La Pace è un valore assoluto.
La guerra è di conseguenza un male assoluto, che porta morte e distruzioni, paura e sofferenze.
La Pace va quindi mantenuta sino allo sfinimento, la guerra va evitata sino allo sfinimento. Questo pensano, e devono fare di conseguenza, i costruttori di Pace.
Da qualche giorno il male assoluto si è materializzato in Ucraina. Tutti gli spazi dei media sono occupati dalle notizie dell’invasione russa, dei bombardamenti, degli scontri armati, dei comunicati da Mosca, Bruxelles, Washington, Pechino. Alle notizie si mescola la propaganda. O forse ha ragione Lucio Caracciolo, direttore di “Limes”, nel dire che in guerra ogni notizia è propaganda. Tutti noi che abbiamo avuto la fortuna di conoscere solo tempi di pace in Europa, almeno sino alla sporca guerra (ma esiste una guerra pulita?...) tra nazionalismi nell’ex Jugoslavia, dobbiamo domandarci come sia possibile non capire i vantaggi della Pace e i danni irreparabili portati dalla guerra.
Il cattivo della storia che stiamo vivendo è Vladimir Putin. Almeno così viene considerato da governi, politici, media occidentali. Non riporto dichiarazioni perché ne ascoltiamo a decine in ogni notiziario. Il capo indiscusso del Cremlino, al potere ininterrottamente da 23 anni, ha preparato e ordinato l’invasione dell’Ucraina: le sue responsabilità sono evidenti. “Chi alza le mani passa dalla parte del torto”, ci spiegavano genitori e insegnanti. Estendendo questo precetto per ragazzi ai rapporti tra gli Stati, l’invasore Putin ha torto a prescindere. Ma non possiamo non domandarci perché lo ha fatto, trattandosi di una scelta grave e rischiosa, che potrebbe mettere a repentaglio la sicurezza anche della Russia e quindi il suo stesso potere.
Il presidente russo lo ha spiegato in un articolato discorso che vale la pena ascoltare (CLICCA QUI). Alcune parti sono evidenti forzature. Come ad esempio considerare l’Ucraina una sorta di giardino di casa, “parte inalienabile della storia, cultura e spazio spirituale” della Russia, quasi negandole un autonomo percorso statuale tra i popoli slavi. Che il nazionalismo ucraino sia distinto e conflittuale con i russi lo si vide bene durante la Seconda guerra mondiale, quando nel 1941 i tedeschi attuarono l’Operazione Barbarossa, l’avanzata verso Mosca per conquistare lo “spazio vitale” del Reich: gli ucraini fornirono agli invasori almeno 30.000 soldati inquadrati come ausiliari SS, che contribuirono allo sterminio sistematico degli ebrei russi. Le ricostruzioni storiche parlano di due milioni di morti. Questo riferimento potrebbe spiegare l’altrimenti incomprensibile accusa di “nazisti” rivolta da Putin ai governanti ucraini.
Ma su un punto è stato chiarissimo, ripetendo un concetto più volte espresso negli ultimi anni: il previsto ingresso dell’Ucraina nella NATO è “una minaccia inaccettabile per la Russia”. Che sia un pericolo vero, esagerato o presunto non è importante. Quello che conta è come viene percepito. Dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica, quasi tutti i Paesi del disciolto Patto di Varsavia hanno fatto in tempi successivi il doppio passo dell’ingresso nell’Unione Europea e nell’Alleanza Atlantica. Il sistema di difesa occidentale si è esteso lungo tutto il confine con la Russia: Estonia, Lettonia, Lituania, Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Ungheria, Slovenia, Romania, Bulgaria. E non ci sono state proteste da Mosca: Putin ha fatto buon viso a cattivo gioco, rendendosi conto di non potersi opporre al volere di nazioni sovrane e indipendenti. Invece quando è arrivato il turno dell’Ucraina, considerata un limite invalicabile, la risposta è stata la guerra. L’autocrate di Mosca lamenta di non aver avuto alcuna seria apertura diplomatica al suo appello “Non fate entrare l’Ucraina nella NATO”. Le risposte ricevute sono state tutte varianti di “Non possiamo impedire a una nazione sovrana di chiedere ed ottenere l’ingresso nella NATO”. Concetto ineccepibile sul piano dei princìpi democratici. Ma non risolutivo del problema posto, che di fatto è stato sottovalutato o ignorato. Putin ha fatto il paio con l’indisponibilità dell’Occidente a risolvere la questione dell’autonomia delle regioni dell’Ucraina orientale, popolate quasi interamente da russi. Ci hanno raccontato i notiziari che i primi profughi a uscire dal Paese sono stati 70.000 abitanti del Donbass, che di fronte alla minaccia di invasione russa si sono rifugiati… in Russia. È evidente che in quei territori gli abitanti temono le milizie nazionaliste ucraine e non gli invasori. Se l’autodeterminazione dei popoli è il valore di riferimento, lo deve essere a 360°, non buono per alcuni e non per altri. Consideriamo che l’etnia russa è prevalente non solo nelle regioni più a est, ma anche nel sud del Paese che affaccia sul Mar Nero.
L’Ucraina è dunque una realtà complessa, in cui si sono giocate e si stanno giocando diverse partite. L’intervista a Giuseppe Sacco (CLICCA QUI) e l’intervento di Giuseppe Davicino (CLICCA QUI) danno qualche elemento di lettura dei fatti allargando un po’ la dominante narrazione dei media occidentali, appiattita sul ritornello americano.
Domandiamoci cosa avrebbe più giovato al mantenimento della Pace, bene assoluto da difendere: considerare la posizione di Putin e concordare uno status di neutralità dell’Ucraina (modello Finlandia, per intenderci), accompagnato da reciproche concessioni economiche in suo favore? oppure ribadire con fermezza il sacro principio della piena sovranità di uno Stato? Scegliendo questa seconda opzione, non possiamo dire che l’Occidente ha provocato la guerra, ma certamente non ha fatto nulla per evitarla. Ammesso che dalle parti della Casa Bianca la si volesse evitare.
Perché un’altra cosa va detta con chiarezza. I principali danni della guerra si avranno nell’Ucraina, teatro delle ostilità che – non vogliamo pensare il contrario – rimarranno lì circoscritte. Poi a ruota si avranno ripercussioni in Russia, dove le sanzioni economiche peggioreranno le condizioni di un popolo non ricco, e in Europa, per l’inevitabile crisi energetica. Tra i Paesi europei l’Italia, priva di proprie risorse, è la più esposta, con il 43% del gas importato dalla Russia. Le bollette sono già raddoppiate, ma si parla di importi quadruplicati, con costi insostenibili per gran parte delle famiglie e delle imprese. Rischiamo seriamente di compromettere la ripresa economica del post pandemia e di entrare in un buio periodo di recessione.
