Domande serie sulla pace in Ucraina



Maurizio Cotta    20 Dicembre 2022       4

Le voci (come quella di Giuseppe Ladetto qui su “Rinascita popolare”) che ripetutamente sollevano preoccupazioni sulle conseguenze della guerra in corso in Ucraina, scatenata dall’invasione russa decretata da Putin, meritano certo di essere ascoltate seriamente. E la domanda di pace deve restare al centro della nostra riflessione. Ma per affrontare seriamente il tema della pace è necessario porsi alcune gravi domande preliminari.

La prima domanda riguarda il destino dell’Ucraina, Paese che ha subito e continua a subire da parte della Russia un attacco feroce e sanguinoso alla sua popolazione, alle sue infrastrutture civili fondamentali, alla sua economia. La seconda riguarda le condizioni per un più ampio equilibrio pacifico in Europa che coinvolga non solo quel Paese ma tutto il continente. La terza e sottostante domanda riguarda la natura e gli obiettivi dell’attuale potere russo. In realtà a ben vedere le tre domande si intrecciano strettamente ed è necessario vederne le connessioni.

Cominciamo dall’Ucraina. Qui non è in gioco un problema certo serio ma pur sempre limitato di “regolazione” di confini tra due Paesi e di sistemazione delle condizioni di minoranze etniche in alcune province dell’Ucraina. È in gioco la sopravvivenza stessa di un intero Paese minacciata da una grande potenza confinante. Nelle parole espresse con grande chiarezza e ripetutamente da Putin l’Ucraina non sarebbe un Paese degno di una sua piena sovranità, ma dovrebbe essere riportato entro l’ambito di una grande Russia. E questo dovrebbe essere realizzato attraverso la “denazificazione” e “demilitarizzazione” del Paese, cioè attraverso una presa di controllo da parte della Russia del potere politico dell’Ucraina. D’altra parte che queste non fossero solo parole lo conferma lo svolgimento dell’attacco russo del 24 febbraio. Il tentativo di colpire al cuore il Paese con una azione-lampo, occupando Kiev e decapitando la dirigenza politica (una truce somiglianza con quello che Hitler voleva fare con l’Unione Sovietica occupando Mosca), era chiarissimo. Come sappiamo il coraggio del presidente Zelensky e la pronta ed efficace reazione delle forze armate ucraine hanno reso vano questo tentativo, ma non hanno potuto impedire che su tutto l’arco territoriale che va da Charkiv a nord-est fino a Cherson a sud-ovest l’invasione russa estendesse la sua presa su ampie regioni dell’Ucraina, ben oltre quelle già occupate dal 2014, e sperasse di raggiungere Odessa così da tagliare il Paese completamente dallo sbocco al mare. Questo attacco, assolutamente illegale sulla base di ogni norma internazionale, è stato per di più condotto da uno stato membro del Consiglio di Sicurezza dell’ONU e che nel 1999 aveva in cambio della rinuncia dell’Ucraina alle armi nucleari garantito la sovranità dell’Ucraina stessa. È stato inoltre accompagnato da brutali attacchi alla popolazione civile e da un diffuso ricorso a crimini di guerra.

Di fronte a tutto questo come possiamo non solidarizzare e non solo verbalmente con la resistenza indomita di un popolo nei confronti di chi vuole piegarlo? Come potremo festeggiare il nostro 25 aprile che ricorda la vittoria sull’invasore nazista della resistenza italiana sostenuta dall’impegno delle forze alleate, se non avremo riconosciuto il dovere di aiutare anche militarmente il popolo ucraino?

Bisogna dunque essere chiari: l’Ucraina ha il pieno diritto di chiedere che la sua integrità territoriale e la sua piena sovranità siano ristabilite; quindi che l’annessione di quattro sue province (oltre a quella della Crimea nel 2014) illegalmente decretata dalla Federazione Russa sia cancellata. E ancora che la sua sicurezza gravemente colpita dal potente vicino (che paradossalmente era lui a dichiararsi minacciato nella sua sicurezza!) sia assicurata in maniera solida.

