L’America debole e l’Europa carolingia



Giuseppe Ladetto    14 Gennaio 2022       10

Nel nostro Paese il dibattito sui temi di politica estera è pressoché assente. Quando si affronta un qualche avvenimento di ordine internazionale, subito si impongono argomentazioni tese ad alimentare una polemica fine a se stessa tra i partiti. Eppure, in questi ultimi tempi, sono avvenuti e avvengono fatti importanti, dai quali si evidenzia che le cose non stanno ferme: si stanno profilando nuovi assetti che inevitabilmente ci coinvolgeranno.

L’America resta sempre la potenza Numero Uno, ma il suo primato in ambito economico, tecnologico e militare non è più quello che ancora in un recente passato le consentiva di dettare legge a larga parte del pianeta, e di esercitare il ruolo di “poliziotto” del mondo. Segni di tale declino sono stati: l’abbandono dell’Afghanistan e le modalità in cui è avvenuto; il trattato con UK e Australia (AUKUS) volto a spostare i suoi interessi strategici dall’Europa verso l’Indo-Pacifico; e infine il disinteresse mostrato per il Mediterraneo. Gli USA ormai hanno difficoltà a impegnarsi su più fronti. Inoltre, parte crescente del popolo americano avverte come troppo rilevante l’onere che pone sulle sue spalle l’esercizio del ruolo imperiale. A ciò si aggiunge la profonda spaccatura che divide il Paese in due parti ferocemente contrapposte. Da questa situazione scaturisce quella aspirazione europea a conseguire autonomia in ambito militare, già più volte esplicitata da Macron, che ha trovato ora nuovi sostenitori.

Preoccupato di tale fatto, il presidente Biden ha cercato di recuperare terreno tentando di convincere gli europei che gli USA non vogliono lasciare un vuoto sulla scena internazionale, ma si propongono di riempirlo con una azione energica, basata sui propri valori, ritenuti condivisi dall’intero Occidente. Pertanto, ha presentato il volto di un’America nuova che intende affidare la sua azione globale principalmente alla diplomazia, al multilateralismo e alla collaborazione con gli alleati. Questi ultimi (che non possono ignorare le pressioni d’oltre Atlantico) hanno dovuto esprimere adesione al progetto anche se Washington non sembra aver pienamente convinto l’opinione pubblica e il mondo politico europei. Infatti perfino autorevoli personalità istituzionali (Ursula von der Leyen, lo stesso presidente Mattarella), pur con parole prudenti e con continui richiami all’atlantismo. si sono interrogate sul come dare alla UE una dimensione politica e una capacità autonoma di difesa che riflettano le sue potenzialità e i passi in avanti nell’integrazione mostrati nell’affrontare la pandemia da Covid-19.

Credo pertanto opportuno fare alcune considerazioni sulla situazione.

1) Viviamo in un presente difficile per l’addensarsi di una serie di criticità, da tempo visibili per chi teneva gli occhi aperti, ma che ora si impongono a tutti. Per affrontare seriamente la crisi climatica, la pandemia e la diminuita disponibilità di risorse, si richiederebbe un clima internazionale non contrassegnato da contrapposizioni, tensioni, ritorsioni. Invece capita il contrario. Tutte le grandi potenze hanno responsabilità per questo clima negativo. Tuttavia è il campo occidentale ad avere preso l’iniziativa in materia e a mantenerla aperta. Vediamo continuamente mettere in campo censure o sanzioni contro Cina, Russia e Paesi vari (non allineati all’Occidente) con pretesti e motivazioni strumentali, come se chi punta il dito contro questo e quello avesse titoli, passati e presenti, per recitare tale parte (vedi il caso Julian Assange).