Gli USA sono lontani, non sentiranno questi contraccolpi. Al limite l’industria bellica aumenterà i fatturati, contribuendo ad incrementare quel 25% di ricchezza mondiale che rappresenta e che vuole difendere con ogni mezzo nella competizione mondiale, come scrive Pierluigi Fagan (CLICCA QUI). Ma qui in Europa ci vorrebbe uno scatto d’orgoglio per una fattiva politica di Pace e di cooperazione economica, che passa anche da una comune strategia di difesa, senza aver sempre la necessità di appiattirsi sull’alleato americano. Cambiano i presidenti a Washington, ma che ci sia Trump o Biden, non muta il ruolo subalterno dell’Europa, ostacolata nel costruirsi come soggetto autonomo, forte della sua storia e cultura, dei suoi 400 milioni di abitanti, del suo peso economico.
Lamentiamo da tempo che manchi una vera Europa politica; quella che abbiamo potremmo al limite considerarla un’Europa mercantile. Ma mercanti intelligenti, che sanno fare i propri interessi, capirebbero che forti scelte comunitarie porterebbero più ricchezza o minori spese, il che è lo stesso. Un esempio? L’Università di Dublino ha pubblicato uno studio che dimostra come solo riorganizzando la distribuzione e lo stoccaggio dell’energia a livello europeo, e non parcellizzato nei confini degli Stati, si otterrebbe un risparmio del 32%. Parliamo di cifre enormi – altro che PNRR – che opportunamente indirizzate, permetterebbero una ripresa economica senza eguali.
Per fare scelte economiche di tale portata necessita una lungimirante visione politica. E qui casca l’asino. Abbiamo visto che, in ossequio a una distorta concezione globalista delle libertà individuali, l’Unione europea non è riuscita neppure a scrivere nella sua Costituzione che proviene da comuni radici cristiane. Un dato di fatto, come scrivere che l’acqua è liquida, ma su cui non si è convenuto, disconoscendo la propria identità nel delirio del “politicamente corretto”.
Ci vorrebbero veri statisti in Europa, purtroppo non se ne vedono. L’unica che si poteva inserire nella categoria è andata in pensione da qualche mese.
Se mancano nuovi “giganti” capaci di guardare lontano, si potrebbe supplire anche con “nani” capaci di salire sulle spalle di “giganti” del passato. Ma al momento paiono tutti sprofondati nei bassifondi degli egoismi nazionali, se non del servilismo opportunista verso poteri esterni.
La guerra è di conseguenza un male assoluto, che porta morte e distruzioni, paura e sofferenze.
La Pace va quindi mantenuta sino allo sfinimento, la guerra va evitata sino allo sfinimento. Questo pensano, e devono fare di conseguenza, i costruttori di Pace.
Da qualche giorno il male assoluto si è materializzato in Ucraina. Tutti gli spazi dei media sono occupati dalle notizie dell’invasione russa, dei bombardamenti, degli scontri armati, dei comunicati da Mosca, Bruxelles, Washington, Pechino. Alle notizie si mescola la propaganda. O forse ha ragione Lucio Caracciolo, direttore di “Limes”, nel dire che in guerra ogni notizia è propaganda. Tutti noi che abbiamo avuto la fortuna di conoscere solo tempi di pace in Europa, almeno sino alla sporca guerra (ma esiste una guerra pulita?...) tra nazionalismi nell’ex Jugoslavia, dobbiamo domandarci come sia possibile non capire i vantaggi della Pace e i danni irreparabili portati dalla guerra.
Il cattivo della storia che stiamo vivendo è Vladimir Putin. Almeno così viene considerato da governi, politici, media occidentali. Non riporto dichiarazioni perché ne ascoltiamo a decine in ogni notiziario. Il capo indiscusso del Cremlino, al potere ininterrottamente da 23 anni, ha preparato e ordinato l’invasione dell’Ucraina: le sue responsabilità sono evidenti. “Chi alza le mani passa dalla parte del torto”, ci spiegavano genitori e insegnanti. Estendendo questo precetto per ragazzi ai rapporti tra gli Stati, l’invasore Putin ha torto a prescindere. Ma non possiamo non domandarci perché lo ha fatto, trattandosi di una scelta grave e rischiosa, che potrebbe mettere a repentaglio la sicurezza anche della Russia e quindi il suo stesso potere.
Il presidente russo lo ha spiegato in un articolato discorso che vale la pena ascoltare (CLICCA QUI). Alcune parti sono evidenti forzature. Come ad esempio considerare l’Ucraina una sorta di giardino di casa, “parte inalienabile della storia, cultura e spazio spirituale” della Russia, quasi negandole un autonomo percorso statuale tra i popoli slavi. Che il nazionalismo ucraino sia distinto e conflittuale con i russi lo si vide bene durante la Seconda guerra mondiale, quando nel 1941 i tedeschi attuarono l’Operazione Barbarossa, l’avanzata verso Mosca per conquistare lo “spazio vitale” del Reich: gli ucraini fornirono agli invasori almeno 30.000 soldati inquadrati come ausiliari SS, che contribuirono allo sterminio sistematico degli ebrei russi. Le ricostruzioni storiche parlano di due milioni di morti. Questo riferimento potrebbe spiegare l’altrimenti incomprensibile accusa di “nazisti” rivolta da Putin ai governanti ucraini.
Ma su un punto è stato chiarissimo, ripetendo un concetto più volte espresso negli ultimi anni: il previsto ingresso dell’Ucraina nella NATO è “una minaccia inaccettabile per la Russia”. Che sia un pericolo vero, esagerato o presunto non è importante. Quello che conta è come viene percepito. Dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica, quasi tutti i Paesi del disciolto Patto di Varsavia hanno fatto in tempi successivi il doppio passo dell’ingresso nell’Unione Europea e nell’Alleanza Atlantica. Il sistema di difesa occidentale si è esteso lungo tutto il confine con la Russia: Estonia, Lettonia, Lituania, Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Ungheria, Slovenia, Romania, Bulgaria. E non ci sono state proteste da Mosca: Putin ha fatto buon viso a cattivo gioco, rendendosi conto di non potersi opporre al volere di nazioni sovrane e indipendenti. Invece quando è arrivato il turno dell’Ucraina, considerata un limite invalicabile, la risposta è stata la guerra. L’autocrate di Mosca lamenta di non aver avuto alcuna seria apertura diplomatica al suo appello “Non fate entrare l’Ucraina nella NATO”. Le risposte ricevute sono state tutte varianti di “Non possiamo impedire a una nazione sovrana di chiedere ed ottenere l’ingresso nella NATO”. Concetto ineccepibile sul piano dei princìpi democratici. Ma non risolutivo del problema posto, che di fatto è stato sottovalutato o ignorato. Putin ha fatto il paio con l’indisponibilità dell’Occidente a risolvere la questione dell’autonomia delle regioni dell’Ucraina orientale, popolate quasi interamente da russi. Ci hanno raccontato i notiziari che i primi profughi a uscire dal Paese sono stati 70.000 abitanti del Donbass, che di fronte alla minaccia di invasione russa si sono rifugiati… in Russia. È evidente che in quei territori gli abitanti temono le milizie nazionaliste ucraine e non gli invasori. Se l’autodeterminazione dei popoli è il valore di riferimento, lo deve essere a 360°, non buono per alcuni e non per altri. Consideriamo che l’etnia russa è prevalente non solo nelle regioni più a est, ma anche nel sud del Paese che affaccia sul Mar Nero.
