Un cambio nel cuore dell’Europa per fermare la guerra



Giuseppe Davicino    15 Aprile 2022       0

La guerra è sempre un crimine, per sua natura. Non fa eccezione quella in Ucraina. Di fronte a tanto orrore serve un dibattito sulla scelta migliore da fare. Siamo di fronte a un bivio di portata storica. Si deve valutare (con una decisione con cui l’Europa si gioca l’osso del collo perché potrebbe comportare come avverte l’ambasciatore Marco Carnelos, il “terzo suicidio dell’Europa”, ovvero la terza devastazione dell’Europa a causa di una guerra mondiale) se Putin costituisca una minaccia estrema alla pace mondiale, un conquistatore seriale che, se non fermato con ogni mezzo, finirà per attaccare i Paesi baltici, la Polonia e ogni territorio che rientra il quel presunto disegno, oppure se la genesi di questa “terza guerra mondiale a pezzi”, di cui la questione Ucraina non rappresenta che un pezzo, abbia altre cause.

La seconda ipotesi, mi pare quella più fondata, non solo perché la prima porta dritti allo scontro diretto NATO- Russia, ma perché credo manchino i presupposti perché la prima ipotesi sussista.

Dopo il 1989 di fatto gli Stati Uniti si sono trovati ad essere l’unica superpotenza rimasta. Nel resto del mondo da allora nessuno ha messo in discussione la leadership americana per diversi anni. Tempo nel quale gli USA avrebbero dovuto costruire un ordine mondiale equo, riconoscere sfere d’influenza regionali, stabilizzare, integrare, rispettare e valorizzazione le diversità, agire in una logica win-win, di reciproco vantaggio, con il resto del mondo. Invece ha finito col prevalere una logica da Far West, sicuramente anche contro la volontà del popolo americano che di guerre continue non ne voleva più sapere dopo il Vietnam. Così si è assistito a una globalizzazione selvaggia, a una speculazione finanziaria dai tratti talora banditeschi, che ha più volte razziato nel corso degli anni le principali borse asiatiche, alle guerre in Medio Oriente innescate con falsi pretesti e quasi sempre al di fuori della cornice della legalità internazionale, agli ambigui rapporti della CIA con il terrorismo “islamico”. E l’enorme concentrazione di ricchezza in mano di pochissimi soggetti privati, prodotta dalla combinazione tra globalizzazione dei commerci e digitalizzazione dell’economia, ha dato forza a una perversa idea di ordine mondiale, nella quale il resto del mondo non poteva riconoscersi e, a ben vedere, neanche i ceti lavoratori e popolari occidentali.

Un disegno di dominio sull’intera umanità, che ha come protagonisti le famiglie che dominano la finanza, i vertici delle multinazionali degli armamenti, del digitale, della farmaceutica, della comunicazione, e che ha nel Forum di Davos uno dei suoi maggiori centri di elaborazione strategica. Questi soggetti hanno dettato la linea ai governi occidentali in modo sempre più invasivo, usurpando il potere delle istituzioni, portandoli a comprimere salari, welfare, diritti e libertà fondamentali e a sostenere le loro guerre, necessarie all’ordine mondiale che stanno tentando di imporre.

Visto da questa angolazione credo risulti abbastanza chiaro che si è arrivati alla guerra in Ucraina nel 2014 e all’attuale invasione russa, a causa di una volontà che non ha voluto sentire ragione per la pace, essendo il suo obiettivo la capitolazione della Russia, considerata come il penultimo ostacolo (l’ultimo è la Cina) al governo mondiale dei miliardari che si prefigge di realizzare gli aberranti programmi transumani di Davos. Per il fallimento degli accordi di pace in Ucraina l’Europa sta iniziando a pagare un prezzo altissimo in termini economici e sociali e rischia di venire trascinata in un grande conflitto. Ma non sarà la guerra della libertà contro la tirannia. E neanche Stati Uniti contro Russia. Sarà, e già è, la guerra dei Rothschild, dei Bill Gates, degli Schwab (il fondatore e direttore del Forum di Davos, ndr) contro l’umanità. Sarà la guerra fra i fautori del governo unico mondiale del club degli ultra-ricchi contro i sostenitori di un ordine mondiale multipolare, costituito principalmente dai Brics, ma a cui potrebbero auspicabilmente aggiungersi Stati Uniti ed Europa.

Se così stanno le cose, appare chiaro che si potrà interrompere la corsa verso il baratro della guerra solo se avverrà, in tempo utile, un cambio nel cuore dell’Occidente che restituisca alle democrazie il controllo sui loro governi. Il Partito democratico americano è la chiave di tutto. Se troverà la forza di rimpiazzare un presidente palesemente non più all’altezza e con enormi conflitti d’interesse anche familiare col regime ucraino, e di estromettere quei clan che hanno bloccato la normale dialettica democratica al suo interno negli ultimi 30 anni, allora la pace avrà qualche chances in più.

Se questa appare la posta in gioco, trovo ancora più preoccupante il fatto che non solo nell’intero sistema dei media non vi sia un reale dibattito fra posizioni diverse, se non in virtù di qualche caso personale, ma che il dibattito sia pressoché assente all’interno dei partiti e delle organizzazioni della società civile di qualsiasi natura. Meno che mai l’opzione di portare l’Italia su una posizione di neutralità verso il conflitto ucraino, come Israele e Turchia, viene anche solo nominata, nonostante vi siano molte ragioni per sostenerla. Voci dissonanti che si collegano, minoranze organizzate con portavoce credibili e preparati, contraddittori autentici sui media: la mancanza di queste cose credo comporti un impoverimento della democrazia e, purtroppo, ci porterà a subire tragedie di cui avremo il rimorso di non aver fatto abbastanza per evitarle, nel momento in cui si sarebbe ancora potuto farlo.


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