E veniamo ora alla prospettiva europea. Dopo le devastanti guerre del Novecento i principali Paesi europei occidentali hanno rinunciato all’uso della guerra per la risoluzione dei conflitti e costruito progressivamente con l’Unione Europea un solido sistema istituzionale di cooperazione economica e non solo. Il progressivo allargamento dell’UE ha consentito a un numero crescente di Paesi via via liberatisi da dittature e domini stranieri di trarre beneficio da questo fondamentale strumento. Si tratta di uno strumento che si basa sul principio del libero consenso e della rule of law. In questa prospettiva i Paesi dell’Unione, contando sulla protezione militare garantita dagli Stati Uniti e poi sulla fine dell’imperialismo sovietico, hanno a lungo ritenuto di poter fare a meno di una vera e propria politica di sicurezza anche militare comune.

La politica estera della UE si è sostanzialmente limitata al campo certo non irrilevante della politica commerciale. In particolare i rapporti con la Russia sono stati primariamente guidati dalle interessanti prospettive di scambio tra le abbondanti materie prime dalla Russia e i prodotti tecnologicamente avanzati e i beni di consumo di alta gamma dell’Europa. Tutto questo era mutuamente profittevole ma supponeva un contesto pacifico e di stabilità dell’assetto europeo. La trasformazione progressiva del Russia sotto Putin in una potenza “revisionista”, orientata a recuperare un ruolo di superpotenza e con l’ambizione di restaurare un’influenza penetrante su territori limitrofi anche con operazioni militari coperte di occupazione attraverso interposti soggetti politico-militari (Transnistria 1992, Abcasia e Ossezia del Nord 2008, Donbass 2014) o invece diretta e palese (Crimea 2014), ha segnalato (anche se molti leader europei non se ne sono accorti o hanno fatto finta di non vedere) che un presupposto fondamentale dei convenienti rapporti economici si stava indebolendo. E il quadro europeo si stava annuvolando tra tensioni politiche e sanzioni. L’invasione del febbraio 2022 e i propositi putiniani di controllo sull’Ucraina hanno drammaticamente evidenziato che quel quadro sistemico era compromesso. In sostanza con un impero “tranquillo” si possono fare affari, ma con un impero (dotato di armi nucleari) con ambizioni espansive la pace economica dell’Europa non è più possibile. La risposta militare ed economica dei Paesi europei insieme agli Stati Uniti in difesa dell’Ucraina ha segnalato che ormai è in gioco non soltanto la sorte di un Paese sovrano ma anche quella di un più esteso ordine pacifico europeo. La ricerca della pace in Europa richiede quindi che si ritorni al pieno rispetto delle frontiere e delle regole giuridiche internazionali.

La terza domanda non è se sia possibile giungere ad una pace con la Russia, ma se sia possibile con l’attuale Presidente della Federazione Russa. La domanda è precisa: nel corso degli ultimi anni con un crescendo inesorabile la concentrazione del potere nelle mani di Putin e del suo ristretto entourage e la cancellazione di ogni pluralismo politico hanno fatto sì che tutte le scelte fondamentali siano riconducibili all’attuale Presidente. Emblematica fu la comunicazione della decisione di iniziare l’invasione dell’Ucraina di fronte ai vertici della Russia che ne erano in gran parte ignari. Di Putin è stata la scelta di annettere alla Russia le quattro province ucraine di Donetsk, Lugansk, Zaporigia e Cherson dopo referendum fasulli e di proclamarle russe per sempre quasi a volersi tagliare i ponti alle spalle (1° ottobre 2022). Di Putin la decisione di distruggere con bombardamenti sistematici le infrastrutture civili dell’Ucraina per compensare gli insuccessi sul fronte militare.

Certo la pace si fa con il governo di una nazione, ma il governo attuale della Russia sembra essersi votato senza possibilità di uscita ad un progetto che è totalmente incompatibile con i diritti dell’Ucraina ma anche con le condizioni indispensabili per un assetto di pace europeo. E, aggiungiamo, un progetto che rappresenta un danno enorme per la stessa Russia, il benessere attuale e futuro dei suoi cittadini nonché la reputazione internazionale del Paese. La domanda allora è: quando arriverà il momento in cui una parte della classe dirigente russa capirà che è tempo di separare le proprie sorti e quelle del Paese dalla disastrosa scelta di Putin?

La determinazione ucraina e quella dei Paesi occidentali nel respingere anche sul piano militare il progetto putiniano sono oggi le condizioni necessarie per arrivare a una pace che salvaguardi i diritti fondamentali del popolo ucraino, le basi per uno stabile assetto pacifico in Europa e anche i veri interessi del popolo russo. Prospettare una trattativa di pace è necessario ma avendo ben chiaro che una vera pace non può non tenere conto delle domande qui sollevate.


