La questione sociale nel capitalismo 4.0



Giuseppe Davicino    20 Maggio 2022       0

Nel precedente articolo Giorgio Merlo ha rilanciato il tema della necessità di raccogliere e attualizzare l’eredità politica della sinistra sociale della Democrazia cristiana alla quale facevano riferimento anche importanti settori del cattolicesimo sociale organizzato nella CISL e nelle ACLI. Tale proposta appare nel contempo valida e giustificata quanto di assai difficile e impegnativa realizzazione.

Parlare di una nuova questione sociale, infatti, significa mettere in discussione un assetto consolidato che non tollera critiche. Significa riproporre l’esigenza di un compromesso fra capitalismo e democrazia, che è stato disdetto unilateralmente dal Capitale. Il capitalismo non è più quello della seconda metà del XX secolo. La globalizzazione e la rivoluzione digitale lo hanno affrancato dalla necessità di dover trovare un compromesso con la politica, con i lavoratori, col resto (il 99%) della società. Il capitalismo 4.0 ha il volto del Forum di Davos, di Bill Gates e compagnia. Dispone di una concentrazione di ricchezza mai vista prima nella storia, del controllo centralizzato delle tecnologie digitali, delle biotecnologie, dei giganti della farmaceutica, degli armamenti, della finanza e controlla in modo ferreo tutta la panoplia mediatica nel mondo occidentale. In tal modo è in grado di dettare la propria agenda ai governi, anche se essa è in contrasto con il bene comune e con i diritti e gli interessi del restante 99% della popolazione.

Dunque, quali spazi rimarrebbero ai nostri giorni per una iniziativa politica focalizzata sulla nuova questione sociale? Gli spazi tollerati e consentiti dal discorso pubblico sono solo quelli atti ad implementare il modello di società e di essere umano che l’elite del nuovo capitalismo ha definito, peraltro in modo pubblico, ma che troppo spesso si preferisce ignorare. Dunque, una nuova sinistra sociale che si limitasse a un tale approccio ben difficilmente potrebbe contribuire a disinnescare un’emergenza sociale ed economica che si sta facendo sempre più minacciosa.

Lo spazio politico a mio avviso c’è, se invece cambia l’approccio. Se si mostra in concreto la non coincidenza a priori, senza discussione, dell’agenda sociale e democratica con quella di un nuovo capitalismo giunto su posizioni così estreme e totalitarie da poter ormai esser definito una forma di comunismo dei miliardari. Un’impresa così ardua richiederebbe la tempra di un Donat-Cattin e un lavoro culturale e formativo realmente condotto in autonomia. Manca purtroppo l’humus adatto affinché le idee che Giorgio Merlo sostiene in modo convincente e coraggioso, possano germogliare in questo tempo. Questo non deve costituire un alibi ma un realistico punto di partenza.

Anche perché il vento cambia velocemente e verrà presto il tempo in cui tutti saremo chiamati a (ri)costruire un modello di società, di economia, di istituzioni, di relazioni internazionali agli antipodi rispetto a quello che i poteri di Davos stanno imponendo dall’alto e con ogni mezzo all’Occidente, incuranti del destino al quale stanno condannando soprattutto noi europei.

Un destino infausto che si può ancora scongiurare, o perlomeno limitare nei suoi effetti più distruttivi, quanto più presto tornerà a sorgere sulla scena politica l’alba di una nuova stagione di un impegno, condotto in autonomia culturale e organizzativa, che trovi nelle istanze popolari, dei ceti sociali intermedi le ragioni della ricerca del bene comune.


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