difesa all’altezza delle sue potenzialità.

Oggi, quel tempo pare lontano anni luce. L’America ha ripreso saldamente nella proprie mani il controllo degli eventi internazionali riproponendosi come l’indiscusso Numero Uno.

Gli osservatori si erano sbagliati? Non tutti, perché Dario Fabbri non aveva condiviso tale rappresentazione del declino statunitense, facendo presente che gli apparati securitari (quelli che negli USA contano) erano determinati ad intervenire con decisione là dove il primato poteva essere messo in pericolo, stante la forza militare del Paese (con il 40% della spesa militare mondiale, il 70% insieme agli gli alleati).

Con la guerra in Ucraina, il quadro internazionale è profondamente cambiato. La NATO si apre (Turchia permettendo) alla Svezia e alla Finlandia; si è dissolta la prospettiva di una UE dotata di una dimensione politica e di una autonoma capacità di difesa che ne riflettessero le potenzialità; sono stati rotti i forti legami economici tra la Germania e la Russia, mettendo Berlino in gravi difficoltà economiche essendo costretta ad acquisire il gas ad alti costi su altri mercati; si sta ridimensionando quel patto franco-tedesco detestato dagli americani; e soprattutto la Russia, isolata ed indebolita, corre il rischio di crollare militarmente, o comunque di uscire dalla guerra ridimensionata come potenza.

Si tratta di un grande successo conseguito da Washington, non certo raggiunto per caso, né solo frutto di un passo falso di Putin (l’attacco all’Ucraina del febbraio 2022). È ingenuo crederlo, avendo l’America, in tale modo, raggiunto un obiettivo da tempo perseguito dai vertici del Paese, puntando proprio sull’Ucraina come varco per colpire la Russia (il vecchio, ma sempre attuale progetto di Brzezinski) e nel contempo ridefinire gli equilibri in Europa.

La guerra in Ucraina è infatti un episodio del permanente confronto fra Stati Uniti e Russia, solo momentaneamente abbandonato da Washington ad inizio degli anni Novanta (con Bush padre presidente). Un confronto ben presto ripreso, sotto la presidenza di Clinton, con una Russia governata da un Eltsin non certo ostile nei confronti dell’Occidente, ma comunque ritenuta una competitrice sul terreno geopolitico.

Seguono, in misura crescente, passi in tale direzione: il continuo spostarsi ad est della frontiera della NATO; il posizionamento in Polonia del sistema di missili antimissili (per le guerre stellari) col pretesto di difendere l’Europa dai missili nord coreani ed iraniani; le “rivoluzioni colorate” (in realtà colpi di Stato organizzati da una opposizione violenta, largamente sostenuta e foraggiata dai servizi occidentali) contro governi eletti regolarmente (come attestato dall’OSCE), prima in Georgia, e poi in Ucraina (di qui viene l’occupazione da parte di Mosca della Crimea per evitare di essere estromessa dal mar Nero); il sostegno a Kiev negli otto anni di interventi militari nei territori russofoni dell’Ucraina per soffocarne la richiesta di autonomia; ultimamente il rifiuto di Washington di negoziare una rinnovata architettura di sicurezza, come richiesto da Mosca, un rifiuto giunto dopo l’accantonamento degli accordi di Minsk e l’incoraggiamento ai propositi di Zelensky di riprendersi la Crimea.

Tale pressione occidentale si è così portata ad un livello ritenuto insostenibile da Mosca, spingendo il Cremlino ad un passo oggettivamente poco meditato perché le “guerre preventive” (se non è Israele ad intraprenderle) mettono sempre e giustamente chi le avvia dalla parte del torto presso l’opinione pubblica internazionale.

Quali potranno essere gli sviluppi di questa situazione? Ha ragione Giuseppe Davicino (vedi Multipolarismo, il nome della pace nel XXI secolo) quando afferma che le decisioni su fino a che punto si spingerà lo scontro con la Russia, o sul momento del cessate il fuoco, non appartengono allo Stato italiano (né ad altro Stato europeo) bensì a quei poteri che detengono la sovranità in Occidente (o per meglio dire, agli Stati Uniti).

Allo stato attuale delle cose, non è chiaro che cosa vogliano fare coloro che stanno al vertice della grande potenza nordatlantica. C’è chi intende spingere il conflitto fino al collasso ed alla disgregazione della Federazione russa per dedicarsi successivamente al confronto con la Cina. Altri, paghi del risultato già raggiunto di aver eretto una invalicabile barriera tra Europa e Russia spezzandone ogni legame economico, sono disposti ad una tregua temendo le imprevedibili conseguenza del disfacimento dello storico nemico. Infine (ma credo si tratti di una minoranza, al momento estranea ai centri del potere) qualcuno è disposto a fare i conti con l’ipotesi di un mondo multipolare valutandone i pro e i contro. In quest’ultima prospettiva, si è aperta la discussione sul friend-shoring, ovvero la creazione di una mini-globalizzazione riservata agli “amici” (come scrive Federico Rampini), ovvero ai Paesi che condividono i valori degli Stati Uniti. È un’ipotesi a sostegno della quale prevalgono le considerazioni di ordine economico sulle esigenze di ordine geopolitico, quando storicamente sono sempre queste ultime ad essere vincenti.

Le decisioni (del 20 gennaio) prese a Ramstein e le successive sull’invio dei carri armati tedeschi Leopard e dei corrispettivi americani Abrams inducono a pensare che l’opzione in corso sia quella di portare a fondo la guerra fino a piegare la Russia. Spingendosi fin dove? Respingere le sue forze militari fino ai confini dell’Ucraina precedenti al 2014 (come sicuramente auspica Zelensky, insieme a britannici, polacchi, baltici e scandinavi), oppure limitare l’obiettivo alla riconquista dei territori ucraini occupati dai russi dopo il febbraio 2022 (come sembrano pensare i francesi, i tedeschi e parte dei vertici americani)? Non è ancora chiaro, e forse lo stesso Biden al momento non ha ancora fatto una scelta.