Così si giunge fino all’insensatezza, e talora al masochismo. In presenza del rilevante aumento del prezzo del metano, che mette in crisi famiglie e imprese, si preferisce ostacolare l’attivazione del Nord Stream2, quando, come ha detto il presidente di Nomisma Energia, il problema potrebbe essere risolto facilmente aprendo quanto prima il nuovo gasdotto russo. Si nega l’idoneità di vaccini, che la scienza medica riconosce validi, per il semplice fatto che sono prodotti in certe nazioni (Russia, Cina, Cuba), mettendo in difficoltà i movimenti delle persone, per lavoro e altre esigenze, perfino in ambito comunitario tra Europa occidentale ed orientale o balcanica. E, al momento, non sembra che la situazione cambi. C’è solo da sperare nel buon senso, se non di tutti, almeno di un’Europa non interessata a protagonismi.

2) Come riconosce Angelo Panebianco (“Corriere della Sera” del 30/11/2021), “Biden fa appelli e propone una alleanza delle democrazie per contrastare i regimi autoritari, ma l’America, dopo l’abbandono dell’Afghanistan, ha perso credibilità. L’unica cosa che rimane è la richiesta di appoggio nella competizione di potenza con la Russia e soprattutto con la Cina. Ma questa è solo Realpolitik”. Ma, al di là delle esigenze della Realpolitik americana, dobbiamo veramente considerare Russia e Cina una minaccia per l’ Europa?

Della Russia ho già avuto modo di dire (Russia, il nemico necessario). Mi limito ad osservare che nel 1989, nel summit tenutosi a Malta, Bush padre e Gorbaciov si erano impegnati a porre fine alla guerra fredda riducendo la presenza militare dei loro Paesi nell’Europa centrale. L’Unione Sovietica lo ha fatto. Invece l’America, con Clinton e successori, ha portato la NATO sempre più ad est fin oltre i confini che furono dell’URSS, e ora preme per incamerare Ucraina, Bielorussia e Georgia. Ma per Mosca (tutti i russi, non solo Putin), questa è la linea rossa, superata la quale, c’è il confronto militare, così come per Kennedy lo fu l’installazione di basi missilistiche sovietiche a Cuba.

La Cina è una potenza economica e commerciale; cresce in ambito tecnologico, e si rafforza sul terreno degli armamenti. Tuttavia, come potenza, resta molto distante dagli USA. Inoltre, i percorsi della storia contano molto per farci comprendere il presente. La Cina ha sempre avuto una grande considerazione di sé, della sua cultura e della sua civiltà, ma non ha mai cercato di esportarle, non avendo una vocazione universalistica (che è tipica dell’Occidente e dell’Islam): con la morte di Mao (malgrado si dichiari ancora comunista) ha messo in soffitta Marx e Lenin ed è ritornata a Confucio. E altrettanto la Cina non si è mai impegnata a estendere significativamente l’area del suo insediamento territoriale e della sua influenza politica. Il limite era la Grande Muraglia. Certo il suo atteggiamento può essere cambiato, tanto più che oggi deve provvedere al sostegno di quasi un miliardo e mezzo di abitanti (dotandosi delle necessarie risorse anche acquisendole in giro per il mondo), ma non credo che possa o voglia proporsi come un nuovo impero, sostitutivo di quello americano. Vuole (come la Russia) essere una rispettata potenza regionale.

In tema di Cina, ha scritto Lucio Caracciolo (“La Stampa” del 4/7/2020) che lo scontro con Pechino, “per l’élite strategica di Washington, è la partita del secolo. Perderla significa rinunciare al primato mondiale (…). L'obiettivo è chiaro: abbattere il regime del Partito comunista e frammentare la Cina, riportandola alla condizione di totale inconsistenza geopolitica sperimentata nel secolo del disonore, fra metà Ottocento e metà Novecento. Consapevole di ciò, Xi Jinping è sulla difensiva: sollecita l'orgoglio patriottico e mobilita le masse nel sacro richiamo alla protezione del territorio nazionale”.