4 Commenti

  1. Mi sembra che questo articolo, indubbiamente scritto bene, manchi di una domanda fondamentale, la terza-bis che riporto qui sotto.
    La terza bis riguarda la natura e gli obiettivi dell’attuale potere americano che in realtà ha già stravinto facendo regredire l’Europa di almeno un quarto di secolo e ha fortemente minato le capacità economiche e militari della Russia, impedendo la saldatura dell’ Europa con la Russia, facendo sì che i Paesi dal Portogallo agli Urali diventassero per davvero il primo mondo.
    Non ricordo, neppure andando indietro al tempo degli assiri babilonesi, una guerra in cui ci sia chi collabora felice nel farsi male, ovvero l’UE, senza avere la minima percezione di suicidarsi ogni giorno.
    Senza questa domanda l’articolo è monco, e pure molto.

  2. Alle domande di Maurizio Cotta, cercherò di dare una risposta nei limiti di spazio che un commento consente.
    I) Non si possono mai affrontare le questioni di ordine internazionale in modo astrattamente giuridico prescindendo dalla storia. Ciò vale sempre, ed infatti solitamente non lo si fa in contesti in cui siano implicati come protagonisti paesi occidentali o loro amici.
    Dal punto di vista del diritto internazionale, Taiwan è nella stessa situazione della Crimea, dell’Abkhazia, dell’Ossezia: è parte della Cina (infatti non è uno Stato indipendente riconosciuto dall’ONU, né dai principali Stati, Usa inclusi): solo la flotta americana fino ad oggi ha impedito alla Cina di riappropriarsene. Ma, da parte occidentale, alla Cina non viene permesso di riconquistare un proprio territorio, mentre lo si ritiene un diritto per l’Ucraina. La stessa cosa si può dire in Medio Oriente dei territori occupati da Israele con la guerra dei sei giorni, o del Kosovo strappato alla Serbia con una guerra, a cui ha partecipato il nostro paese con motivazioni non diverse da quelle di Putin per il Donbass. Quindi mettiamo da parte l’uso pretestuoso del diritto internazionale.
    II) La storia ci dice che il rapporto tra Ucraina e Russia è complesso. La Rus di Kiev è stata la culla della nazione Russa; il territorio a est del Dnepr da oltre 3 secoli e fino a ieri è stato russo; la cultura russa ha permeato quella del popolo ucraino e si è intrecciata con essa (ad evidenziarlo basta il nome di Nikolaj Gogol, ucraino di nascita e di famiglia, e nel contempo una colonna portante della letteratura russa); una rilevante parte del popolo dell’Ucraina è russofono. Aggiungo che il nazionalismo ucraino è recente, essendo nato a fine Ottocento in quella parte occidentale del paese (la Podolia e la Galizia con al centro Leopoli) che non fu mai legata alla Russia, ma soggetta alla Polonia e all’Impero asburgico; e fu un nazionalismo essenzialmente antipolacco e antisemita.
    Tutto ciò indica che mettere l’Ucraina contro la Russia alimentando un acceso nazionalismo che ha i suoi riferimenti in personaggi equivoci come Symon Petljura e Stepan Bandera, come da anni cercano di fare gli Usa, è irragionevole e foriero di conseguenze nefaste. Lo ha detto chiaramente Henry Kissinger per il quale l’Ucraina deve essere un ponte fra Russia ed Europa e non essere schierata con una parte.
    III) E’ assai poco convincente la rappresentazione di una Europa e di un mondo in cammino verso il multilateralismo sotto la illuminata guida statunitense, un percorso contrastato da Russia, Cina e autocrazie varie, restate ancorate a superate logiche imperialistiche di potenza. Ma le potenze ci sono anche oggi, a partire dalla Numero Uno, ben intenzionata a restale tale contrastando tutte le potenze regionali esistenti o potenziali (come un’Europa il cui matrimonio non s’ha da fare ). E nessuna potenza vuole ai suoi confini paesi ostili. Si dimentica che nell’America latina (considerata il cortile di casa) sempre gli Stati Uniti, ogni qual volta sono andate al potere forze da essi ritenute ostili, o se ne è intravisto il successo, sono intervenuti direttamente con un’azione militare o indirettamente promuovendo golpe che hanno portato al potere governi militari sanguinari, autori di feroci repressioni.
    Ciò vale per tutte le potenze, ed è pertanto comprensibile che la Russia non voglia paesi schierati con la Nato al suo confine occidentale (da cui nei secoli si sono succedute frequenti invasioni). Lo aveva ben compreso George Bush padre invitando alla prudenza il proprio paese.
    IV) E’ insostenibile la narrazione di una Russia tesa a ricostituire l’Unione Sovietica e a riconquistare i paesi ex satelliti.
    Come ha detto Lucio Caracciolo, da anni la Russia è sulla difensiva perché la sua spesa militare (come la sua economia) è modesta (1/13 di quella Usa, e 1/5 di quella dell’insieme dei paesi della UE), e pertanto la condizione delle sue forze armate (come si vede in Ucraina) non le consente di sostenere alcuna iniziativa espansiva di largo raggio.
    L’intervento in Ucraina del febbraio 2022 (mossa avventata e condannabile) è stato dettato dalla convinzione del vertice moscovita che, a fronte della crescente pressione occidentale ai confini del paese, dei propositi di riconquista annunciati da Zelensky e dell’accantonamento degli accordi di Minsk, senza una risposta per allentare tale pressione, un confronto armato sarebbe comunque avvenuto, ma in condizioni più difficili per le forze russe.
    V) Come ottenere la fine della guerra in Ucraina, e come ristabilire la pace e la convivenza fra Europa e Russia?
    Occorre tornare a quel cammino intrapreso da Willy Brandt e poi da Elmut Kohl, assecondato dal cardinal Casaroli, che aveva aperto il dialogo tra l’est e l’ovest dell’Europa superando la guerra fredda. A tal fine, è indispensabile cercare di arrivare gradualmente ad un compromesso che risponda alle preoccupazioni di tutte le parti e dove a ciascuno sarà richiesto di rinunciare a qualche aspirazione.
    Si dovrà rassicurare l’Ucraina garantendole di non essere fagocitata dalla Russia e di poter mantenere la propria indipendenza, ma bisogna prendere atto che restano in piedi tutte le questioni già presenti prima del febbraio 2022, alle quali occorre dare una soluzione che tenga conto anche dei problemi posti dalla Russia: la Crimea la cui popolazione è russa nella grande maggioranza, e che fin dagli anni Novanta (ben prima che Putin fosse al potere) chiedeva di essere indipendente da Kiev; il Donbass dove la reazione al tentativo dei nazionalisti ucraini di cancellare la lingua e la cultura russa è stata ampia e spontanea; la preoccupazione di Mosca di avere al proprio confine un paese aderente alla Nato, un’alleanza rivitalizzata nel Novanta al solo scopo di comprimere sempre più verso est la Russia (anche quando al potere c’era Eltsin, difficilmente catalogabile come ostile all’Occidente).
    Se si affrontano tali questioni per quel che sono nella realtà del territorio, e non nella logica di un confronto tra Stati Uniti e Russia, le soluzioni si potranno trovare.