L’Ucraina è dunque una realtà complessa, in cui si sono giocate e si stanno giocando diverse partite. L’intervista a Giuseppe Sacco (CLICCA QUI) e l’intervento di Giuseppe Davicino (CLICCA QUI) danno qualche elemento di lettura dei fatti allargando un po’ la dominante narrazione dei media occidentali, appiattita sul ritornello americano.
Domandiamoci cosa avrebbe più giovato al mantenimento della Pace, bene assoluto da difendere: considerare la posizione di Putin e concordare uno status di neutralità dell’Ucraina (modello Finlandia, per intenderci), accompagnato da reciproche concessioni economiche in suo favore? oppure ribadire con fermezza il sacro principio della piena sovranità di uno Stato? Scegliendo questa seconda opzione, non possiamo dire che l’Occidente ha provocato la guerra, ma certamente non ha fatto nulla per evitarla. Ammesso che dalle parti della Casa Bianca la si volesse evitare.
Perché un’altra cosa va detta con chiarezza. I principali danni della guerra si avranno nell’Ucraina, teatro delle ostilità che – non vogliamo pensare il contrario – rimarranno lì circoscritte. Poi a ruota si avranno ripercussioni in Russia, dove le sanzioni economiche peggioreranno le condizioni di un popolo non ricco, e in Europa, per l’inevitabile crisi energetica. Tra i Paesi europei l’Italia, priva di proprie risorse, è la più esposta, con il 43% del gas importato dalla Russia. Le bollette sono già raddoppiate, ma si parla di importi quadruplicati, con costi insostenibili per gran parte delle famiglie e delle imprese. Rischiamo seriamente di compromettere la ripresa economica del post pandemia e di entrare in un buio periodo di recessione.
Gli USA sono lontani, non sentiranno questi contraccolpi. Al limite l’industria bellica aumenterà i fatturati, contribuendo ad incrementare quel 25% di ricchezza mondiale che rappresenta e che vuole difendere con ogni mezzo nella competizione mondiale, come scrive Pierluigi Fagan (CLICCA QUI). Ma qui in Europa ci vorrebbe uno scatto d’orgoglio per una fattiva politica di Pace e di cooperazione economica, che passa anche da una comune strategia di difesa, senza aver sempre la necessità di appiattirsi sull’alleato americano. Cambiano i presidenti a Washington, ma che ci sia Trump o Biden, non muta il ruolo subalterno dell’Europa, ostacolata nel costruirsi come soggetto autonomo, forte della sua storia e cultura, dei suoi 400 milioni di abitanti, del suo peso economico.
Lamentiamo da tempo che manchi una vera Europa politica; quella che abbiamo potremmo al limite considerarla un’Europa mercantile. Ma mercanti intelligenti, che sanno fare i propri interessi, capirebbero che forti scelte comunitarie porterebbero più ricchezza o minori spese, il che è lo stesso. Un esempio? L’Università di Dublino ha pubblicato uno studio che dimostra come solo riorganizzando la distribuzione e lo stoccaggio dell’energia a livello europeo, e non parcellizzato nei confini degli Stati, si otterrebbe un risparmio del 32%. Parliamo di cifre enormi – altro che PNRR – che opportunamente indirizzate, permetterebbero una ripresa economica senza eguali.
Per fare scelte economiche di tale portata necessita una lungimirante visione politica. E qui casca l’asino. Abbiamo visto che, in ossequio a una distorta concezione globalista delle libertà individuali, l’Unione europea non è riuscita neppure a scrivere nella sua Costituzione che proviene da comuni radici cristiane. Un dato di fatto, come scrivere che l’acqua è liquida, ma su cui non si è convenuto, disconoscendo la propria identità nel delirio del “politicamente corretto”.
Ci vorrebbero veri statisti in Europa, purtroppo non se ne vedono. L’unica che si poteva inserire nella categoria è andata in pensione da qualche mese.
Se mancano nuovi “giganti” capaci di guardare lontano, si potrebbe supplire anche con “nani” capaci di salire sulle spalle di “giganti” del passato. Ma al momento paiono tutti sprofondati nei bassifondi degli egoismi nazionali, se non del servilismo opportunista verso poteri esterni.
Congratulazioni per questo articolo lucido che di più non si può, e coraggioso, tenendo conto delle comunicazioni mainstream (su tutti i canali radio e tv nessuno escluso). Grazie
Non condivido l’approccio giustificazionista. Molto triste questo continuo cilicio antieuropeo e anti americano.
Risso apre il suo intervento con un omaggio alla pace, formale quanto rituale. E ciò in quanto chiaramente contraddittorio con l’attributo che lo stesso attribuisce alla pace: valore assoluto. Non tanto: direi piuttosto “relativo”, visto che Putin lo ha buttato alle ortiche!
Risso cerca delle attenuanti alla guerra di Putin e non trova di meglio che sottolineare, a suo dire, il nazionalismo filonazista del popolo ucraino, avendo fornito “agli invasori almeno 30.000 soldati inquadrati come ausiliari nelle SS”. A questo punto, perché non aggiungere direttamente il nazismo della Germania di Scholz, e il contributo italiano di “centomila gavette di ghiaccio” all’invasione tedesca della Russia?
Ma c’è un passaggio particolarmente sorprendente. Accennando al discorso di Putin “che vale la pena di ascoltare” riconosce, bontà sua, che “”alcune parti” sono evidenti forzature”. Giovanni Belardelli, docente di Storia delle Dottrine politiche all’Università di Perugia, in una recente intervista mette in evidenza che “Nella rievocazione putiniana, dell’antica storia russo – ucraina fino al IX secolo, c’è una “fortissima manipolazione”, prendendo selettivamente dei pezzi e ignorandone altri. Un uso spregiudicatamente politico della storia. Ma questa in fondo – continua Belardelli – non è una novità: potremmo fare tanti esempi tratti dal passato europeo. L’aspetto interessante è che questo fenomeno che ha caratterizzato la storia europea ‘a un certo punto è finito’: abbiamo smesso di farlo.(…) A Boris Johnson, per fare un esempio paradossale, non verrebbe mai in mente oggi di citare la guerra dei cent’anni e così riprovare a invadere la Francia, anche se in fondo è passato meno tempo di quello che ci separa dalla Rus’ di Kiev.”
Ma il passaggio sorprendente, dal mio punto di vista, è un altro. Quello dove Risso afferma:”Che sia un pericolo vero, esagerato o presunto [l’ingresso dell’Ucraina nella Nato] non è importante. Quello che conta è come viene percepito (sic!). Per chi lamenta che “ci vorrebbero veri statisti in Europa” indicare come uno dei requisiti, che un grande statista dovrebbe avere, quello della “percezione” è quanto meno singolare e discutibile. La politica sull’onda delle percezioni!