La sola cosa certa è la pericolosa sottovalutazione dei possibili sviluppi della guerra con un confronto diretto tra NATO e Russia ed il ricorso alle armi nucleari. È irresponsabile dare per scontato che ciò non accada confidando sulla debolezza militare russa. Ma proprio per l’enorme divario con la NATO sul terreno degli armamenti convenzionali, una Russia portata allo stremo potrebbe ricorrere alle armi nucleari tattiche in cui mantiene ancora un qualche equilibrio con gli Stati Uniti. I successivi sviluppi sarebbero devastanti per tutti.

Bisogna uscire dall’ipocrisia. Dire che la pace si conseguirà solo con la vittoria ucraina non significa ricercare la pace. Questa può venire solo da un compromesso in cui tutte le parti facciano un passo indietro. Lo dice continuamente il Pontefice, ma nessuno lo ascolta.

La ricerca della pace è possibile solo se si riporta la questione alla realtà regionale, di certo complicata (per ragioni storiche, per la complessa composizione etnico-linguistica del territorio e per il vento nazionalista che soffia sull’intera Europa orientale e balcanica), ma non al punto di non poter essere razionalmente affrontata. A tal fine, occorre accantonare le logiche alla base del perenne confronto fra Stati Uniti e Russia.

Sarebbe poi il caso di mettere da parte la denuncia delle violazione russa del diritto internazionale, a cui si ricorre per giustificare il rifiuto di ogni compromesso, quando, dal secondo dopoguerra ad oggi, abbiamo assistito a molteplici analoghe violazioni attuate da Paesi occidentali o da loro amici senza che nessuno trovasse a ridire.

In questo scenario, è sconfortante vedere l’assenza di ogni iniziativa europea, o quanto meno di quegli Stati che pretendono di avere ancora un qualche status di potenza. Un fatto tanto più grave perché è proprio l’Europa l’obiettivo della guerra.

È poco credibile la diffusa rappresentazione di una Russia intenzionata a ricreare l’Unione Sovietica, o peggio, a invadere i paesi ex satelliti dell’URSS. Infatti, (come scrive Lucio Caracciolo), da anni è sulla difensiva. Per l’enorme divario di spesa militare con l’Occidente (1/12 di quella USA e 1/5 di quella del complesso dei Paesi europei della NATO), non è in grado di intraprendere e sostenere alcuna iniziativa militare di ampio raggio.

Invece, sono evidenti gli obiettivi di Washington: spingere sempre più a est la Russia indebolendone la già declinante potenza, e legare più strettamente i Paesi europei al proprio carro senza lasciare ad essi alcun margine di autonomia strategica (“mantenere l’Occidente unito”, recitano i media). È già in discussione il prossimo allargamento dei compiti della NATO: da strumento di difesa in ambito europeo a supporto della lotta che l’America conduce su scala planetaria per tenere in vita un mondo unipolare di cui continuare ad essere il Numero Uno.

È infatti sempre più manifesto che la prospettiva unitaria europea, già da tempo problematica, esca distrutta da questa guerra.

I Paesi dell’Est imbevuti di un vetero-nazionalismo, con rinate ambizioni di potenza e desiderosi di rivalse, non trovano più freni in questi loro atteggiamenti in cui vengono strumentalmente incoraggiati anche da chi, in Occidente, ha sempre, a parole, condannato il nazionalismo. Sono Paesi che in questi anni hanno scelto la NATO, non certo l’Europa, e che ormai si possono considerare persi ai fini di ogni seria prospettiva unitaria (necessariamente fondata su una autonoma capacità di difesa, strumento indispensabile a sostegno di una dimensione politica europea).

Altri Paesi, come il nostro, pur dichiarandosi continuamente europeisti, al momento, anche volendolo, non possono interferire con le decisioni americane in ogni ambito, Europa compresa. Oggi, tuttavia, il governo Meloni non sembra soffrirne, preferendo i buoni rapporti con Washington rispetto a quelli con le principali capitali europee.

Restano la Francia e la Germania, nazioni che per peso demografico, economico e politico, per storia e cultura, pur dovendosi oggi uniformare alle direttive di Washington, sembrano restie a ridursi a semplici componenti periferiche di un McMondo di impronta anglosassone.

Vale pertanto la pena di tentare di capire quali intenzioni abbiano questi due Paesi, e in quali limiti possano muoversi, ma il tema richiede spazio e lo rimando ad altro articolo.


11 Commenti

  1. Forse è anche utile ricordare che 2 settimane dopo l’invasione della Russia all’Ucraina gli USA hanno offerto al Presidente invaso di portarlo con la famiglia in Occidente con l’immediata fine del conflitto e lui non ha accettato Questo dovrebbe bastare a ricordare che forse non è scontato che gli Stati Uniti volevano 12 mesi fa approfittare di quel conflitto per ridimensionare la Russia.

