La sorpresa – ha scritto il quotidiano Le Figaro – è che non c'è alcuna sorpresa. Un po' tutti, in effetti, pronosticavano un ballottaggio tra Emmanuel Macron e Marine Le Pen. E così sarà: esattamente come alle ultime presidenziali, quelle del 2017.
In questo primo turno - cui ha partecipato il 75 per cento degli elettori - Macron, presidente in carica, esce in testa con il 27 per cento. Quattro punti in più della Le Pen che con il suo Rassemblement national (Rn) consegue il 23. Terzo posto per Jean-Luc Melenchon, capofila della France insoumise (Lfi) che sfiora il 22 per cento e quarta piazza occupata, con il sette per cento, da Erik Zemmour, l'ex giornalista del Figaro prestato alla politica ed oggi capofila ultraconservatore.
Ridotti ai minimi termini gollisti e socialisti, i due storici partiti della Quinta repubblica. I primi con Valerie Pecresse, presidente della regione Ile-de-France, raccolgono uno striminzito 4,8 per cento. I secondi con Anne Hidalgo, sindaco di Parigi, crollano sotto la soglia del due: un risultato disastroso con il Partito socialista che finisce appena sopra i trozkisti. Completano il dato elettorale l'ecologista Yannick Jadot con il 4,5 per cento, il centrista Jean Lassalle al tre, nonché - entrambi attorno al due per cento - il sovranista Nicolas Dupont-Aignan e il comunista Fabien Roussel. Unica, magra consolazione per il Pcf aver superato, e non accadeva dagli anni Settanta, i “cugini” socialisti.
Questo l'esito della prima tornata delle presidenziali 2022 che segna il tramonto del tradizionale bipolarismo, centro-destra e centro-sinistra, rimpiazzato da un assetto tripolare con un centro riformista cui si contrappone a destra il sovranismo nazionalista del Rn e a sinistra il radicalismo sociale della Lfi. Le prossime elezioni legislative - a doppio turno il 12 e il 19 giugno - forniranno probabilmente ulteriori lumi sull'evolversi del quadro politico transalpino. Non si può peraltro escludere che gollisti e socialisti, forti, almeno sinora, di un miglior radicamento territoriale rispetto al partito di Macron, possano recuperare terreno sino al punto da rendersi decisivi per la formazione del nuovo governo.
Ma torniamo alla corsa verso l'Eliseo con il ballottaggio del prossimo 24 aprile che presenta una nuova sfida Macron-Le Pen. In passato capitò a Valery Giscard d'Estaing e a François Mitterrand di ritrovarsi faccia a faccia in due elezioni consecutive: nel 1974 prevalse il primo e nel 1981 vinse il secondo. Macron conta ovviamente di fare il bis del 2017 quando surclassò senza troppi problemi la rivale. Da allora molto è però cambiato.
A differenza di cinque anni fa, Marine Le Pen oggi pare in grado di contendere fino in fondo la presidenza, disponendo del sostegno di Zemmour e di Dupont-Aignan, oltre che di una possibile riserva di consensi, nascosta tra gli elettori della France insoumise, ostili alla globalizzazione. Certo, Melenchon, per non lasciar dubbi, ha ripetuto ben tre volte che nessun voto dovrà andare alla Le Pen ma è probabile che parte del suo elettorato non segua questa indicazione. D'altronde le consegne di voto lasciano spesso il tempo che trovano.
Macron ha incassato l'esplicito sostegno di Pecresse, Hidalgo, Jadot e Roussel e persino l'ex presidente Nicolas Sarkozy è schierato dalla sua parte. Adesso però dovrà meglio declinare il suo programma essendo chiamato a convincere i francesi, preoccupati soprattutto dello scarso potere di acquisto, che la sua ricetta liberale ed europeista è davvero migliore del protezionismo sovranista appannaggio della sua avversaria. Marine Le Pen cerca intanto di allettare le classi popolari con l'aumento del salario minimo per legge (lo Smic), l'età pensionabile a 60 anni e la riduzione della Tva sui carburanti.
Il suo tallone d'Achille resta però la collocazione europea. Come minimo una sua eventuale vittoria porrà la Francia tra gli euroscettici, frenando il percorso di integrazione. Difesa comune ed indipendenza energetica sono invece i pilastri di una strategia europeista che può far vincere Macron, specie considerando la grave situazione internazionale.
Rispetto a cinque anni fa, quando Macron filava con il vento in poppa, oggi risulta arduo fare previsioni e infatti i sondaggi si tengono ben abbottonati. Si ipotizza uno scarto - 52 a 48 per cento - a favore del presidente uscente ma non si escludono altri scenari. Del resto, dopo la Brexit e l'elezione di Donald Trump tutto è possibile. Persino che i francesi – delusi dal riformismo macroniano a volte lontano dalle loro inquietudini quotidiane - puntino le proprie carte su Marine Le Pen. Tra due settimane avremo la risposta.