Così sentendosi sotto attacco, Russia e Cina si avvicinano sempre più (anche sul terreno della collaborazione militare) malgrado, fra i due Paesi, ci siano questioni aperte di ordine geopolitico, e in particolare Mosca abbia da temere una penetrazione cinese nella Siberia orientale (vedi gli scontri sull’Ussuri del 1969). Ma scrive Lucio Caracciolo (“La Stampa” del 9/12/2021): “Mettere insieme il Numero Due e il Numero Tre non è esattamente il compito del Numero Uno. Non occorre leggere Clausewitz per stabilire che rafforzare il proprio avversario principale, offrendogli le notevoli risorse materiali, energetiche e militari dell’avversario secondario (Mosca), non è mossa da manuale. Qualcuno a Washington comincia a chiedersi se aver strappato Kiev a Mosca regalando Mosca a Pechino sia stato un affare”.

Lasciamo agli strateghi americani risolvere il dilemma, ma è certo che per l’Europa si è trattato di un fatto molto negativo. Favorire la nascita al proprio confine orientale di un colosso come il blocco cino-russo (in cui Mosca è il partner debole) mostra l’ignoranza delle più elementari regole della geopolitica da parte del vertice comunitario o la sua arrendevolezza ai diktat di Washington. Infatti, in tal modo, si consegnano le enormi risorse del vasto territorio russo alla Cina, un Paese quanto meno nostro concorrente sul terreno economico e commerciale, risorse di cui l’UE ha estremo bisogno, e delle quali potrebbe beneficiare se abbandonasse l’atteggiamento ostile alla Russia e addivenisse ad una intesa con un Paese che (non dimentichiamolo) è europeo, e non solo in termini geografici.

3) Abbiamo visto crescere in Europa l’aspirazione a disporre di una capacità autonoma di difesa che necessariamente presuppone una politica estera unitaria o almeno coordinata da parte dei Paesi aderenti all’Unione. Tuttavia, anche fra i più convinti fautori dell’UE, si sta facendo strada la constatazione che una politica estera e soprattutto una difesa comune a 27 sono impossibili: lo sono perché non si può operare sulla base di decisioni unanimi o a larga maggioranza, in specie quando vi sono profonde divergenze sugli obiettivi e sulle strategie per conseguirli. In argomento, Antonio Armellini ha scritto (“La Stampa” del 30/9/2021) che, allo scopo, potrebbe funzionare un nucleo fatto da Francia, Germania, Italia, Spagna e Benelux, chiedendosi tuttavia se si possa scomporre parzialmente la UE, introducendo una flessibilità riguardo a specifiche tematiche (difesa, politica estera), mantenendola una. Credo che sia estremamente difficile. Ciò significa che, per la costruzione di un’Europa unitaria e sovrana, sarebbe necessario lasciar fuori (temporaneamente o meno) una porzione significativa degli attuali membri della UE. È quanto già accaduto con la Brexit, poiché la Gran Bretagna non era e non è disposta a portare fino in fondo un percorso unitario, mentre privilegia i suoi rapporti con i Paesi anglosassoni (USA e vecchi dominion).

Possiamo interrogarci su chi potrebbe restarne fuori (almeno per qualche tempo). Quasi sicuramente i Paesi est europei e quelli balcanici, ancora impregnati di un vetero-nazionalismo, alcuni dei quali (Polonia e Paesi baltici) fortemente ostili ad ogni apertura alla Russia. Probabilmente anche i Paesi scandinavi si terranno da parte in quanto storicamente vicini al mondo britannico. Sarebbe questa la fine della prospettata unità europea? No, ma diventerebbe una cosa diversa dall’attuale UE, e certo più concreta.

Angelo Panebianco ha scritto (“Corriere della Sera” 30/11/2021) che “nessun processo di integrazione sovranazionale può avanzare se non è guidato da un Paese egemone o da un pool di Paesi egemoni. Con il trattato italo-francese – firmato da Macron e Draghi il 26 novembre 2021 – ci poniamo nella posizione giusta per far parte di quel pool”.

Concordo con questa osservazione, tanto più che la prospettiva di ingresso italiano nel pool è resa ancora più solida con la sottoscrizione del piano d’azione italo-tedesco messo in cantiere subito dopo. Credo che a farci intravedere un cammino verso l’unità europea potrà essere solo la forza trainante di questo nucleo carolingio (sperabilmente allargato alla Spagna) che maggiormente incarna il cuore storico e culturale del nostro continente. Un cammino che, una volta intrapreso, passo dopo passo, potrà consentire di superare gli ostacoli e conseguire l’obiettivo di una Europa unita e sovrana in un mondo destinato a diventare multipolare.