  2. Le questioni geopolitiche necessitano di appropriate competenze per essere affrontate, tuttavia ritengo che anche qualche “popolare in libertà” possa apportare riflessioni genuine.
    Penso che gli USA non abbiano mai dismesso il protagonismo nella politica internazionale, lo abbiano solo silenziato, causa la statura politica dei personaggi che li hanno governati negli ultimi anni. Statura politica che non è variata passando dagli astanti di un anno fa a quelli attuali con qualche eccezione, ad esempio Mattarella e Draghi capaci di esercitare, in questo vuoto, una guida politica riconosciuta e seguita a livello internazionale (si pensi solo alla icona del treno verso l’Ucraina con Draghi, Macron e Scholz).
    Certo è che gli Stati Uniti d’Europa preconizzati da Sturzo prima e l’Europa federale prefigurata dal Manifesto di Ventotene poi, non hanno trovato facile approdo dopo il primo periodo governato da De Gasperi, Schuman e Adenauer che istruirono la CED senza vederla realizzata. Seguì la CECA, la UE e infine la Moneta Unica. Di Unione Politica neanche a parlarne. Tralascio l’asse Franco-Tedesco e l’egemonia del nord Europa imperniata sulla Germania perché non oggetto di questa riflessione. Senza Europa politica il protagonismo statunitense non ha alternative.
    Posto che la guerra in Ucraina, perpetrata da Putin e dalla sua nutrita masnada di cortigiani, ai danni del martoriato popolo Ucraino, come non smette di ricordare papa Francesco, ha scompaginato gli asset rappresentativi della politica internazionale. Vale la pena aggiungere qualche nota riflessiva.
    L’ordine mondiale tra la fine della seconda guerra mondiale e l’inizio della terza in Ucraina per mano dell’aggressore russo è stato governato dai Patti di Yalta, stipulati dai vincitori Roosevelt (che successe a Truman), Churchill e Stalin. In senso politico. In chiave economica i Patti di Bretton Woods regolarono l’economia e la finanza del mondo occidentale fino al 1971, di questo approfondiremo a suo tempo, confrontandosi con il socialismo reale perseguito dal mondo sovietico allargato ai satelliti.
    La fine del “secolo breve” arrivò imprevista e tumultuosa, non per volontà dei soliti strateghi, più o meno segreti, bensì per volontà popolare, circostanza che delinea un parallelismo interessante con l’attualità.
    Il 1989 segnò la fine dell’Impero Sovietico e soprattutto la sepoltura del marxismo economico. La russia alla fine del percorso accompagnato da Gorbaciov prima e Eltsin poi fu alla mercè dell’occidente. In quel momento il Capitalismo Anglosassone era vincente(non in senso assoluto), non servivano ulteriori prove di forza. Se errore fu, fu compiuto in quel momento, quando gli USA vollero, deliberatemente o involontariamente ai posteri l’ardua sentenza, stravincere. Il socialismo reale era battuto, la Russia, risultante dallo smembramento dell’Unione Sovietica, si era scoperta povera e inerme di fronte alla globalizzazione che muoveva i primi passi, le neo repubbliche ex sovietiche correvano verso l’occidente. Forse era necessaria una riflessione che “approfittasse” di quella situazione, non per dare il colpo di grazia al nemico ma per offrire un aiuto ad un potenziale “amico”, prendendo due piccioni con una fava: isolare la cina e irrobustire l’ordine mondiale uscito da Yalta. Invece dall’urna dei bussolotti uscì Putin che iniziò a perseguire la ricostruzione dell’ex Impero Sovietico. Basta rileggersi i suoi discorsi pubblici sul nuovo Ordine Mondiale che nessuno ascoltava.
    Sono diversi i fattori che influenzano continuamente l’Ordine Mondiale, in un turbinio di rivolgimenti dettati alternativamente da boom e crisi demografica, sviluppo degli armamenti, crisi delle democrazie, esodi migratori, nuovi diritti civili (e antichi doveri dimenticati…), tuttavia opino che l’attuale scontro tra le civiltà sia rimasto in sordina nel dibattito contemporaneo, ancorchè protagonista dei quasi 40 conflitti attivi nel mondo.
    Sin dal 1993 i più accreditati centri studi di Foreign Affairs americani affrontano lo scontro tra le civiltà in fieri. Tra i più accreditati studiosi Samuel Pearson Huntington propose la tesi dello scontro tra le civiltà, presa in seria considerazione, a fasi alterne, dai politici mondiali. Tesi che raggiunse lo zenith dopo l’attacco alle Torri Gemelle, salvo mettere la sordina dopo la eliminazione di Bin Laden. Approfondendo gli studi di quel periodo si scopre che i teatri di sommovimenti politici e militari attenzionati riguardavano le più note aree di crisi, ivi compresa l’Ucraina. Dal che si evince quanto fosse riduttivo sintetizzare lo scontro tra occidente e Islam. Pensiamo solo alla “Primavera araba”, all’Intifada, alle ambizioni neo Persiane dell’Iran, al Medio Oriente, ai conflitti tribali africani che nascondono le razzie dei “Grandi”, Cina in testa, alle mai sopite diatribe slave e via discorrendo.
    La scomposizione delle dotte dottrine politiche e militari imperanti è stata operata dal popolo ucraino (volontà popolare ecco il parallelismo), rifiutando la facile annessione immaginata da Putin e obbligando il proprio Presidente ad assumere il ruolo di Comandante con mandato a vincere. Di qui l’ineluttabile sostegno occidentale, un presidente in esilio si può dimenticare, un popolo fiero combattente sino alla morte no. La conclusione della guerra, aldilà delle parole e dei pensieri che lasciano il tempo che trovano, può avvenire solo abbattendo il Tiranno.
    Amara conclusione ma inevitabile.
    Dopo si potrà immaginare una riflessione corale che approfondisca lo scontro tra le civiltà, i già citati fattori di destabilizzazione dell’Ordine Mondiale, una globalizzazione a misura di persona. Ricordando che solo un misurato governo delle “società del benessere” condiviso in una nuova Yalta ed in una nuova Bretton Woods, stavolta non solo per il mondo occidentale, può portare a una stabile Pace frutto di un nuovo Ordine Mondiale, naturalmente secondo il mio modesto pensiero.
    Maurizio Trinchitella
    Socio Fondatore Associazione i Popolari del Piemonte nello Studio Tavolaccini a Biella

  3. Definirei lo scritto una analisi perfetta. E ne ringrazio il Prof. Ladetto. Purtroppo, senza cancellare l’orrore e la grave decisione del Governo Russo e di chi lo sostiene, emergono le furbizie e gli errori anche da parte occidentale negli anni dopo l’89. E purtroppo si evidenzia come l’Italia, come l’Europa inattuata, siano una democrazia ancora limitata, non pienamente autonoma; e soprattutto emerge la necessità di procedere rapidamente alla costruzione della Comunità Europea Federale con gli Stati che si riconoscono nei valori democratici, della solidarietà, delle autonomie, della pace (basata sulla cooperazione internazionale e sul disarmo) e della partecipazione. Temo che con un Governo come l’attuale l’Italia non rientri perfettamente nei parametri.