Risso sottolinea che l’Ucraina è “una realtà complessa” e auspica per essa una condizione di neutralità modello Finlandia. Peccato che la neutrale Finlandia, insieme alla Svezia, abbia ritenuto opportuno partecipare venerdì 25 febbraio c.a. al vertice Nato sulla crisi ucraina, eccitando “la percezione russa” che subito ha reagito minacciando “gravi conseguenze politico-militari” se dovessero decidere di aderire alla Nato.
Poi cita due interventi, quello di G. Sacco e di G. Davicino. Quest’ultimo, in particolare, chiarisce fin dal titolo la sua posizione, del resto ben nota, e non da ora: “Non dimentichiamo il globalismo occidentale”. Peccato che, se non dimentica quello occidentale, Davicino trascura quello della Russia e della Cina con la loro costante penetrazione, solo per fare un esempio, nel continente africano. E la sempre più forte pressione cinese su Taiwan. A questo proposito, si è chiesto il nostro, che cosa ha determinato l’astensione cinese all’Onu sulla risoluzione che chiedeva di fermare immediatamente le operazioni militari in Ucraina? Il documento iniziale parlava di “condanna”, ma ha dovuto essere sostituito con la parola “deplora”, altrimenti Xi Jinping avrebbe, addirittura, votato contro. Il vecchio adagio andreottiano che “a pensar male si fa peccato, ma quasi sempre si indovina”, mi induce a sospettare che il gigante cinese non poteva condannare apertamente un gesto (quello russo) che, in cuor suo, sta accarezzando da tempo nei riguardi della piccola democrazia di Taiwan! Ma questo, evidentemente, non è globalismo.
Non può, infine, mancare il classico leitmotiv, riflesso di una più generale Weltanschauung: quello della “dominante narrazione dei media occidentali, appiattita sul ritornello americano”. Questo ritornello avrebbe fatto sì che fra le due ipotesi contemplate da Risso si scegliesse “il sacro principio (sembra detto con una vena di ironia!) della piena sovranità di uno Stato” (personalmente preferisco parlare di ‘autodeterminazione di un popolo’). A causa di questa scelta Risso conclude che “non possiamo dire che l’Occidente ha provocato la guerra, ma certamente non ha fatto nulla per evitarla. Ammesso che dalle parti della CasaBianca la si volesse evitare.”
Marco Minniti, che ritengo non possa essere accusato di filoamericanismo acritico, ha recentemente affermato: “…non c’è nessun punto di Pil che può essere scambiato con la parola libertà, nessun barile di petrolio o nessun metro cubo di gas può essere scambiato con l’autodeterminazione di un popolo.”
Analogamente Romano Prodi commenta così la scelta di Putin: “La mossa della Russia è molto semplicemente un atto di guerra. (…) Il discorso fatto lunedì da Putin era un discorso arrogante, triste, pericoloso.” Allo stesso tempo, riferendosi all’Europa, sottolinea che “se di fronte ai grandi problemi del mondo non si è uniti, allineati cioè anche nella difesa degli interessi strategici, le democrazie liberali rischiano di fare un passo indietro e di osservare in modo passivo i passi in avanti delle democrazie illiberali”.
Nei due commenti credo possiamo avere la sintesi della larga maggioranza della gente e non solo di questo paese ed è proprio da queste diffuse vedute che spesso se non sempre sottotraccia naviga la realtà crudele dei fatti, la brutalità di Putin è innegabile tanto quanto la leggerezza e il pressappochismo di chi governa e regole le realtà di molti paese, la pace e la convivenza con ben dimostra la storia della umanità non è un dono bensì una conquista e una lotta costante laddove viene raggiunta, può non piacerci come definizione ma è ciò che la storia ci insegna, e né questa né la precedente umanità ahimè noi sembra di aver imparato.
La Russia di Putin ha aggredito l’Ucraina con motivazioni, se non pretestuose, comunque deboli e soprattutto non tali da giustificare la sproporzionata risposta militare. C’è del vero in questa accusa (nessuno ama o giustifica la guerra), ma pochi sono quelli che possono scagliare la prima pietra. Non chi ha compiuto atti analoghi, se non peggiori, in Jugoslavia, Iraq, Libia per non parlare del Vietnam; e neppure chi è stato indifferente quando la Turchia si è impossessata di quasi la metà di Cipro, ed altrettanto ogni volta che Israele ha incamerato terre palestinesi con atti condannati dall’ONU.
Ma Putin ha fatto qualche cosa di più grave: ha fatto degli errori sul piano strategico. 1) Non ha saputo valutare la capacità difensiva dell’esercito ucraino e non è riuscito a ripetere il blitzkrieg quasi indolore della Crimea. 2) Non ha capito che oggi il richiamo (per quanto illusorio) del consumismo promesso dall’Occidente è più forte dei legami storici e culturali, almeno sul breve periodo. 3) Non ha voluto prendere atto che la Russia non è più una grande potenza, ma una media potenza per dimensione demografica, strutture economiche e tecnologia. Anche sul piano militare (prescindendo dalle armi nucleari i cui limiti di impiego sono evidenti per le devastanti conseguenze planetarie), le forze armate russe, pur rilevanti, non superano già quelle delle sole Francia e Gran Bretagna nel loro insieme (due paesi dove la vis pugnandi è ancora presente), e figuriamoci quelle della intera Nato. Quest’ultima constatazione toglie ogni valore, e quasi ridicolizza, le tante denunce nei confronti di una Russia tesa conquistare i paesi dell’ex patto di Varsavia e a minacciare l’Europa occidentale.
Hanno ragione quanti dicono che Putin, per ora, ha ottenuto, come solo risultato, quello di rafforzare la Nato. Solo alcuni mesi fa, in Europa, molti auspicavano la creazione di una difesa europea per dare alla UE una concreta dimensione politica che ne riflettesse le potenzialità, anche tenendo presente che i riferimenti europei su alcuni scenari (Vicino e Medio Oriente, Africa e Russia) non sono esattamente coincidenti con quelli americani.
Oggi, nessuno ne fa più cenno. La crisi ucraina ha condotto ad un totale allineamento europeo alle direttive del potenza egemone (a partire dall’adozione di sanzioni che hanno pesanti ricadute sui paesi europei). Gli Stati Uniti, sul breve e medio periodo, raggiungono una serie di obiettivi. Rinforzando la Nato, allontanano la paventata costituzione di una autonoma difesa, grazie alla quale l’Europa possa allontanarsi da loro o semplicemente conseguire una maggiore autonomia sulla scena internazionale. Con l’indebolimento economico della Germania, per via delle sanzioni e controsanzioni, e per aver imposto la non apertura del gasdotto Nord Stream2, ottengono un altro risultato perché gli USA, mentre non danno alcun rilievo politico alla UE, temono sempre che una Germania forte possa diventare un centro di aggregazione per i paesi europei, e manifestare un prevalente interesse per le opportunità offerte dal vasto spazio russo. Inoltre, se le cose continuassero a prendere una cattiva piega per la Russia putiniana, gli Usa potrebbero assistere con soddisfazione ad un possibile collasso di un paese che è stato a lungo (come Unione Sovietica) il loro principale antagonista.
