
Nel precedente articolo Giorgio Merlo ha rilanciato il tema della necessità di raccogliere e attualizzare l’eredità politica della sinistra sociale della Democrazia cristiana alla quale facevano riferimento anche importanti settori del cattolicesimo sociale organizzato nella CISL e nelle ACLI. Tale proposta appare nel contempo valida e giustificata quanto di assai difficile e impegnativa realizzazione.
Parlare di una nuova questione sociale, infatti, significa mettere in discussione un assetto consolidato che non tollera critiche. Significa riproporre l’esigenza di un compromesso fra capitalismo e democrazia, che è stato disdetto unilateralmente dal Capitale. Il capitalismo non è più quello della seconda metà del XX secolo. La globalizzazione e la rivoluzione digitale lo hanno affrancato dalla necessità di dover trovare un compromesso con la politica, con i lavoratori, col resto (il 99%) della società. Il capitalismo 4.0 ha il volto del Forum di Davos, di Bill Gates e compagnia. Dispone di una concentrazione di ricchezza mai vista prima nella storia, del controllo centralizzato delle tecnologie digitali, delle biotecnologie, dei giganti della farmaceutica, degli armamenti, della finanza e controlla in modo ferreo tutta la panoplia mediatica nel mondo occidentale. In tal modo è in grado di dettare la propria agenda ai governi, anche se essa è in contrasto con il bene comune e con i diritti e gli interessi del restante 99% della popolazione.
Dunque, quali spazi rimarrebbero ai nostri giorni per una iniziativa politica focalizzata sulla nuova questione sociale? Gli spazi tollerati e consentiti dal discorso pubblico sono solo quelli atti ad implementare il modello di società e di essere umano che l’elite del nuovo capitalismo ha definito, peraltro in modo pubblico, ma che troppo spesso si preferisce ignorare. Dunque, una nuova sinistra sociale che si limitasse a un tale approccio ben difficilmente potrebbe contribuire a disinnescare un’emergenza sociale ed economica che si sta facendo sempre più minacciosa.
Lo spazio politico a mio avviso c’è, se invece cambia l’approccio. Se si mostra in concreto la non coincidenza a priori, senza discussione, dell’agenda sociale e democratica con quella di un nuovo capitalismo giunto su posizioni così estreme e totalitarie da poter ormai esser definito una forma di comunismo dei miliardari. Un’impresa così ardua richiederebbe la tempra di un Donat-Cattin e un lavoro culturale e formativo realmente condotto in autonomia. Manca purtroppo l’humus adatto affinché le idee che Giorgio Merlo sostiene in modo convincente e coraggioso, possano germogliare in questo tempo. Questo non deve costituire un alibi ma un realistico punto di partenza.
Anche perché il vento cambia velocemente e verrà presto il tempo in cui tutti saremo chiamati a (ri)costruire un modello di società, di economia, di istituzioni, di relazioni internazionali agli antipodi rispetto a quello che i poteri di Davos stanno imponendo dall’alto e con ogni mezzo all’Occidente, incuranti del destino al quale stanno condannando soprattutto noi europei.
Un destino infausto che si può ancora scongiurare, o perlomeno limitare nei suoi effetti più distruttivi, quanto più presto tornerà a sorgere sulla scena politica l’alba di una nuova stagione di un impegno, condotto in autonomia culturale e organizzativa, che trovi nelle istanze popolari, dei ceti sociali intermedi le ragioni della ricerca del bene comune.
Parlare di una nuova questione sociale, infatti, significa mettere in discussione un assetto consolidato che non tollera critiche. Significa riproporre l’esigenza di un compromesso fra capitalismo e democrazia, che è stato disdetto unilateralmente dal Capitale. Il capitalismo non è più quello della seconda metà del XX secolo. La globalizzazione e la rivoluzione digitale lo hanno affrancato dalla necessità di dover trovare un compromesso con la politica, con i lavoratori, col resto (il 99%) della società. Il capitalismo 4.0 ha il volto del Forum di Davos, di Bill Gates e compagnia. Dispone di una concentrazione di ricchezza mai vista prima nella storia, del controllo centralizzato delle tecnologie digitali, delle biotecnologie, dei giganti della farmaceutica, degli armamenti, della finanza e controlla in modo ferreo tutta la panoplia mediatica nel mondo occidentale. In tal modo è in grado di dettare la propria agenda ai governi, anche se essa è in contrasto con il bene comune e con i diritti e gli interessi del restante 99% della popolazione.
Dunque, quali spazi rimarrebbero ai nostri giorni per una iniziativa politica focalizzata sulla nuova questione sociale? Gli spazi tollerati e consentiti dal discorso pubblico sono solo quelli atti ad implementare il modello di società e di essere umano che l’elite del nuovo capitalismo ha definito, peraltro in modo pubblico, ma che troppo spesso si preferisce ignorare. Dunque, una nuova sinistra sociale che si limitasse a un tale approccio ben difficilmente potrebbe contribuire a disinnescare un’emergenza sociale ed economica che si sta facendo sempre più minacciosa.
Lo spazio politico a mio avviso c’è, se invece cambia l’approccio. Se si mostra in concreto la non coincidenza a priori, senza discussione, dell’agenda sociale e democratica con quella di un nuovo capitalismo giunto su posizioni così estreme e totalitarie da poter ormai esser definito una forma di comunismo dei miliardari. Un’impresa così ardua richiederebbe la tempra di un Donat-Cattin e un lavoro culturale e formativo realmente condotto in autonomia. Manca purtroppo l’humus adatto affinché le idee che Giorgio Merlo sostiene in modo convincente e coraggioso, possano germogliare in questo tempo. Questo non deve costituire un alibi ma un realistico punto di partenza.
Anche perché il vento cambia velocemente e verrà presto il tempo in cui tutti saremo chiamati a (ri)costruire un modello di società, di economia, di istituzioni, di relazioni internazionali agli antipodi rispetto a quello che i poteri di Davos stanno imponendo dall’alto e con ogni mezzo all’Occidente, incuranti del destino al quale stanno condannando soprattutto noi europei.
Un destino infausto che si può ancora scongiurare, o perlomeno limitare nei suoi effetti più distruttivi, quanto più presto tornerà a sorgere sulla scena politica l’alba di una nuova stagione di un impegno, condotto in autonomia culturale e organizzativa, che trovi nelle istanze popolari, dei ceti sociali intermedi le ragioni della ricerca del bene comune.
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