  4. Mi associo alla gratitudine nei confronti di Ladetto per questo sintetico inimitabile bignami sulla guerra in Ucraina. Quante sciocchezze superficiali abbiamo purtroppo ascoltato nel corso di questo lungo anno di guerra! Per esempio si levano le mani inorridite perché “la guerra è ritornata in Europa” per colpa naturalmente dei barbari russi. E nei balcani un paio di decenni fa che cosa è mai successo? Il diritto internazionale: gli internazionalisti, penso per esempio alle razionali e taglienti argomentazioni dell’amico Edoardo Greppi uno dei più prestigiosi studiosi di cose giuridiche transnazionali, fanno il loro mestiere; non vi è dubbio che il 24 febbraio siano stati violati i confini di uno stato sovrano (ancorché sorto in tempi recenti sulle macerie dell’impero sovietico). Ma è il diritto l’unico elemento ermeneutico per decodificare le cause del conflitto, le spinte endogene ed esogene, le premesse storiche (anche molto lontane), la sua natura culturale e psicologica? Gli zar aiutarono nel XVII secolo i liberi cosacchi contro la nobiltà polacca (cattolica; la linea di faglia aveva risvolti anche religiosi) che li opprimeva e in cambio i cosacchi si impegnarono (ricevevano sovvenzioni da Mosca, lo “stipendio dello zar”) a controllare i confini meridionali dell’Impero dove premevano gli ottomani e sciamavano i tatari ma mai fecero atto di sottomissione piena, fieri della loro libertà. Il nazionalismo ucraino ha radici più recenti, ottocentesche come tutti i nazionalismi e fu alimentato dagli Imperi centrali e dalla Polonia stessa in funzione antirussa ma il senso di indipendnenza molti ucraini lo sentono nel sangue. D’altra parte la “Rus” di Kiev è percepita come la culla della civiltà russa, non importa quanto mitizzata. Ricostruire pazientemente la storia permette di comprendere le fratture profonde che provocano i sussulti tellurici in superficie.e soprattutto le possibili soluzioni. E’ un conflitto assolutamente regionale trasmutato in un evento globale per opportunismo geopolitico; gli USA si muovono scientemente come i classici elefanti nella cristalleria desiderosi, anche, di frammentare un equilibrio eurasiatico che costituisce una sfida al modello di dominio unipolare che è sì in crisi ma ancora lontano dalla sua fine. Anche il concetto di Occidente appare un’ipostasi piuttosto forzata. Che cosa è “occidente”? Una sorta di fortezza circondata da mura impenetrabili impegnata in un costante e fatale scontro (il nucleo centrale delle tesi di Huntington volendo semplificare) con le altre civiltà o un’area articolata di valori e conoscenze capace di dialogare, di evolvere, di ibridarsi? La cultura slava è “altro” dall’occidente o è una sorta di terra di mezzo che possiede in qualche misura alcuni caratteri propri del nucleo duro dell’occidente che a sua volta riesce a contaminare? L’immagine iconica di questi mesi, che in qualche modo apre il cuore alla speranza non è tanto la gita scolastica dei tre premier europei a Kiev (ha sortito conseguenze impalpabili) ma il palco della Scala dove la debole von der Leyen al fianco del Presidente Mattarella assisteva alla recita dello splendido Bori Godunov di Modest Petrovič Mussorgskij.

  5. Ringrazio gli autori dei commenti, chi, come Carlo Baviera, condivide la mia analisi e quanti (Eusebio Baucé e Maurizio Trinchitella) hanno espresso dissenso o critiche, sempre utili per il dibattito.
    Sinceramente devo dire che ho poco compreso il discorso di Baucé. Se Zelensky, impaurito, avesse lasciato il proprio Paese, tutto sarebbe finito lì con il successo di Putin? Americani ed alleati non avrebbero fatto nulla? Mi pare improbabile. Dopo l’avvento al potere dei nazionalisti a Kiev, a seguito del colpo di Stato, e la successiva presa di possesso della Crimea da parte di Mosca, sono subito intervenuti i massicci sostegni americani e britannici per il potenziamento delle forze militari ucraine. Queste, a fine 2022, erano diventate cosa ben diversa da quelle del 2014, tanto da far dire a Zelensky (in data precedente al massiccio intervento russo) che sarebbero presto state pronte per cacciare via i russi dal Donbass e per riconquistare la Crimea. Parole certo non pronunciate senza il consenso dei suoi sponsor americani e britannici. Non è una rappresentazione compatibile con uno Zelensky in fuga, ed una America che si fa da parte.
    Quanto all’ampia ricostruzione delle relazioni fra Stati Uniti e Russia, a partire dalla caduta dell’edificio sovietico, fatta da Maurizio Trinchitella, essa meriterebbe una adeguata disamina, ma, per esigenze di spazio mi limito ad un punto: non condivido la tesi che la sorregge. Viene detto che l’America avrebbe potuto approfittare della situazione di profonda crisi della Russia per offrire un aiuto ad un potenziale amico se non fosse giunto al potere Putin, un autocrate nazionalista, determinato a ricostruire un impero moscovita sulle macerie dell’Urss.
    Questa tesi non tiene conto di un dato essenziale. Il cambio di rotta della politica americana verso la Russia, rispetto a quella prudente di Bush padre, è avvenuto nel 1992 con la presidenza Clinton, mentre Putin è andato al potere nel 1999. Dopo il periodo della presidenza di Bush padre, che aveva sottoscritto un accordo con Gorbaciov (di cui oggi si cominciano a trovare carte e documenti) con cui impegnava gli Stati Uniti a non estendere l’alleanza oltre la DDR, Clinton, messi subito da parte detti impegni, ha dato il via alla marcia verso Est, malgrado a Mosca ci fosse Eltsin, non certo pregiudizialmente ostile all’Occidente. Un Eltsin che si limitò a protestare quando ad Helsinky, nel 1997, Clinton gli disse che Polonia, Ungheria e Cechia sarebbero entrate a far parte della Nato, come poi avvenne nel 1999.
    George Kennan (diplomatico di lunga carriera, padre della politica di contenimento dell’Urss, ed autorevole studioso di geopolitica) denunciò già nel 1997 (quando Putin era ancora uno sconosciuto) l’errore grave che stava facendo il proprio Paese con l’estensione della Nato ai Paesi già nell’orbita sovietica, e prefigurò tutto quanto è avvenuto in seguito: una Russia umiliata e con la sensazione di una minaccia incombente su di sè avrebbe rotto con l’Occidente, e ne sarebbe derivata una nuova guerra fredda.
    Inoltre, si tenga presente che Putin, andato al potere a fine 1999, pazientò parecchio prima di mettersi a contrastare le mosse occidentali. Di fronte all’ingresso dei Paesi baltici (già facenti parte dell’Urss) nella Nato, si disse contrario, ma finì per accettare l’operazione. Era pertanto difficile per Washington motivare l’installazione di uno scudo spaziale in Polonia e Cechia (decisione del 2007) come una necessità per contrastare una Russia al momento non palesemente ostile, né pericolosa. Pertanto, i vertici americani dovettero adottare il risibile ed ipocrita argomento della difesa dell’Europa dai missili coreani ed iraniani. Mosca allora denunciò il carattere ostile dell’intenzione americana, evidentemente rivolta contro di lei, come era nei fatti. Interroghiamoci su chi ha iniziato il cammino che ci ha condotto alla grave situazione odierna.