Dovrebbero tuttavia fare molta attenzione perché mettere con le spalle al muro l’avversario è sempre pericoloso per i contraccolpi che si provocano, e per il vuoto che si determinerebbe se dovesse prendere corpo l’eventuale sgretolamento di un vasto paese come la Russia, un vuoto che non si sa chi e come lo riempirebbe. Nell’Europa danubiana sono ancora visibili oggi le ricadute negative della dissoluzione dell’impero asburgico (la feroce guerra interetnica jugoslava ne è una). In tempi più vicini, la perseguita vittoria sul nazionalismo arabo (presentata come esportazione della democrazia) è servita solo a far dilagare su una vasta area il più fanatico integralismo islamico e il terrorismo.
Infine gli Stati Uniti dovrebbero ricordare che, se eliminano o indeboliscono troppo il loro “Nemico necessario”, verrà meno, prima o poi, quello strumento (la Nato) con cui tengono assoggettata l’Europa.
Sono impressionato dall’articolo di Risso, che nella sostanza condivido, ma soprattutto dall’analisi GLOBALE che ha scatenato. Il tono della discussione mostra come il contrapporre le tesi, anche quando tutte contengono elementi di verità, non porti da nessuna parte sia quando a discutere è un gruppo di amici, sia quando sono addirittura degli Stati.
Faccio un passo indietro. San Giovanni Paolo secondo diceva profeticamente che l’Europa doveva respirare a due polmoni: Europa occidentale ed Europa slava. Una transizione graduale dal comunismo reale alla libertà è stata avversata dagli USA, che hanno favorito l’ubriacone Eltsin e tagliato l’erba sotto i piedi a Gorbacev. Risultato: una Russia in mano agli oligarchi, quando non alle mafie, coordinati dall’ex KGB Putin. Inoltre sempre più legata alla Cina anzichè all’ Europa.
L’ Europa, sinora nano politico per l’egoismo ottuso dei suoi capi, nella sua divisione non può che essere al seguito degli Americani e solo ora a seguito di due disgrazie (pandemia e guerra) pare dare segni di ravvedimento. Speriamo che almeno ora sappia gestire le sanzioni in modo da colpire Putin ed il suo entourage e non il popolo russo, che si legherebbe ancor più al suo duce. Se vogliamo “consapevolmente” fare della fanta-politica allora diciamo: 1 – bisognava dire a Putin (Europa ad una voce) dato e non concesso che noi non facciamo entrare l’Ucraina nella Nato, tu in cambio cosa saresti disposto a dare? 2 – il Donbass a statuto speciale ti va bene? E perchè non va bene per la Crimea? Probabilmente si sarebbe giunti alla guerra ugualmente (favola del lupo e dell’agnello di Esopo docet), ma di fronte al mondo ed al popolo russo le sanzioni sarebbero state meglio motivate, preparate e tarate sui tempi. Invece la sicurezza che tanto l’Occidente non voleva e non poteva fare la guerra ha ringalluzzito il dittatore ed ora si boxa solo di rimessa, insomma me ne ha date… ma gliene ho dette…
Sulla guerra in Ucraina vedo tra gli amici Popolari un fermento decisamente positivo. Capaci di creare un clima di dialogo, anche per merito dell’equilibrio e del rigore intellettuale del direttore di Rinascita Alessandro Risso e del presidente dell’Associazione Franco Campia.
Nel merito i punti di vista espressi possono essere diversi, pur nel comune ripudio della guerra e nella comune condanna dell’aggressione russa. Ma è l’insieme di questo dibattito che ci arricchisce e ci rende capaci, da cittadini informati, professionisti, dirigenti, amministratori, da responsabili politici o associativi di mediare e di orientare, di assumerci le nostre responsabilità verso il popolo. Di fare cioè quello che i partiti nel loro insieme non sembrano più in grado di fare. La tv trasmette emozioni che accendono gli animi. Di fronte al delicatissimo momento internazionale invece c’è bisogno di riflessione, di studio, di ponderazione, di saggezza, dando così prova di autonomia politica.
Il mio auspicio è che noi Popolari possiamo cogliere l’occasione di questa tragedia per tornare a fare il nostro “mestiere” di organizzatori delle istanze popolari e di sensibilizzazione dei ceti intermedi sui grandi temi della politica, nella società, negli ambienti di lavoro e di vita sociale, nella comunità cristiana con il dovuto stile di laicità.
Nella prassi, il fondamento del valore dei diritti umani crolla a favore delle convinzioni costruite su di esso. Se raccolgo aiuti umanitari per gli ucraini perché non posso farlo per i russi? Forse perché gli abbiamo cucito addosso una stella di Putin? Ecco i nuovi cattivi innominabili del 1922. In nome della pace, naturalmente.
Ringrazio tutti coloro che hanno arricchito il dibattito sul tema che sta interpellando le coscienze, la guerra in Ucraina, commentando il mio ultimo editoriale. Anche i giudizi critici sono i benvenuti, specie quando sono argomentati e danno risposte alle questioni aperte. Purtroppo due commenti arrivati non rispondono a questi requisiti, ma hanno il pregio di permettermi una replica perché alcuni concetti vanno precisati, e comunque repetita iuvant.
All’amico Rodolfo, che nel suo laconico commento lamenta “l’approccio giustificazionista” e il triste e continuo “cilicio anti europeo e anti americano”, posso solo dire che che il mio pensiero non è giustificazionista, perché Putin è colpevole della guerra. Il principale, ma non credo l’unico. Se poi c’è chi resta mollemente adagiato in un atlantismo acritico e in un europeismo accontentista, è una sua scelta. Che non richiama le sofferenze del cilicio ma piuttosto l’intontimento da mainstream. Qui cerchiamo, per quello che siamo capaci, di capire dove sta andando il mondo, che non è più quello dei tempi di Degasperi, e da convinti europeisti vorremmo un’Unione più forte e coesa, che non sia solo la sommatoria di interessi nazionali incapaci di trovare sintesi in una visione ambiziosa, che parte dalla cultura e dalla politica.
Passiamo a Daniele Venturelli, che dai toni usati si dimostra poco avvezzo al garbo piemontese nel dialogare. Parte subito male perché si permette di giudicare “formale quanto rituale” il mio giudizio sulla “Pace, valore assoluto”. Cosa sa del mio sentimento sulla Pace e sulla guerra? Conosce il testo della targa che da assessore ho fatto apporre alla ex Casa del Combattente della mia città, trasformata nella Casa della Pace? Sa che ho guidato il gruppo che ha elaborato il simbolo di INSIEME in cui è scritta la parola “Pace”?
