75 anni fa, l’esodo dall’Istria



Aldo Novellini    10 Febbraio 2022       0

Sono passati 75 anni da quel 10 febbraio 1947 quando l'Istria venne strappata all'Italia. Un'ingiusta frattura geografica, storica e culturale che ci privava di località a larga maggioranza italiana come Pola. Tragico destino - tra esodo forzato e morte nelle foibe – per una popolazione che da secoli abitava in quella regione. Il Giorno del Ricordo serve proprio a non dimenticare le sofferenze di questi nostri connazionali che dovettero abbandonare la terra natia.

Anche di fronte a questi dati di fatto, storicamente documentati, si innescano assurde polemiche ideologiche. Vi è un'estrema destra dichiaratamente neofascista che ritiene di essere il nume tutelare dei giuliano-dalmati, incurante di creare solo un sacco di problemi alle associazioni degli esuli. Dall'altro lato c'è un'estrema sinistra che minimizza o addirittura nega le foibe, considerando fasciste quelle popolazioni che non si vollero piegare al “paradiso” titoista.

Eppure, al di là delle polemiche, i fatti sono chiari. Le vittime delle foibe, circa 5mila persone, sono il frutto della volontà della Jugoslavia di Tito di cancellare la presenza italiana in Istria e Dalmazia. Qualche storico rifugge dall'utilizzo del termine pulizia etnica, preferendo parlare di violenza a carattere politico-sociale, avendo riguardato anche molti slavi anticomunisti. In quel ginepraio vi fu anche questo, a causa dell'atavico odio tra serbi e croati in una faida tutta interna al mondo slavo ma al tempo stesso è innegabile che gli italiani furono il principale bersaglio delle violenze. Tanto che la maggioranza di essi, almeno 300mila persone, decise di abbandonare la terra in cui era nata perché risultava impossibile continuare a viverci.

E non può dirsi che tutto è iniziato con il fascismo perché l'antagonismo tra italiani e slavi in quelle terre di confine era già presente nell'impero asburgico. Tra le due comunità, imbevute di nazionalismo, lo scontro era già nell'aria con Vienna che apertamente parteggiava per il panslavismo in chiave antitaliana. Dopo la Prima guerra mondiale il confine fu fissato dalla cosiddetta linea Wilson (dal nome del presidente americano che ne fu il promotore) e l'Italia ottenne Trieste, l'Istria e Zara. Il tutto sancito dal trattato di Rapallo che ci regalò anche Fiume. Rivendicando anch'essa quei territori, la neonata Jugoslavia protestò con vigore di fronte al trattamento favorevole verso il nostro Paese.

Il contesto era dunque già delicato prima dell'avvento del regime fascista che ovviamente ci mise del suo. Va però rilevato che sebbene siano da condannare senza alcun indugio non si possono mettere sullo stesso piano le repressioni e le vessazioni dell'Italia fascista sulla minoranza slava in vista di una sua pur forzata assimilazione e le reiterate stragi compiute dai titoisti volte al totale sradicamento degli italiani dall'Istria. La reazione slava ai soprusi italiani fu spropositata, giungendo a vette di rara efferatezza. Orrori che, in qualche misura, avremmo rivisto molti anni dopo nel conflitto serbo-croato degli anni Novanta, quando si dissolse la Jugoslavia.

Di certo avremmo potuto tenerci le comode frontiere ottenute dopo la Grande guerra e che nessuno avrebbe mai contestato. Fu l'irresponsabilità fascista, con l'invasione della Jugoslavia nel 1941 a rimettere tutto in gioco. Si aprì un vaso di Pandora che per noi fu esiziale. Come scrisse Luigi Salvatorelli su La Stampa del 6 ottobre 1954, quando Trieste venne restituita all'Italia <<la dittatura fascista distrusse con mani parricide il trattato di Rapallo>>,  cioè uno dei massimi successi della politica estera italiana.

Queste le vicende storiche. Oggi, dopo esserci tutti quanti lasciati alle spalle il veleno nazionalista, siamo chiamati a guardare avanti e fare della regione giuliano-dalmata il luogo per eccellenza dell'incontro tra culture e popoli diversi. Obiettivo di fondo: la piena e reciproca tutela delle rispettive minoranze nella cornice della comune appartenenza europea.

Detto tutto questo, resta doveroso nel Giorno del Ricordo riflettere sul nostro passato e sul dramma di una popolazione che dovette abbandonare per sempre la propria terra. Italiani che, in molti casi, l'Italia non seppe accogliere a braccia aperte.


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