  3. Alle domande di Maurizio Cotta, cercherò di dare una risposta nei limiti di spazio che un commento consente.
    I) Non si possono mai affrontare le questioni di ordine internazionale in modo astrattamente giuridico prescindendo dalla storia. Ciò vale sempre, ed infatti solitamente non lo si fa in contesti in cui siano implicati come protagonisti Paesi occidentali o loro amici.
    Dal punto di vista del diritto internazionale, Taiwan è nella stessa situazione della Crimea, dell’Abkhazia, dell’Ossezia: è parte della Cina (infatti non è uno Stato indipendente riconosciuto dall’ONU, né dai principali Stati, Usa inclusi): solo la flotta americana fino ad oggi ha impedito alla Cina di riappropriarsene. Ma, da parte occidentale, alla Cina non viene permesso di riconquistare un proprio territorio, mentre lo si ritiene un diritto per l’Ucraina. La stessa cosa si può dire in Medio Oriente dei territori occupati da Israele con la Guerra dei sei giorni, o del Kosovo strappato alla Serbia con una guerra, a cui ha partecipato il nostro Paese con motivazioni non diverse da quelle di Putin per il Donbass. Quindi mettiamo da parte l’uso pretestuoso del diritto internazionale.
    II) La storia ci dice che il rapporto tra Ucraina e Russia è complesso. La Rus di Kiev è stata la culla della nazione russa; il territorio a est del Dnepr da oltre 3 secoli e fino a ieri è stato russo; la cultura russa ha permeato quella del popolo ucraino e si è intrecciata con essa (ad evidenziarlo basta il nome di Nikolaj Gogol, ucraino di nascita e di famiglia, e nel contempo una colonna portante della letteratura russa); una rilevante parte del popolo dell’Ucraina è russofono. Aggiungo che il nazionalismo ucraino è recente, essendo nato a fine Ottocento in quella parte occidentale del Paese (la Podolia e la Galizia con al centro Leopoli) che non fu mai legata alla Russia, ma soggetta alla Polonia e all’Impero asburgico; e fu un nazionalismo essenzialmente antipolacco e antisemita.
    Tutto ciò indica che mettere l’Ucraina contro la Russia alimentando un acceso nazionalismo che ha i suoi riferimenti in personaggi equivoci come Symon Petljura e Stepan Bandera, come da anni cercano di fare gli Usa, è irragionevole e foriero di conseguenze nefaste. Lo ha detto chiaramente Henry Kissinger per il quale l’Ucraina deve essere un ponte fra Russia ed Europa e non essere schierata con una parte.
    III) E’ assai poco convincente la rappresentazione di una Europa e di un mondo in cammino verso il multilateralismo sotto la illuminata guida statunitense, un percorso contrastato da Russia, Cina e autocrazie varie, restate ancorate a superate logiche imperialistiche di potenza. Ma le potenze ci sono anche oggi, a partire dalla Numero Uno, ben intenzionata a restale tale contrastando tutte le potenze regionali esistenti o potenziali (come un’Europa il cui matrimonio non s’ha da fare…). E nessuna potenza vuole ai suoi confini Paesi ostili. Si dimentica che nell’America latina (considerata il cortile di casa) sempre gli Stati Uniti, ogni qual volta sono andate al potere forze da essi ritenute ostili, o se ne è intravisto il successo, sono intervenuti direttamente con un’azione militare o indirettamente promuovendo golpe che hanno portato al potere governi militari sanguinari, autori di feroci repressioni.
    Ciò vale per tutte le potenze, ed è pertanto comprensibile che la Russia non voglia Paesi schierati con la Nato al suo confine occidentale (da cui nei secoli si sono succedute frequenti invasioni). Lo aveva ben compreso George Bush padre invitando alla prudenza il proprio Paese.
    IV) E’ insostenibile la narrazione di una Russia tesa a ricostituire l’Unione Sovietica e a riconquistare i Paesi ex satelliti.
    Come ha detto Lucio Caracciolo, da anni la Russia è sulla difensiva perché la sua spesa militare (come la sua economia) è modesta (1/13 di quella Usa, e 1/5 di quella dell’insieme dei Paesi della UE), e pertanto la condizione delle sue forze armate (come si vede in Ucraina) non le consente di sostenere alcuna iniziativa espansiva di largo raggio.
    L’intervento in Ucraina del febbraio 2022 (mossa avventata e condannabile) è stato dettato dalla convinzione del vertice moscovita che, a fronte della crescente pressione occidentale ai confini del Paese, dei propositi di riconquista annunciati da Zelensky e dell’accantonamento degli accordi di Minsk, senza una risposta per allentare tale pressione, un confronto armato sarebbe comunque avvenuto, ma in condizioni più difficili per le forze russe.
    V) Come ottenere la fine della guerra in Ucraina, e come ristabilire la pace e la convivenza fra Europa e Russia?
    Occorre tornare a quel cammino intrapreso da Willy Brandt e poi da Elmut Kohl, assecondato dal cardinal Casaroli, che aveva aperto il dialogo tra l’est e l’ovest dell’Europa superando la guerra fredda. A tal fine, è indispensabile cercare di arrivare gradualmente ad un compromesso che risponda alle preoccupazioni di tutte le parti e dove a ciascuno sarà richiesto di rinunciare a qualche aspirazione.
    Si dovrà rassicurare l’Ucraina garantendole di non essere fagocitata dalla Russia e di poter mantenere la propria indipendenza, ma bisogna prendere atto che restano in piedi tutte le questioni già presenti prima del febbraio 2022, alle quali occorre dare una soluzione che tenga conto anche dei problemi posti dalla Russia: la Crimea la cui popolazione è russa nella grande maggioranza, e che fin dagli anni Novanta (ben prima che Putin fosse al potere) chiedeva di essere indipendente da Kiev; il Donbass dove la reazione al tentativo dei nazionalisti ucraini di cancellare la lingua e la cultura russa è stata ampia e spontanea; la preoccupazione di Mosca di avere al proprio confine un paese aderente alla Nato, un’alleanza rivitalizzata nel Novanta al solo scopo di comprimere sempre più verso est la Russia (anche quando al potere c’era Eltsin, difficilmente catalogabile come ostile all’Occidente).
    Se si affrontano tali questioni per quel che sono nella realtà del territorio, e non nella logica di un confronto tra Stati Uniti e Russia, le soluzioni si potranno trovare.