Mi spiace metterla sul personale, e se fosse solo per questo non avrei replicato, anche memore di un noto aforisma attribuito a Oscar Wilde. Ma in successivi passaggi Venturelli conferma il proverbio “chi male intende peggio risponde”. E nel dubbio di non essermi espresso con sufficiente chiarezza, pensando non tanto a lui quanto ad altri lettori silenti, considero un bene poterci tornare sopra.
Rifiuto il rilievo di cercare attenuanti alla guerra di Putin. Non ho nutrito mai alcuna simpatia né per lui né per la Russia nazionalista, Nè per l’URSS. Cerco solo di capire perché si è arrivati a “una guerra che si poteva e si doveva evitare”: questo è lo stentoreo giudizio di Romano Prodi, una persona che ha esperienza e contatti per poterlo dire. Delle dichiarazioni rilasciate da Prodi, questa mi pare la frase nodale, sfuggita a Venturelli. Ma ci sta che ognuno tiri acqua al suo mulino.
Invece sui fatti storici dovremmo in teoria essere più allineati. Ricordare il ruolo degli ucraini nelle SS (li troviamo anche nel campo di sterminio di Treblinka, non solo attivi durante la campagna di Russia) serviva unicamente a sfatare la narrazione di Putin dei due popoli fratelli, divisi da un governo ucraino manovrato dagli occidentali. Russi e ucraini sono due popoli slavi con un forte nazionalismo che li ha visti quasi sempre rivali. Ho parlato della Seconda guerra mondiale perché a noi più vicina, ma avrei potuto ricordare il ruolo dell’Armata Bianca ucraina contro i bolscevichi. Solo al tempo dell’Unione Sovietica si cercò di costruire una “fratellanza” forzata, spinta dall’ucraino Krusciov che nel 1954 regalò alla sua terra la Crimea, territorio russo sin da fine Settecento, mantenuto anche in seguito alla sconfitta nella Guerra di Crimea del 1853-56, di cui noi torinesi abbiamo numerosi ricordi nella toponomastica. Con la caduta del comunismo, i due popoli sono tornati ben distinti, almeno nella parte centrale e occidentale dell’Ucraina, mentre a oriente la popolazione russa è predominante. Dato che tutti questi sono fatti oggettivi, su cui mi pare concordiamo, compreso il citato Belardinelli, non si capisce la vis polemica, a meno di una mancata comprensione di quanto ho scritto.
Sulla “percezione” altra incomprensione, condita da ironia fuori luogo che conferma soltanto il “peggio risponde”. In una trattativa ci sono in genere due controparti (in questo caso Occidente e Russia) che devono risolvere una questione (l’ingresso dell’Ucraina nella NATO) vista dalla Russia come una “minaccia inaccettabile”. In diplomazia le parole sono pietre (Venturelli stesso ne dà un esempio con la risoluzione ONU e il cambio da “condanna” a “deplora”), e va preso atto di quello che afferma Putin. Mi ripeto, non è importante sapere se davvero l’Ucraina armata dalla NATO sia una minaccia reale, esagerata o presunta per i russi. Basta e avanza, nel condurre una trattativa, sapere che a Mosca la considerano, la “percepiscono” come “minaccia inaccettabile”. Dall’altra parte del tavolo ci sono loro. È il loro punto di vista, il loro “sentire” che conta, non quello di chi assiste e commenta da fuori. Che sia stato sottovalutato o ignorato, deliberatamente o no, è nei fatti.
Sulla Finlandia Venturelli butta la palla in tribuna ed evita di rispondere all’unica domanda che conta: meglio un accordo tipo Finlandia per l’Ucraina neutrale (compensata da concessioni economiche russe sulle forniture energetiche e occidentali sul resto)? oppure meglio ribadire il principio del pieno diritto dell’Ucraina a entrare nella NATO? Quale delle due strade avrebbe evitato la guerra? Perché qui la pensiamo come papa Francesco (un punto di riferimento che preferiamo a Marco Minniti, citato da Venturelli): “Ogni guerra lascia il nostro mondo peggiore di come lo ha trovato. La guerra è un fallimento della politica e dell’umanità, una resa vergognosa, una sconfitta di fronte alle forze del male”. È il male assoluto che va evitato, prima, per non accorgersi, dopo, della morte, dolore, distruzione che porta con sé. Una diplomazia che pensa all’umanità prima che ai rapporti di forza si siede al tavolo delle trattative con questo punto fermo. Così non è stato.
Sui rilievi all’articolo di Davicino, se ritiene interverrà l’autore, che certamente si discosta nelle sue analisi dal mainstream mediatico. Non sono sempre convinto delle sue argomentazioni, ma le pubblico volentieri perché hanno il pregio di allargare la visuale al di fuori del pensiero dominante in cui siamo immersi, a volte senza rendercene conto.
Una sola cosa vorrei dire sulla Cina. In tv ho sentito, non ricordo più da quale esperto di geopolitica, un’acuta osservazione: ai tempi di Kissinger gli USA ebbero l’intelligenza di aprirsi al dialogo con la Cina, fratello minore del comunismo, per impedire la saldatura con il fratello maggiore e vero pericolo per l’Occidente, l’Unione Sovietica. Oggi eguale intelligenza avrebbe consigliato di trovare un accordo con la potenza più debole estranea all’Occidente, la Russia, per evitare una saldatura con il rivale più forte, la Cina. Saldatura che invece sta già avvenendo: se l’economia russa resterà in piedi dopo le sanzioni indirizzando il proprio gas e le altre materie prime verso Pechino, l’Occidente si scoprirà più debole. Soprattutto l’Europa, che dovrà fronteggiare una gravissima crisi energetica. Anche solo per cinico interesse sarebbe stato meglio perseguire fino in fondo trattative di Pace. Invece abbiamo la guerra, che rende più difficile ogni soluzione.
Allora torniamo alla domanda del titolo: tutta colpa di Putin? Chi si accontenta di rispondere sì, abbia almeno il buon gusto di non travisare i pensieri di chi cerca di capire cosa c’è realmente dietro le verità di facciata.
LA PACE: VALORE ASSOLUTO?
Premessa chiarificatrice: non ho inteso mettere in dubbio in alcun modo la buona fede di Risso e il suo amore per la Pace. Che è anche mio. Detto questo bisognerà pur chiarire la differenza concettuale fra assoluto e relativo. Assoluto (da “solutus”: sciolto, slegato, indipendente, autonomo) indica un “ente” che trova in se stesso la sua ragion d’essere. Ora la pace è un valore assoluto soltanto dal punto di vista ideale, concettuale; non certamente fattuale. Duemila anni di storia sono lì a dimostrarlo.
Se uno afferma che per lui la pace è un valore assoluto, deve anche contemporaneamente affermare che, per esempio, nell’eventualità che il suo Paese venga invaso da una Potenza occupante, lui non farebbe opposizione armata o violenta, ma semmai solo ed esclusivamente non violenta. Personalmente, nel caso suddetto, imbraccerei un’arma.