  6. Confesso la mia sorpresa nel constatare l’attenzione riservata alle mie genuine riflessioni. Ringrazio sentitamente gli illustri interlocutori per l’attenzione e per aver colmato le mie vaste lacune sull’argomento. Sono sempre più confermato nella fede popolare, la quale si alimenta anche dal dibattito tra pensieri non necessariamente collimanti su tutto. Il confronto politico arricchisce sempre tutti i partecipanti disadorni di verità assolute. Le mie genuine riflessioni non hanno l’ambizione di dissentire né di criticare la tesi proposta in origine al confronto, solo di offrire contributi a ulteriori analisi finalizzate a condividere valutazioni politiche, tuttavia mi permetto di ritornarci per correggere alcune errate interpretazioni.
    Prima mi corre l’obbligo di ringraziare, ancora una volta, il Direttore di Rinascita Popolare e il Presidente dell’Associazione i Popolari del Piemonte perché favoriscono e consentono la libera espressione dei pensieri, anzi direi dei Pensieri, il confronto è molto “popolare”.
    L’interpretazione del mio pensiero che si evince nelle riflessioni successive al mio intervento, mi invita a meglio precisare alcuni concetti:
    1)pare a me che la principale frase incriminata non condivisa e non interpretata correttamente dovrebbe essere questa: “Il 1989 segnò la fine dell’Impero Sovietico e soprattutto la sepoltura del marxismo economico. La russia alla fine del percorso accompagnato da Gorbaciov prima e Eltsin poi fu alla mercè dell’occidente. In quel momento il Capitalismo Anglosassone era vincente(non in senso assoluto), non servivano ulteriori prove di forza. Se errore fu, fu compiuto in quel momento, quando gli USA vollero, deliberatemente o involontariamente ai posteri l’ardua sentenza, stravincere. Il socialismo reale era battuto, la Russia, risultante dallo smembramento dell’Unione Sovietica, si era scoperta povera e inerme di fronte alla globalizzazione che muoveva i primi passi, le neo repubbliche ex sovietiche correvano verso l’occidente. Forse era necessaria una riflessione che “approfittasse” di quella situazione, non per dare il colpo di grazia al nemico ma per offrire un aiuto ad un potenziale “amico”, prendendo due piccioni con una fava: isolare la cina e irrobustire l’ordine mondiale uscito da Yalta. Invece dall’urna dei bussolotti uscì Putin che iniziò a perseguire la ricostruzione dell’ex Impero Sovietico. Basta rileggersi i suoi discorsi pubblici sul nuovo Ordine Mondiale che nessuno ascoltava.”
    Mi pare chiaro che il rapporto causa-effetto non è quello interpretato: “Viene detto che l’America avrebbe potuto approfittare della situazione di profonda crisi della Russia per offrire un aiuto ad un potenziale amico se non fosse giunto al potere Putin, un autocrate nazionalista, determinato a ricostruire un impero moscovita sulle macerie dell’Urss.”. La corretta interpretazione dello scritto è questa: se gli USA non avessero forzato quello che viene chiamato “l’allargamento a est della NATO mettendo da parte gli impegni sottoscritti”, ma avessero offerto aiuto ad un potenziale “amico” (i popoli slavi, diversi e non tutti simili ad educande, “possiedono in qualche misura alcuni caratteri propri del nucleo duro dell’occidente che a sua volta riescono a contaminare”, culturalmente non democraticamente), avrebbero potuto irrobustire, rinnovare o migliorare l’ordine mondiale uscito da YALTA e declinato nella Conferenza di San Francisco dell’aprile 1945, dove vennero disegnati l’ONU e il Consiglio di Sicurezza. Avrebbero isolato politicamente la Cina attuale che, ricordo per i più attenti, non è la stessa della seconda guerra mondiale ma quella che origina dal Partito Comunista Cinese di Mao Tse Tung che sottrasse il potere al legittimo governo nazionalista nel 1949, riparato successivamente a Taiwan (guarda il caso!). La Cina fu riconosciuta dagli USA solo negli anni settanta, appena dopo aver disconosciuto unilateralmente i trattati di Bretton Woods, su questo punto ritornerò in altra occasione perché è molto importante. Putin arrivò dopo, è corretto, ma non da Marte, comunque è ininfluente nel contesto. Come precisato, la tesi che sorregge il ragionamento non muove le ragioni a partire dall’arrivo di Putin che è successivo ma dall’incapacità di capire o dalla volontà di affondare il colpo finale o da altre ragioni da parte degli anglosassoni, possiamo ragionarci insieme, sulle base di ricerche storiografiche documentate, s’intende. Tuttavia è assai complicato immaginare un Putin democratico senza il “cambio di rotta di Clinton”. Le purghe staliniane, il Politburo, i Gulag, il mitico KGB (che ha “gemmato” Putin) e poi il capitalismo degli oligarchi di stato (anche in Ucraina) non sono invenzioni occidentali. E nemmeno le rapide “espansioni” russe come in Georgia che avvalorano la tesi del neo Imperialismo russo. Facciamo un passo indietro. Nel caos governativo di Mosca, post dissoluzione dell’URSS, Eltsin non fu in grado di garantire la transizione democratica del proprio paese e Putin fu scelto dagli orfani dell’URSS con preciso mandato, indipendentemente dal presunto o veritiero accerchiamento NATO finalizzato a “spingere sempre più a est la Russia”. Possiamo discuterne ma si fa enorme fatica intellettuale a leggere in “filigrana” un Putin sulla difensiva. Peraltro gli ex satelliti hanno o non hanno il diritto di scegliere dove appoggiare la loro riconquistata libertà? Premesso che gli USA e i sudditi dell’UK, quelli che quando aprono le persiane sulla manica e vedono la nebbia esclamano: non sono Buoni Samaritani, nemmeno gli ex sovietici possono definirsi vittime del solito complotto giudaico-plutocratico. Ancora, sono d’accordo sulla prudenza di Bush senior, l’interlocutore però era Gorbaciov! Dopo, Clinton e Eltsin! Poi Putin, la modifica costituzionale, il Tiranno….. (sigh!).