  4. Gli amici Cotta, e Mila e Ladetto nella discussione, hanno evidenziato molteplici aspetti dell’intricata questione ucraina.
    Credo che esaminare i diversi aspetti costituisca l’approccio più saggio. Perché se i lati del conflitto di cui si tende a non parlare, vengono nascosti sotto il tappeto come la polvere, prima o poi la Storia il tappeto lo toglie, e ce li ripresenta ingigantiti.
    E un lato, non certo l’unico, delle cause di questa guerra è costituito dal riemergere della questione tedesca. Con il senno del poi si può affermare che il più grosso errore dell’Europa sia stato quello di determinare la fine della Comunità Europea. Essa fotografava l’equilibrio europeo del dopoguerra, e costituiva una alternativa pacifica al ricorrente concetto di Reich.
    Con i Trattati di Maastricht si è consentito alla Germania riunificata (che di nuovo ha ingannato i suoi alleati circa le sue effettive intenzioni) di plasmare un’Europa su misura dei propri interessi. Berlino ci ha imposto il mercantilismo e l’ordoliberismo.
    Non paga della colonizzazione economica e monetaria sul resto dell’Ue (qualcuno ci ha visto addirittura una riedizione del piano Funk), la Germania nello scorso decennio ha sfidato direttamente gli Stati Uniti illudendosi di poter guidare la transizione ambientale con le sole rinnovabili, in alleanza con la Cina, spodestando gli Stati Uniti dal controllo del mercato dell’energia.
    Il mondo anglosassone ha reagito duramente, facendo fallire gli accordi di Minsk, come ha ammesso di recente la stessa Merkel, e ottenendo dal febbraio scorso l’escalation di una guerra che la fazione più pericolosa e spregiudicata del potere di Washington, quella dei neocons, aveva iniziato nel 2014 con la rivoluzione colorata di Maidan.