I partigiani cattolici delle Fiamme Verdi che imbracciarono le armi contro fascisti e nazisti erano “amanti della pace”? Certamente sì. Consideravano la pace un valore “assoluto”? Certamente no.
Quindi per Risso, se non traviso il suo pensiero, chi risponde sí sarebbe fermo ad una “verità di facciata”, mentre quelli come lui sarebbero i soli che cercano “la verità vera”, quella nascosta dietro le verità di facciata. Mi sembra una dicotomia manicheistica. Mi accontenterei di dire che le mie sono opinioni. Come le sue.
Mi inserisco solo ora in questo dibattito importante non per cattiva volontà, ma per impedimento tecnico. Poiché qui scrivo come singolo socio di questo bel sodalizio (Popolari piemontesi) posso esprimermi un po’ fuori dalle righe a differenza di quando scrivo un articolo. Pertanto i miei pensieri non coinvolgono assolutamente Rinascita popolare.
Innanzitutto plaudo all’articolo di Alessandro Risso perché è riuscito a scriverlo volando alto su temi ispidi ed è riuscito a provocare un bel dibattito, cosa che a mio avviso era necessaria. Non solo sulla questione odierna, ma perché a mio avviso negli ultimi due mesi, tolti qualche articolo di G. Ladetto e qualche altro di alta politica dello stesso Risso, il dibattito su Rinascita popolare mi sembrava quello di un vecchio club inglese. L’articolo di Risso è molto bello anche perché nel testo inserisce dei rimandi (Sacco, Davicino, Fagan) che dovrebbero dare a tutti una più ampia prospettiva. Questo è il primo punto. Il secondo sul quale desidero soffermarmi di più è quello in cui finalmente si squarcia il velo sulla verginità degli ucraini e si dice, nero su bianco, che con il nazismo hanno avuto ed hanno ancora molto in comune. A parte l’aver fornito diverse divisioni di SS, si proprio quelle, le famigerate Waffen SS, non soldati per la Wermacht, il germe nazista è oggi molto presente in Ucraina, come ha ricordato tra l’altro Barbara Spinelli sul Fatto Quotidiano lo scorso sabato. Vogliamo parlare del battaglione AZOV? L’Ucraina è l’unico stato europeo che ha nel suo esercito una componente nazista riconosciuta ufficialmente, appunto il famoso battaglione AZOV, vera e propria Legione straniera nazista per tutti i neonazi europei. L’altro raggruppamento nazista sono le milizie di Pravdi Sektor, unità paramilitare responsabile di continue aggressioni ai danni di cittadini di etnia russa nel Donbass.
Qualcosina sul battaglione Azov: questo battaglione durante il conflitto nelle regioni dell’est, dal 2014 ha compiuto tanto sui prigionieri quanto sui semplici cittadini russofoni delle città riconquistate da Kiev, torture, stupri, saccheggi ed esecuzioni sommarie, nefandezze riconosciute ed elencate anche in un rapporto OCSE del 2016, che si uniscono ad una serie di report pubblicati dall’Ufficio dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani, vi è stata anche una richiesta al governo ucraino (mai considerata), di Amnesty International di sciogliere il battaglione Azov, il quale durante il conflitto e negli anni successivi alla guerra del Donbass è diventato anche una sorta di mito per i militanti neonazisti e della destra radicale, ricevendo affiliazioni da mezza Europa, Italia inclusa.
Dopo gli accordi di Minsk II del 2015 il Battaglione Azov, che era passato da 800 miliziani a quasi 2000, è diventato parte effettiva della Guardia Nazionale Ucraina.
La realtà ucraina nel campo è complessa basti pensare che nella sola Kiev sono presenti altre due milizie di estrema destra, ad esempio la C14, il cui nome per esteso è tutto un programma (“We must secure the existence of our people and a future for white children”), nota dal 2010 anche per le sue velate attività di “pestaggio su commissione”. Tra i tanti eventi di intimidazione e violenza avvenuti nelle regioni dell’est confinanti con la Russia non si può non ricordare il massacro di Odessa del 2 maggio 2014 in cui morirono 42 persone, 34 uomini, 7 donne ed un ragazzo bruciati vivi nella Casa dei Sindacati, edificio in cui si erano rifugiati per sfuggire alle milizie di Pravdi Sector e quando scoppiò l’incendio i pochi che riuscirono a fuggire furono falciati dalle mitragliatrici dei militanti neonazi appostati all’esterno. Nessun processo fu mai intentato e meno che mai qualcuno a Bruxelles si scandalizzò. Anticipo chi dirà che è sensazionalismo. No, l’Huffington Post a quei tempi meno liberal di oggi, il 5 luglio 2014 titolava: La strage di Odessa e la stampa italiana: censura di guerra? Putin oltre che essere un pessimo stratega è pure un cattivo comunicatore, ma quando dice denazificare l’Ucraina, i fatti sono dalla sua parte. Ma la cosa che più ho apprezzato nell’articolo di Risso è che si tratta di uno scritto che coraggiosamente va contro il pensiero unico, un qualcosa del Nuovo Ordine Mondiale ed in Italia in particolare che a me spaventa molto. Lo vediamo ogni giorno di più, a parte vietare le Paraolimpiadi agli atleti russi ed ai gatti (si i gatti) nati in Russia di partecipare alle fiere feline, le liste di proscrizione fatte da tanti intellettuali progressisti, vedi ad esempio il super amerikano, Gianni Riotta che ha stilato una lista di filoputiniani in Italia, tante cose messe assieme fanno si che il clima non sia bello.
Del resto la prova generale nella quale si dice che il pensiero unico è l’unica via e l’unico bene che il popolo deve seguire è stata fatta con la pandemia. Quando si accetta che qualche milione di persone solo perché per i più diversi motivi non hanno voluto o potuto vaccinarsi e oggi sono dei veri e propri paria a cui si impedisce di prendere mezzi pubblici, bere un caffè al bar, andare in posta non solo nell’indifferenza generale ma addirittura con la riprovazione del resto della popolazione il gioco è fatto. Figuriamoci in una guerra… non nostra e combattuta distante da noi… chi non si allinea è come minimo un traditore della Patria. In Ucraina oggi oltre alla guerra vera si combatte anche questa guerra, ovvero tra la concezione di una società moderna, liquida, senza identità, digitalizzata e una visione probabilmente ottocentesca come quella che vedono i russi.
Già, senza alcuna remora in una delle ultime trasmissioni “In onda” sulla 7, un sottopancia tenuto a lungo sullo schermo recitava: A Kiev si combatte per il Nuovo Ordine Mondiale.
Ben vengano quindi articoli come questo di Alessandro Risso (sua risposta compresa) ed anche le piacevoli ed interessanti “provocazioni di Davicino”.
