La posta in gioco sull’Ucraina



AMERICANA di Beppe Mila    29 Gennaio 2022       2

Venti di guerra soffiano sull’Ucraina. In Occidente la Russia è quotidianamente messa sul banco degli imputati dai media. Ma occorre prima fare un minimo di storia. Sin dal Basso Medioevo i territori ucraini sono sempre stati altalenanti per quel che riguarda la collocazione politica, con una contrapposizione tra l’Ucraina occidentale, a volte legata alla Polonia, a volte ai Paesi Baltici, e la parte orientale russofila, senza se e senza ma. Per completezza va detto che la Crimea è sempre stato un territorio russo sino a dopo la Seconda guerra mondiale, quando con un gesto unilaterale “di amicizia fraterna” Krusciov pensò bene di donarla all’Ucraina, creando parecchio scompiglio nella popolazione ma senza troppi allarmismi perché a quel tempo “tutti erano fratelli”.

Il ruolo della Chiesa ortodossa pure è stato notevole nelle vicende russo-ucraine e va detto che fino al 1300 i patriarcati di Kiev e Mosca erano sullo stesso livello, ma nel 1328 il metropolita di Kiev abbandonò la sua sede e si trasferì a Mosca; da quel momento il primato di Mosca divenne inarrestabile.
Oggi le regioni ucraine dell’est, del sud e di parte del centro sono a maggioranza linguistica russa con una percentuale che va dal 95% di quelle vicine ai confini russi al 55% di quelle del centro. Le regioni ad ovest parlano prevalentemente ucraino, con l’eccezione di Kiev, la capitale, dove le due lingue sono egualmente conosciute e usate, anche se in maniera abbastanza curiosa: tra la popolazione è nettamente prevalente il russo, mentre a livello formale (telegiornali, riviste, documenti ufficiali) è utilizzato l’ucraino, quasi per scelta “governativa”. Entrambe le lingue sono molto simili, anche se i suoni dell’ucraino sono più dolci e somigliano a quelli dei Paesi confinanti (Polonia, Ungheria).

La posizione russa oggi la si potrebbe racchiudere in una sola parola: NATO. Tutto quello che rappresenta, per Putin è un tema centrale di primaria importanza.

La NATO è l’alleanza militare del dopoguerra creata nel 1949. Tra i cui scopi principali vi era quello di impedire ai sovietici di invadere l’Europa Occidentale, e ha funzionato abbastanza bene per circa 40 anni. Ma l’Unione Sovietica non esiste più da più da tre decenni. A Mosca i commentatori politici la spiegano più o meno così: “l’URSS è un ricordo della storia eppure la NATO continua a vivere, più finanziata che mai. È un esercito senza uno scopo, a questo punto, la NATO esiste principalmente per tormentare Vladimir Putin che, nonostante i suoi molti difetti, non ha intenzione di invadere l’Europa Occidentale. Vladimir Putin non vuole il Belgio o la Polonia, vuole solo mantenere sicuro il suo confine occidentale, ecco perché non vuole che l’Ucraina entri nella NATO, e questo, dal suo punto di vista, ha senso. Come si sentirebbero gli americani se ad esempio il Messico o il Canada diventassero satelliti della Russia? Certo non sarebbero felici, lo stesso vale per i russi nei confronti dell’Ucraina”.

Ci sono poi due fatti incontrovertibili, il primo è che nel caso di un allargamento della NATO all’Ucraina, l’accesso della Russia alla sua base navale di Sebastopoli in Crimea sarebbe compromesso. Qui vi è una base navale importantissima che permette alla Russia attraverso il Mar Nero lo sbocco sul Mediterraneo. Secondo lo studioso russo, Richard Sakwa, se la Russia perdesse la base navale di Sebastopoli, sarebbe “la sua più grande sconfitta geopolitica militare negli ultimi mille anni”. Quindi per Vladimir Putin ciò è inaccettabile, non può permettersi che accada e non lo permetterà.

Secondariamente bisognerebbe tener presente che quando Gorbaciov dette il via libera alla caduta del muro di Berlino con il cataclisma che ne è conseguito, pochi giorni prima incontrandosi con il cancelliere tedesco Kohl chiese espressamente: “Voi mi garantite che non inizierete nessuna operazione di allargamento ad est, di pressione sugli altri Stati (ex Paesi del patto di Varsavia) e azioni similari?”. Ovviamente Kohl lo rassicurò ma tutti sappiamo come è andata con un progressivo allargamento ad est dell’Unione Europea e della NATO. Ovvio che ora si voglia mettere un punto fermo, perché questo non mantenimento della parola data brucia e molto.

Ma anche in Occidente e in USA sono molti a pensare che insistere su questa continua provocazione non farà altro che gettare prima o poi Putin nella braccia di Pechino, in questo caso la disgrazia epocale sarebbe proprio per noi europei.

Non si può chiudere il capitolo Ucraina senza parlare della famosa colorata rivoluzione arancione molto evocata in questi giorni e soprattutto dei fatti di Maidan (meglio nota come piazza Euromaidan) in particolare i massacri del febbraio 2014, l’anno in cui poi in giugno l’Ucraina firmò a Bruxelles l’accordo di associazione e partenariato con l’Unione Europea sancendo di fatto la rottura definitiva con Mosca.

Quando iniziarono le proteste popolari contro il regime, anche in Ucraina si volle scegliere un colore, come per altre rivoluzioni avvenute di recente negli ex territori sovietici, ad esempio quella delle rose in Georgia nel 2003 o quella cantata dei paesi baltici nel 1987. Si scelse l’arancione perché i viali che portano al centro di Kiev hanno molti ippocastani e in autunno le foglie hanno un colore arancione.