    Il potere americano appare ora profondamente diviso. Una fazione, a cui il vecchio Kissinger non ha mancato di manifestare il proprio appoggio, pare paga dei risultati già ottenuti grazie alla guerra: il ridimensionamento delle ambizioni dell’Ue-Germania e il contemporaneo logoramento della Russia. Essa è consapevole che l’obiettivo del ripristino dell’integrità territoriale Ucraina non potrebbe esser raggiunto se non andando alla guerra nucleare poiché dal punto di vista di Mosca questa è una guerra difensiva da cui dipende la stessa sopravvivenza della Federazione Russa come stato unitario e sovrano.
    La fazione opposta, quella riconducibile ai neocons e agli interessi di alcune grandi corporations (le stesse che sinora hanno detenuto il monopolio della narrazione), vuole invece andare fino in fondo, perché sa che con l’ascesa dei Brics, questa è forse l’ultima occasione per realizzare il loro progetto. A volere la disintegrazione della Russia sono quegli ambienti economici e finanziari che coltivano il progetto di un governo mondiale diretto nei fatti da loro stessi, un governo globale dei miliardari basato sulla sorveglianza digitale e sul sistema dei crediti sociali, che soppiantano i diritti umani inalienabili, non riconoscendo più l’essere umano come persona.
    Dunque, le chiavi della pace paiono in mani americane. A seconda di quale fazione, trasversale alle forze politiche, prevarrà negli Stati Uniti si potrebbe avere o una pace a portata di mano e a breve termine, oppure una lunga stagione di conflitti destinata a sfociare, dopo anni o decenni, chissà quando, in uno scontro diretto all’ultimo sangue fra Stati Uniti e Russia.
    Con in mezzo una Germania in crisi che sta divenendo una bomba sociale capace di destabilizzare, nuovamente, l’intera Europa.

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