Nel commento di Beppe Mila – che coglie le connessioni fondamentali fra i grandi problemi del nostro tempo – vi è un passaggio che, a mio avviso, va sottolineato: “la cosa che più ho apprezzato – scrive Mila – nell’articolo di Risso è che si tratta di uno scritto che coraggiosamente va contro il pensiero unico”. Risso è un dirigente politico, tra i fondatori e già segretario nazionale di Insieme, che fa da precursore di una svolta che ormai non può più tardare a compiersi nel cattolicesimo democratico e popolare. La svolta consiste nel rivendicare un’autonomia di giudizio e di iniziativa politica che può anche non esser sempre coincidente con la visione di quell’élite globalista, che usurpa il potere in occidente e che esercita un controllo totale sui media occidentali come quello che Putin o Xi Jinping esercitano sulla stampa dei loro Paesi. Gli eventi renderaranno necessaria la suddetta svolta, soprattutto per problemi di tenuta sociale della classe media, schiacciata dal molteplice peso di politiche deflattive, di discutibili restrizioni sanitarie e climatiche che mascherano scopi ostili ai ceti intermedi e alle libertà costituzionali, e dagli effetti della guerra, che è mondiale nel senso che riguarda gli equilibri planetari e va oltre l’Ucraina, sull’economia.
Il mondo del trentennio che va dalla caduta del muro di Berlino al 2020 non c’è più. La globalizzazione è finita. Stanno emergendo due zone d’influenza, una nuova divisione bipolare del mondo. Da una parte la Cina, gli altri Brics e i loro alleati; dall’altra l’impero occidentale guidato dagli Stati Uniti. Nel mondo verso cui stiamo andando non potrà più esserci posto per coloro che coltivano la distopia di un governo mondiale dell’élite ultraricca con la riduzione in schiavitù del restante 99% dell’umanità. Per quello scopo questa gente ha insanguinato il mondo negli ultimi 30 anni con le guerre dei Bush, padre e figlio, la dissoluzione della Jugoslavia, la creazione del terrorismo islamico, le invasioni di Iraq, Libia e Siria.
Da ultimo, dal 2014, ha portato la divisione e la morte in Ucraina. L’ex sottosegretaria del Dipartimento di Stato Victoria Nuland, moglie di Robert Kagan (una delle menti della famigerata stagione dell’“esportazione della democrazia”), nel 2014 si vantava di aver investito 5 miliardi per finanziare la rivoluzione colorata in Ucraina, che diede inizio alla pulizia etnica della popolazione russofona arruolando le formazioni paramilitari citate da Mila. La guerra che si sta svolgendo tragicamente sulla pelle delle popolazioni civili che abitano i territori dell’Ucraina, è guerra al nuovo ordine mondiale. Il governo unico massonico, che tanto assomiglia alle più maligne incarnazioni storiche del mistero escatologico del regno dell’Anticristo, necessita della capitolazione della Russia per potersi affermare. Se questo non succederà a capitolare saranno i signori di Davos, i capi dei colossi tecnologici, finanziari, farmaceutici e di dinastie di banchieri.
Ecco perché nella prospettiva di questi mutamenti epocali già in corso, l’osservazione di Mila sullo scritto di Risso mi sembra importante nella nostra dimensione culturale e nazionale, oltreché territoriale. È adesso il momento di cambiare le nostre parole d’ordine, se come cattolici democratici e popolari intendiamo tornare ad essere significativi verso la comunità civile ed ecclesiale, indicando e progettando la via per una nuova rinascita proprio nel momento più critico di questo cambio di epoca.
Meritano un ringraziamento gli amici Alessandro Risso, Beppe Mila, Giuseppe Davicino, Aldo Cantoni e tutti quanti altri hanno avuto il coraggio di esprimere il loro pensiero in questo clima di caccia alle streghe oggi emerso nel nostro Paese. Anche in questa occasione, Rinascita popolare si segnala come uno spazio libero di confronto di idee, mentre è deprimente lo spettacolo offerto dai media, a partire dai cosiddetti grandi giornali indipendenti.
Sono molto contento del bel dibattito suscitato da questo articolo e per le belle parole di Davicino e Ladetto che ringrazio molto.
Le buone notizie però a mio avviso finiscono qui. Purtroppo non si avvererà, come prevede Davicino la sconfitta del globalismo.
Anzi, a mio avviso il futuro sarà così: la Russia perderà la guerra, sarà già tanto se riuscirà a mantenere un protettorato sul Donbass, l’Europa piomberà per lunghi anni in una crisi economica ma soprattutto morale e con la perdita di tutti i suoi valori, sarà il luogo in cui il Nuovo Mondo e il Nuovo Ordine Mondiale saranno applicati alla lettera, il potere sarà in mano esclusivamente agli eurocrati che per applicarlo avranno delle Forze dell’Ordine composte da miliziani ucraini (bisogna ben fargli fare qualcosa dopo la loro vittoria in Ucraina). L’America, grazie alla forte componente conservatrice- trumpiana , se la caverà perchè i principi basilari della convivenza non verranno stravolti.
Sono pessimista? No realista.
Un piccolo esempio ieri sera da Giletti sul La7 a fronte del ricordare 14000 morti nel Donbass da parte della vedova di Giulietto Chiesa e del prof. Mattei, oltretutto la vedova di Chiesa ha detto: “non penso che in Donbass i russi per tanti anni si siano sparati da soli, lo avranno fatto con qualcun altro”, i cani da guardia Telese e Luttwak l’hanno ridicolizzata, presa in giro con risate sguaiate e Telese mostrando il santino di ordinanza dei bambini fermati a Mosca ha detto che quella era la verità e tutto il resto non contava. Senza contare le perle di “umanità” dei vari ospiti ucraini in studio ed intervistati.
Per evitare (ma ormai è tardi) o per fermare l’orrore della guerra evidenzio due pensieri su aspetti che, mi sembra, non ho sentito prospettare (il secondo potrebbe essere ritenuto banale e un po’ stupido, ma non bisognerebbe escluderlo al fine di evitare le tragiche conseguenze, in particolare quelle sulla popolazione civile).
1) per risolvere la questione dell’autonomia del Donbass filo russo ai presidenti russo e ucraino ritengo possa essere proposto un accordo tipo quello di Parigi tra De Gasperi e Gruber per l’Alto Adige.
2) in considerazione dell’amicizia fra Putin e Berlusconi (ospitalità in Costa Smeralda e svariati incontri con abbracci) qualcuno non potrebbe pubblicamente intervenire per sollecitare al presidente di Forza Italia – che fa parte del governo – un costante e pressante intervento affinché si arrivi al più presto a un “cessate il fuoco”. A mio avviso non è sufficiente solo stigmatizzare l’invasione russa…
Non sono in grado di fare analisi come le tante descritte negli interventi precedenti, ma occorrerebbe un solo grido all’unisono “Basta guerra! ” e perciò si devono tentare tutte le strade.
Un commento di buon senso, per nulla banale e stupido di fronte ad una tragedia.