Certo, le difficoltà sono molte, tuttavia non insuperabili se c’è la volontà di agire. E qui troviamo il vero punto debole di questo percorso (e ritengo di ogni altro), perché purtroppo è credibile la denuncia (riconducibile a Dario Fabbri) che manca a molti, anzi, a troppi europei quell’animus pugnandi (la disponibilità a battersi quando sono in gioco esigenze vitali, oggi del proprio Paese, domani dell’Europa) necessario per una tale impresa, senza il quale ci può essere solo un destino satellitare.


10 Commenti

  1. Ottima analisi, condivisibile in ogni suo punto, perché davvero siamo a un punto di svolta storico di cui l’indicatore principale è dato dal rapporto numerico tra popolazione mondiale e disponibilità di risorse; il cambiamento climatico in corso mette a disposizione aree fino ad ora escluse dai processi di sviluppo e produttività del suolo, che si collocano in buona parte nell’area su cui si consolida l’alleanza cino-russa, con una porzione più modesta a disposizione nella parte più settentrionale del Nordamerica; su ciò dovrà riflettere l’Europa che ha di fronte il continente africano, enorme risorsa di beni naturali e umani in fortissima evoluzione e, per il secondo fattore, in rapida crescita; piuttosto che pensare dunque a risvegliare un “animus pugnandi” si tratta di avviare percorsi di integrazione culturale, economica e istituzionale, riprendendo con ben altro vigore del passato percorsi di cooperazione che comunque erano serviti per avviare prime fasi di cooperazione, che oggi devono essere intensificate sul piano culturale e dei rapporti istituzionali: qui noi europei abbiamo risorse molto consistenti che ci possono servire per aiutare quel continente a diventare un interlocutore permanentemente cooperativo liberandolo dal suo ruolo attuale di miniera mondiale per chi arriva per primo a sfruttare persone e suolo: tutto ciò non solo per bontà d’animo, ma per nostra maggiore tranquillità e sicurezza.

    • Con tutto il rispetto per le giuste cose dette da Mario Fadda, l’opzione ” buonismo” di questi tempi non mi pare la migliore. Oltretutto in Africa siamo in ritardo folle: la Cina la sta comprando a cottimo.

  2. Caro Ladetto, ad eccezione del finale (tu vedi positivo l’asse Italia Francia, io non tanto conoscendo i francesi) concordo su ogni singola sillaba, compresa la punteggiatura. In particolare quando fai notare (e non comprendo come mai i governanti non ci arrivino) tutta l’assurdità di voler ad ogni costo mettere Putin (e con lui tutta la Russia) con le spalle al muro circondandola sempre più con la Nato. Sembra quasi di invitare Putin a gettarsi nelle braccia di Pechino che sarebbe una vera disgrazia per l’Occidente. Hai fatto anche bene, molto bene, a rimarcare l’idiozia di bloccare il Nord Stream 2 quando ne avremmo bisogno come il pane. Nota: Russia e Cina se si sposeranno non sarà certo un matrimonio d’amore ma un matrimonio d’interesse, per di più imposto dai fatti, come ai tempi di Don Abbondio. E’ bene ricordare che pur essendo “Paesi fratelli”, la frontiera tra i due stati è ben sorvegliata dalle famose guardie di frontiera “sovietiche”, che oggi sono molto meccanizzate e per meccanizzate si intende dotati di tank leggeri.