In questo primo turno - cui ha partecipato il 75 per cento degli elettori - Macron, presidente in carica, esce in testa con il 27 per cento. Quattro punti in più della Le Pen che con il suo Rassemblement national (Rn) consegue il 23. Terzo posto per Jean-Luc Melenchon, capofila della France insoumise (Lfi) che sfiora il 22 per cento e quarta piazza occupata, con il sette per cento, da Erik Zemmour, l'ex giornalista del Figaro prestato alla politica ed oggi capofila ultraconservatore.
Ridotti ai minimi termini gollisti e socialisti, i due storici partiti della Quinta repubblica. I primi con Valerie Pecresse, presidente della regione Ile-de-France, raccolgono uno striminzito 4,8 per cento. I secondi con Anne Hidalgo, sindaco di Parigi, crollano sotto la soglia del due: un risultato disastroso con il Partito socialista che finisce appena sopra i trozkisti. Completano il dato elettorale l'ecologista Yannick Jadot con il 4,5 per cento, il centrista Jean Lassalle al tre, nonché - entrambi attorno al due per cento - il sovranista Nicolas Dupont-Aignan e il comunista Fabien Roussel. Unica, magra consolazione per il Pcf aver superato, e non accadeva dagli anni Settanta, i “cugini” socialisti.
Questo l'esito della prima tornata delle presidenziali 2022 che segna il tramonto del tradizionale bipolarismo, centro-destra e centro-sinistra, rimpiazzato da un assetto tripolare con un centro riformista cui si contrappone a destra il sovranismo nazionalista del Rn e a sinistra il radicalismo sociale della Lfi. Le prossime elezioni legislative - a doppio turno il 12 e il 19 giugno - forniranno probabilmente ulteriori lumi sull'evolversi del quadro politico transalpino. Non si può peraltro escludere che gollisti e socialisti, forti, almeno sinora, di un miglior radicamento territoriale rispetto al partito di Macron, possano recuperare terreno sino al punto da rendersi decisivi per la formazione del nuovo governo.
Ma torniamo alla corsa verso l'Eliseo con il ballottaggio del prossimo 24 aprile che presenta una nuova sfida Macron-Le Pen. In passato capitò a Valery Giscard d'Estaing e a François Mitterrand di ritrovarsi faccia a faccia in due elezioni consecutive: nel 1974 prevalse il primo e nel 1981 vinse il secondo. Macron conta ovviamente di fare il bis del 2017 quando surclassò senza troppi problemi la rivale. Da allora molto è però cambiato.
A differenza di cinque anni fa, Marine Le Pen oggi pare in grado di contendere fino in fondo la presidenza, disponendo del sostegno di Zemmour e di Dupont-Aignan, oltre che di una possibile riserva di consensi, nascosta tra gli elettori della France insoumise, ostili alla globalizzazione. Certo, Melenchon, per non lasciar dubbi, ha ripetuto ben tre volte che nessun voto dovrà andare alla Le Pen ma è probabile che parte del suo elettorato non segua questa indicazione. D'altronde le consegne di voto lasciano spesso il tempo che trovano.
Macron ha incassato l'esplicito sostegno di Pecresse, Hidalgo, Jadot e Roussel e persino l'ex presidente Nicolas Sarkozy è schierato dalla sua parte. Adesso però dovrà meglio declinare il suo programma essendo chiamato a convincere i francesi, preoccupati soprattutto dello scarso potere di acquisto, che la sua ricetta liberale ed europeista è davvero migliore del protezionismo sovranista appannaggio della sua avversaria. Marine Le Pen cerca intanto di allettare le classi popolari con l'aumento del salario minimo per legge (lo Smic), l'età pensionabile a 60 anni e la riduzione della Tva sui carburanti.
Il suo tallone d'Achille resta però la collocazione europea. Come minimo una sua eventuale vittoria porrà la Francia tra gli euroscettici, frenando il percorso di integrazione. Difesa comune ed indipendenza energetica sono invece i pilastri di una strategia europeista che può far vincere Macron, specie considerando la grave situazione internazionale.
Rispetto a cinque anni fa, quando Macron filava con il vento in poppa, oggi risulta arduo fare previsioni e infatti i sondaggi si tengono ben abbottonati. Si ipotizza uno scarto - 52 a 48 per cento - a favore del presidente uscente ma non si escludono altri scenari. Del resto, dopo la Brexit e l'elezione di Donald Trump tutto è possibile. Persino che i francesi – delusi dal riformismo macroniano a volte lontano dalle loro inquietudini quotidiane - puntino le proprie carte su Marine Le Pen. Tra due settimane avremo la risposta.
Analisi puntuale e dettagliata dell’assetto politico francese in attesa del verdetto del secondo turno elettorale.
All’incertezza dovuta alla frammentazione e al diverso orientamento delle forze in campo si aggiunge il convitato di pietra della guerra ucraina, che, oltre ad influenzare l’esito elettorale d’oltralpe, pone anche una seria ipoteca sull’assetto UE anche alla luce del risultato elettorale ungherese con riconferma di Orban.
Analisi lucida e completa sulla quale non si può non concordare che fra 2 settimane tutto è possibile.