    2)La seconda frase incriminata dovrebbe essere quella che fa riferimento alle tesi di Huntington interpretate come “Che cosa è “occidente”? Una sorta di fortezza circondata da mura impenetrabili impegnata in un costante e fatale scontro”. A me non pare una interpretazione corretta. Mi sembrava più corretta la tesi relativa ad un nuovo ordine mondiale incentrato su un confronto tra le varie estrazioni culturali delle aree geopolitiche. Poco importa ai fini dell’espressione del mio libero pensiero. Ribadisco piuttosto che lo “scontro tra le civiltà” non si esaurisce nella diffusa interpretazione di un improbabile testa a testa tra mondo occidentale (nelle varie accezioni considerate) e mondo islamico, anzi sarebbe più corretto dire mondi islamici. Gli scontri tra le civiltà sono attestati dai quasi quaranta teatri di guerra in giro per il mondo, alimentati e fomentati dai più svariati interessi geopolitici e geoeconomici, in primis ma non solo, quelli Statunitensi, russi e cinesi, anche qui possiamo parlarne. Ad ogni modo nella guerra dei Balcani, lungi dall’essere risolta compiutamente, dove si annusano tuttora focolai pronti a divampare, se non fossero intervenuti gli USA chissà….e l’Europa? Era voltata da un’altra parte. Ecco perché credo che, in tale contesto, “la gita scolastica” a Kiev probabilmente aveva due scolaretti inediti, Germania e Francia, e una professoressa estemporanea, l’Italia, capace, come “mosca cocchiera” di guidare un processo di politica internazionale come non si vedeva dai tempi di Alcide de Gasperi, unico vero Statista che l’Italia repubblicana abbia conosciuto.
    Le influenze esercitate dagli USA nel mondo, da “America First”, ricorrono continuativamente da Yalta in poi, militarmente, finanziariamente, economicamente. Sicuramente gli USA non sostengono la prospettiva dell’Unione Politica Europea, che dovrebbe andare dalla sponda atlantica allo stretto di Bering, nella mia personale ambizione (senza Putin e i suoi adepti, per la precisione). Tuttavia la narrativa ricorrente, un po’ melensa, che vede gli americani ritirarsi progressivamente dalle aree di crisi ove erano impegnati, per scelta, non sembra rappresentativa di una realtà che, pare a me, configurarsi come figlia di scelte di politica estera attuate dalla amministrazione Nixon negli anni settanta. Scientemente elaborate e perseguite anche nei periodi successivi, sino ad oggi. A mio giudizio, principale causa dei maggiori ribollimenti mondiali degli ultimi cinquant’anni. Troppo lungo da approfondire ora, dovremmo riflettere anche sul governo dell’energia mondiale da parte delle “sette sorelle”, del ruolo dell’OPEC, di Israele, del medio oriente, della Siria di Assad, della Turchia di Erdogan e delle sue ambizioni sconsiderate, della strategia russa di asservire l’europa occidentale con il gas, ecc. ma se ne può riparlare in altro spazio dedicato all’uopo. Da qui origina la mia riflessione sul protagonismo degli Usa ora silenziato, ora ostentato, a mò di fiume carsico che appare e scompare ma scorre sempre! Comunque dipendente anche dalla statura dei presidenti che si sono avvicendati da Nixon ad oggi. Certo è che la retorica americana del “self made man” rappresentata dall’icona del “decino” di zio paperone, guida anche la loro politica estera. Dalle nostre parti si preferisce usare la retorica del pragmatico “c’est l’argent qui fait la guerre”, in assenza del quale è quantomeno complicato costruire alternative.
    Resta la guerra in Ucraina voluta e iniziata sul campo dall’invasore Putin. Non vi è ragione alcuna per giustificare un’aggressione militare con conseguenti massacri e crimini di guerra accertati. Credo, ma non ne sono sicuro, che si possa essere tutti d’accordo nel ritenere prioritario l’abbattimento del Tiranno, “conditio sine qua non” per ristabilire la Pace, rispetto al definire le ragioni e le colpe degli uni e degli altri, circa la primogenitura dell’errore fatale. Se non altro per rispetto delle donne stuprate, dei bambini deportati, delle popolazioni civili massacrate e anche degli adolescenti militari russi mandati al macello senza scrupolo alcuno! In parallelo è assolutamente necessario perseguire le vie diplomatiche possibili. Anche se è improbabile interloquire con la narrazione russa dell’aggressore che si insinua nel pensiero occidentale come aggredito. Paradossalmente è come se gli astanti fossero seduti ad un tavolo a giocare una amara partita a poker, dove nessuno vuole arrivare a vedere le carte dell’altro per non rischiare di scoprire che il full di “re” è nudo. E’ ingeneroso accreditare gli USA di tutti i mali del mondo senza valutare adeguatamente l’assenza dell’astante politico europeo, capace di correggerne le strategie all’interno di quel tanto declamato Patto Atlantico. Non dimentichiamo che gli americani sono i nipotini dei fini e truculenti cervelli degli europei “estradati nelle nuove colonie” qualche secolo fa. I nativi probabilmente affronterebbero la geopolitica attuale in modalità sostanzialmente diversa. La realtà ci racconta di assenza di alternative. Purtroppo. Per tessere una tela occorrono filo, telaio e mestiere. Si stava riprendendo un cammino politico europeo, difficile ma vero. Si preferisce derubricarlo a gita scolastica, tanto vale tenersi la destra-centro al governo senza scomporsi troppo. Non farà peggio della sinistra-centro. Attenzione però al tentativo presidenzialista! La P2 non ha ancora “finito il lavoro”. Riconosciamo almeno ad Aldo Moro il merito di aver Pensato e operato per determinare le condizioni per una vera democrazia dell’alternanza, non bipolare (il posto al centro è sempre vacante) e scevra da tentazioni autoritarie. Il vero vincitore è lui non la Meloni. Gli annunciati tempi nuovi sono arrivati, a noi il compito di non affrontarli con “baruffe chiozzotte” ma con le domande del POPOLARISMO, al Centro, sempre! Mi rendo conto di aver espresso più un sogno che un proposito. Gli ex popolari graduati hanno scelto di auto relegarsi a individui non disturbatori della quiete politica.
    In conclusione consiglio di ascoltare “Pictures at an exhibition” di Mussorgsky, esecuzione con organo a canne, registrazione Dorian Sampler, maestosa nell’indurre a riflettere in letizia e serenità, anche il Presidente Mattarella, ultimo baluardo democratico cristiano a difesa della Costituzione, ne è entusiasta. Non so se apprezzerebbe anche la “debole Ursula”, ora non viene più, una settimana sì e l’altra anche, a Roma a consigliarsi.
    Con immutata stima.
    P.S. Domando perdono per la inevitabile ampollosità, dovuta alla complessa serietà dei temi ragionati.
    Maurizio Trinchitella
    Socio Fondatore Associazione i Popolari del Piemonte nello Studio Tavolaccini a Biella