  3. Lei, caro Ladetto, fra l’altro, scrive: “Tuttavia è il campo occidentale ad avere preso l’iniziativa in materia e a mantenerla aperta. Vediamo continuamente mettere in campo censure o sanzioni contro Cina, Russia e Paesi vari (non allineati all’Occidente) con pretesti e motivazioni strumentali.”
    La Stampa in data 3 maggio 2021 titolava così un’intervista al Presidente del Parlamento europeo: ‘Sassoli: “Putin cerca nemici ma i russi meritano rispetto, la Ue risponderà con forza”.’ E continua: Sassoli si richiama a Tocqueville per spiegare cosa sta succedendo alla Russia di Putin che lo ha eletto nemico pubblico, sancendo il divieto a entrare nel Paese per lui e altri sette: «I regimi autoritari vogliono un rivale esterno per placare il disagio sociale».
    Ora è possibile che il presidente dell’Europarlamento non abbia a disposizione tutti i dossier di cui dispone Ladetto. Diversamente non si spiega come mai il compianto Presidente che Giorgio Merlo, sullo stesso numero di Rinascita popolare, così tratteggia: “un leader sobrio, garbato, educato e per bene. Non era aggressivo. Caratterialmente. Non comandava ma convinceva. Con il dialogo, con il confronto, con sua personale persuasione, con la cultura e soprattutto con lo stile.” , non si spiega – dicevo – come mai abbia assunto una posizione così determinata.

  4. Il bello di questo sito che utilizza funzioni moderne alla whatsapp è che nelle risposte si può scrivere un po’ meno raffinati di quando si scrive per un articolo e soprattutto la risposta è a titolo personale. Beh, tirare in ballo una persona appena defunta a mio avviso non è mai una bella cosa. Secondo, la Stampa negli ultimi mesi è diventata la Pravda del mainstream e del politicamente corretto con tutto quel che ne segue. Poi caro Daniele, mai sentito la parola propaganda? A parte che dal 3 maggio 2021 ad oggi molta acqua è passata sotto ai ponti.

  5. Ringrazio tutti gli autori dei commenti, sempre utili contributi per alimentare il dibattito e fare chiarezza, e cerco di rispondere ai rilievi critici.
    1) Animus pugnandi (ovvero il coraggio di combattere) non indica un atteggiamento bellicista, ma un forte sentimento che impegna i cittadini a fare il proprio dovere (anche prendendo le armi) a sostegno della sicurezza e degli interessi vitali del proprio paese. E’ un requisito necessario anche per impostare una efficace collaborazione con altri soggetti perché il confronto non diventi un cedimento ad interessi altrui. Il suo contrario non è la propensione a seguire percorsi di pace, ma è piuttosto l’anteporre gli affari, il tornaconto personale e il disimpegno, ai doveri verso la propria nazione, e domani l’Europa.
    2) Si riscontra in giro una diffusa antipatia verso la Francia che non ritengo giustificata. In ogni caso, sarebbe illogico e controproducente per l’Italia non cogliere, per semplici questioni di ripicche con i cugini francesi, l’occasione (offerta dal trattato recentemente sottoscritto da Mattarella e Macron) di entrare a far parte di quel pool egemone in Europa.
    3) Per farmi un’opinione su chi alimenti il clima di tensione internazionale, certo non dispongo di dossier, semplicemente mi rifaccio ad articoli o pubblicazioni di studiosi di relazioni internazionali le cui analisi sono, di massima, più oggettive di quelle di personalità politiche, ancorché stimabili, che tuttavia devono necessariamente sostenere le posizioni dello schieramento internazionale a cui fanno riferimento. Ne cito alcuni. Dario Fabbri ha più volte spiegato le motivazioni che fanno degli Stati Uniti una potenza imperiale che necessita di esportare la violenza che coltiva in sé. Le stesse cose aveva già detto tempo fa il generale Fabio Mini in “La guerra dopo la guerra”, in cui mostra le tragiche conseguenze delle irresponsabili guerre per esportare la democrazia. Su La Stampa dell’11.1.2022, Nina Khrushcheva (nipote di Khrushev e docente di relazioni internazionali alla New School University di New York), intervistata sulla situazione delle relazioni tra Usa e Russia, alla domanda se negli Stati uniti, dove vive e lavora, ci sia un rischio per la democrazia, ha risposto: “Credo di sì, ma non è un rischio che nasce il 6 gennaio 2021, un rischio in questo senso c’era già stato quando Dick Cheney ha inaugurato la stagione dell’esportazione della democrazia. Gli Usa sono a rischio dal 1991 da quando è crollata l’Unione sovietica; da allora si sono sentiti onnipotenti, diventando irresponsabili; Donald Trump è solo l’ultima manifestazione di una patologia più radicata”.