Non ripercorrerò la storia dei complicati eventi avvenuti in quel Paese ma è importante ricordare che nel febbraio 2014 esattamente dal 18 al 20, dei cecchini dai tetti spararono indistintamente sia sulla folla che sulle forze dell’ordine per provocare il caos.

Oggi qualcosa in più si sa, secondo la ricostruzione che si trova nel libro Ucraina (di F. Bertot – A Parisi edizioni Historica), viene detto che a sparare furono dei mercenari georgiani ingaggiati dall’ex presidente georgiano Mikhail Saaakashvili (personaggio assai discusso in cui in seguito sia l’Ucraina che la Polonia proibirono la permanenza nei loro Stati). Vengono fatti pure i nomi: Koba Nergadze e Kvarateskelia Zalogy, il fatto inquietante però è che questi due in quei giorni incontrarono un ufficiale della 101ma divisione aerotrasportata USA: Brian Christopher Boyenger. I cecchini furono fatti alloggiare all’hotel Ucraina che si affacciava sulla piazza da dove avvenne poi la sparatoria. A livello internazionale la prima a parlare di questo oscuro momento fu la ministra degli esteri lettone Urmas Paet. Il libro è in libera vendita dal 2019 e sinora non ha ricevuto ne smentite ne querele.

Tornando ai giorni nostri e spostando lo sguardo sul Kazakistan appare sempre più evidente che su una semplice e legittima protesta per l’aumento dei carburanti si siano innestate forze destabilizzatrici, tra cui combattenti islamici. Alcuni analisti si spingono a dire che per alcuni versi si tratta una riedizione di quanto avvenne in Afghanistan, con l’Occidente che armò i mujaheddin in chiave antisovietica, poi tutti hanno visto come andò a finire. Al di la delle interpretazioni più vicine a John le Carrè che alla realtà, un fatto è certo: la Russia questa volta non si è fatta trovare impreparata, dopo trent’anni in cui si è vista sempre più accerchiata con il passaggio nell’orbita occidentale di tanti Paesi che nel passato aveva nella propria sfera di influenza.

Nei bar di Almaty (principale città kazaka ed ex capitale) circola questa battuta: “I tank russi avevano il motore acceso e metà dei cingoli sul confine russo–kazako già il giorno prima”. Sul fatto che la Russia fosse addirittura preavvertita sono concordi anche istituti di prestigio come ad esempio l’ISPI, Istituto per gli Studi di Politica Internazionale di Milano. Come concordano che almeno per un bel po’ non si parlerà di rivoluzione colorata da quelle parti.

Il successo dell’operazione russa ha stabilizzato il Paese e fatto si che questo nuovo potenziale elemento drammatico per l’Occidente sparisse di scena dai Tg, senza avere tutte le sere immagini d’ordinanza con giovani blogger dell’opposizione che sulle barricate mostrano cartelli con su scritto” libertà”, secondo un copione visto troppe volte.

Tutto questo indubbiamente ha un peso sui colloqui, che pur arrancando, iniziano ad esserci tra Russia, America e NATO ed il cui fulcro è proprio il futuro politico dell’Ucraina. Colloqui che vedono un Presidente americano debole, di scarsa personalità, con l’indice di gradimento più basso mai raggiunto da altri presidenti a un anno dalle elezioni.

In queste situazioni, nel passato i presidenti americani avevano un colpo d’ala e riuscivano, se non a salvare un accordo, almeno a porne le basi per uno migliore nel prossimo futuro.

Questo non è nel carattere di Joe Biden, oltretutto ora attaccato anche da una parte del suo partito. In queste condizioni le terze o quarte linee e i burocrati vanno a nozze, (la seconda linea, ovvero la vicepresidente K. Harris si sta smarcando). Ma questo non sarebbe ancora grave, il problema è che quando il capo non comanda è sempre facile che dal potente apparato industriale militare, un dottor Stranamore dell’ultimo minuto riesca a far passare uno dei suoi deliranti progetti con buona pace di tutti noi. Anzi: grande preoccupazione per tutti noi.


2 Commenti

  1. Negli anni Settanta, il blocco formato da Unione Sovietica e Cina rappresentava per gli Usa un avversario molto temibile. Bisognava spezzarlo. Kissinger cercò il dialogo con la Cina (allora il socio più debole del blocco comunista), riuscì nell’impresa, isolando Mosca. Oggi, ha scritto Luca Caracciolo, se la Cina è diventata per l’America l’avversario Numero Uno, sarebbe logico che i vertici americani ripetessero l’operazione di Kissinger aprendo alla Russia (l’avversario Numero Due), isolando Pechino. Perché invece non lo fanno?
    Lo ha spiegato chiaramente Dario Fabbri pochi giorni fa ad Ominibus. Lo scopo primo assegnato alla Nato da Washington è mantenere assoggettati i paesi europei impedendo una effettiva loro autonomia, militare prima, politica poi. Per giustificare il mantenimento in vita della Nato, bisogna pertanto alimentare le tensioni con la Russia, rappresentandola come una minaccia per i paesi europei.

  2. Giuseppe Ladetto : condivido il tuo commento in toto. Purtroppo. Che amarezza per noi europei così pieni di prosopopea. Una volta, tanto per dire, vi era de Gaulle, oggi c’è Macron, una volta vi erano De Gasperi, Moro e Craxi; oggi c’è Renzi per la politica ed un banchiere per governare, una volta vi erano Adenauer, Brandt, Schmidt, oggi c’è Annalena Baerbock…

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