  7. Non posso che complimentarmi, come ho già fatto mille volte, con Ladetto che ha la capacità, per il modo acuto con cui tratta gli argomenti, di suscitare dibattiti di grande valore.

    Dopo gli interventi a commento già fatti, anch’essi di grande valore, (che il giornale ha il merito di accogliere con grande libertà) non mi resta che fare una sola osservazione con un successivo corollario.

    L’osservazione è questa. Maurizio Trinchitella lamenta che, al punto in cui siamo arrivati diventa pregiudiziale “abbattere il tiranno”. A qualsiasi costo, ammesso che sia possibile?
    Il corollario successivo è questo. Dopo la “vittoria occidentale” del crollo del muro di Berlino gli occidentali si trovarono davanti come interlocutore un fior di galantuomo come Gorbaciov e gli occidentali, o per meglio gli USA, a quel punto non trovarono di meglio da fare che accoltellarlo alla schiena (in nome degli immortali “valori democratici”? o di interessi materiali legati alla struttura economica, prima ancora che politica dell’anarcocapitalismo che gli USA hanno poi imposto all’Europa (o meglio gli europei si sono lasciati imporre tramite una degenerata UE, che, da incubatrice di una Federazione Europea si è trasformata in una portavoce della NATO) e che si erano illusi che, nel loro semplicismo antropologico, avrebbero imposto al mondo dal 1989 in avanti).
    Prima di predicare di abbatterli i dittatori sanguinari ritengo che si debba avere la saggezza di prevenirli. Dopo, quando si è stimolato nelle nazioni avversarie del risentimento per una ingiustizia patita. Non importa neppure se effettiva o presunta, ciò che conta nella storia, come nella vita privata, sono le passioni che agitano gli uomini, lo sanno molto bene le scuole di geopolitica che sembra siano rimaste le uniche a presentraci una immagine dell’uomo nella sua realtà profonda, tanto privata che pubblica (cfr. Fabbri), del singolo individuo quanto degli imperi e dei loro popoli, al cui animus, nel bene e nel male, anche i più dispotici tiranni devono rendere conto in termini di consonanza nel sentire. Il Volksgeist non è acqua!
    Consentitemi a questo punto un corollario nel corollario: la constatazione che gli USA, o meglio il suo popolo, sviluppatosi, mentalmente prima ancora che materialmente, secondo una visione sempre più legata all’idea dell'”uomo ad una dimensione”, quella economica (ossessione calvinistico-massonica di bassa lega?), si sono fatti un’idea che l’intero universo umano aspiri alle stesse cose in cui gli USA (e in estensione l’intero mondo anglosassone e, per colonizzazione ormai l’intero occidente, magari contro gli stessi più nobili valori da cui si è andato costituendo nella storia) e su questa idea, prima ha blandito la Cina, avendo superficialmente apprezzato il suo “saper produrre in una libera economia globalizzata”, poi ha deciso che gli infirgardi, economicamente poco produttivi, e forse troppo sognanti (e di fondo anche un pochino militaristi crudeli) russi, andavano rimessi in riga. E così dopo il prono Elzin non potevano che far partorire alla Russia un Putin. Così come la Francia a Versailles, lo ha recentemente ricordato anche Macron proprio facendo un parallelo con gli attuali rapporti USA – Russia, ha partorito uno Hitler. Non a caso il capodelegazione inglese alle trattative di pace, l’economista Keynes, diede le dimissioni per protestare contro la durezza francese tenuta contro la sconfitta Germania! Forse gli USA che non sono, come credono, portatori di valori da imporre agli altri (atteggiamento che evidentemente per manifestarsi non richiede che chi lo manifesta sia un despota totalitario…) ma che l’armonia e la pace si raggiunge attraverso il riconoscimento delle rispettive diversità che richiedono limitazioni reciproche mediante trattative ed accordi.
    Un’ultima osservazione su quanto detto da Maurizio Trinchitella sulla cultura dei padri fondatori degli USA. E’ vero che le origini dgli Stati Uniti si basavano sul meglio della cultura settecentesca europea. Ma è anche vero che l’evoluzione di quel paese, specialmente dalla metà del XIX secolo in poi, è andata procedendo sempre più come il gambero. Con grande ipocrisia gli intellettuali di vaglia di quel paese, una volta industrializzato, sono sempre stati “democraticamente isolati”, sono liberissimi di dire ciò che vogliono, l’importante è che, in un paese del fare dove sempre meno nel giudizio della gente comune la cultura scissa dal “fare” (alimento delle idee) è un valore la cosa è molto facile, non disturbino il manovratore economico-finanziaro, a sua volta indirizzatore della politica.

  8. Concordo con Maurizio Trinchitella quando afferma che il confronto tra quanti manifestano tesi non necessariamente collimanti è il cuore del dibattito politico e culturale arricchendo tutti i partecipanti disadorni di verità assolute: credo sia il caso di quanto è avvenuto su Rinascita popolare.
    E’ perfettamente vero che gli scontri di civiltà sono attestati dai quasi quaranta teatri di guerra in giro per il mondo alimentati dai più svariati interessi geopolitici, ovvero da confronti tra potenze nessuna delle quali rappresenta il “bene”.
    Mi è piaciuto l’invito ad ascoltare “Quadri di un’esposizione”, una composizione musicale che amo. Rammento che l’ultimo quadro che Mussorgsky rievoca musicalmente è “La grande porta di Kiev”, epilogo trionfale in cui maestosamente rappresenta un simbolico monumento della storica città. Un altro brano musicale notissimo di Mussorgsky è “Una notte sul monte calvo” in cui viene ripresa una leggenda ucraina riguardante il monte Lysa Hora non lontano da Kiev.
    Tutto ciò testimonia l’intreccio storico e culturale fra mondo russo e ucraino. Trovo molto squallido vedere nei dibattiti televisivi sedicenti storici ed intellettuali che ne negano l’evidenza.

  9. VC 17.02.23
    Complimenti per la sintesi. Rispettosa delle riflessioni che vi hanno contribuito. Con buona pace dei soloni televisivi!
    Grazie a Rinascita Popolare e all’Associazione i Popolari del Piemonte.
    Buon ascolto musicale, a tutti.
    Maurizio Trinchitella
    Socio Fondatore Associazione i Popolari del Piemonte nello Studio Tavolaccini a Biella

    P.S. Un refuso tecnico ha cancellato una frase, la riprendo, per la precisione.
    Premesso che gli USA e i sudditi dell’UK, quelli che quando aprono le persiane sulla manica e vedono la nebbia esclamano: il continente è isolato! Non sono Buoni Samaritani, nemmeno gli ex sovietici possono definirsi vittime del solito complotto giudaico-plutocratico.

  10. Raramente sui giornali (qualunque sia il loro suffisso….oni, acci, etti..) si leggono dibattiti di questo livello e segnati da tale rispetto fra gli interlocutori. Per tacere dei talk shows televisivi (con quella tecnica, che trovo particolarmente odiosa, di inquadrare durante gli interventi l’avversario dell’oratore di turno che scuote il capo e fa la faccina imbronciata). Mi limito a due osservazioni: una delle radici del Volkgesit statunitense è ben rappresentata dal Weber de “L’etica protestante e lo spirito del capitalismo” dove il tema dell’elezione di matrice calvinista insieme alla similitudine fra l’esodo biblico e la ricerca della nuova terra promessa da parte dei padri pellegrini, vero mito fondativo della nazione nordamericana, è presentata come l’ingrediente principale del sistema valoriale prima che politico di quella nazione. Il mito eurasiatico della grande Russia, che nei secoli ha attraversato diverse incarnazioni politico istituzionali, è radicalmente altro rispetto alle impostazioni mentali e narrative nordamericane: tra l’altro l’uno è terragno, ancorato saldamente a un territorio preciso (da conquistare se necessario e conservare gelosamente) l’altro è aereo, incorporeo, invade lo spazio globale con i “biglietti alati” di cui parlava Goethe (il poeta intravvedeva il futuro strapotere della finanza globale!).In entrambi i casi la radice religiosa è presente. Due modelli diversi che non necessariamente dovrebbero entrare in conflitto. Ma il modello russo ha carattere regionale, si accontenta del proprio alveo vitale territoriale anche se non disdegna ovviamente una rete di amicizie e alleanze stabilendo teste di ponte in aree considerate strategiche, medioriente e Africa in particolare (sono ridicoli quei gazzettieri che dipingono Putin come un nuovo Hitler che vuole conquistare il mondo, il Russia mir non comprende l’intero globo terracqueo). Quello statunitense è globale, punta prosaicamente a conservare la dollarizzazione dell’economia globale e misticamente a convertire il mondo ai propri valori, o meglio alla propria declinazione dei valori occidentali comunemente intesi e accettati. E’ proprio su questo aspetto che l’Europa dovrebbe poter esprimere una posizione autonoma e differenziata capace di prefigurare una possibile mediazione politica. Dovremmo riuscire a spiegare agli amici americani che nel concerto atlantico-occidentale possono legittimamente e utilmente coesistere più voci. Una voce diversa non è una voce stonata. Per riprendere anche qui una metafora musicale, uno dei più alti prodotti dello spirito occidentale è proprio quella polifonia che ha illuminato la scena europea dal ‘500 al ‘700 (Palestrina, Gesualdo, Orlando di Lasso, Desprès, Bach… ogni nazione ha i suoi polifonisti). Una Missa a 6, 8 financo 10 voci è molto più affascinante di un semplice canto monodico. Questo i nostri leader europei dovrebbero spiegare all’amico americano invece di ripetere la lezioncina (monodica!) come bravi scolaretti.

  11. Un grazie a Giuseppe Ladetto che ci aiuta a intavolare una discussione che considera anche quei lati della questione ucraina, che nei media e nel discorso politico devono essere omessi per ragioni di stato e di partecipazione dell’Italia al proprio sistema di alleanze internazionali.

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