  6. Tra i molti spunti di dibattito che offre il pregevole articolo di Ladetto, ne sottolineo due. L’Europa non solo ha assecondato i progetti più destabilizzanti del deep state americano nei confronti della Russia ma ci ha messo del suo, anche Polonia e Paesi Baltici hanno le loro responsabilità nella crisi ucraina. E la Germania, che dopo la non indimenticabile stagione dell’immobilismo della signora Kasner in Merkel, è ora retta da una coalizione che costituisce un pericoloso incrocio fra tre diversi fondamentalismi (quello climatico, quello monetario-ordoliberista e quello terapeutico-pandemista), ha sempre agito col suo consueto doppio standard: mentre imponeva agli altri Paesi europei la linea dura contro Mosca (ricordiamoci che in origine vi erano due progetti di gasdotti, c’era anche il South Stream che avrebbe enormemente beneficiato l’Italia) trattava sottobanco con la Russia per il North Stream. La stessa Germania che impone il fondamentalismo green agli altri, in prospettiva riducendoli allo stato pre-industriale (perché con le sole rinnovabili bisogna scordarsi gli attuali livelli di sviluppo) mentre fa largamente uso del carbone per il proprio fabbisogno energetico.
    Bruxelles, inoltre, in nome del dogma della concorrenza, ha incredibilmente rifiutato le offerte russe di forniture di gas, a lungo termine, pluridecennali a prezzi calmierati, come si fa tra Paesi che vogliono mantenere rapporti di buon vicinato ed ha invece scelto la strada, che si sta rivelando autolesionista, di affidarsi ai prezzi di volta in volta stabiliti dal mercato, col risultato addirittura di vedersi sottrarre partite di gas russo acquistato in Europa e rivenduto al miglior offerente non necessariamente europeo.
    Riguardo alla Francia basta pensare alle sue malefatte in Libia dell’ultimo decennio che si configurano sotto più di un profilo come una guerra diretta, nel senso letterale del termine, agli interessi e alla sicurezza nazionale italiana. E si potrebbe continuare…
    Questo per dire che non appare convincente la via indicata da Laddetto di un motore franco-tedesco nel costruire l’Europa anche come potenza militare. Non solo perché la guida apparterrebbe a un Paese, la Germania, che è strutturalmente incapace di fare sintesi fra interessi contrastanti, ma anche per almeno un paio di altri motivi.
    Primo perché il cemento dell’intesa franco-tedesca è l’ostilità all’Italia, la loro comune volontà di spartirsi il Bel Paese. Non dobbiamo mai dimenticare che la nostra unità nazionale è derivata dal Regno Unito proprio in funzione del contenimento di una possibile riedizione dell’Europa carolingia, e confermata dagli Stati Uniti grazie al trattato di Cassibile per evitare il ripetersi dell’Europa di Vichy.
    Solo la potenza militare americana, e la volontà degli Stati Uniti di “tenersi” l’Italia, è la suprema garanzia del permanere della nostra unità nazionale. Se viene meno questa, l’Italia torna terra di conquista dei nostri nemici storici.
    In secondo luogo, posto che lo si volesse, non ci sarebbe peggior momento che questo per affidare alla Germania un ruolo guida. I prossimi mesi e anni ci diranno come e se la Germania reggerà alle sfide dell’iperinflazione e della stagflazione che sono i piedi d’argilla della sua potenza economica. A forza di politiche di competizione sleale con le altre potenze economiche europee, a forza di bassi salari, di distruzione della domanda interna, di perdita di competitività causata da strutturale inadeguatezza di investimenti in ossequio alle politiche ordoliberiste dello schwarze Null, del pareggio di bilancio, la Germania appare esposta a un rischio di collasso sistemico al quale per forza di cose sarà tentata di reagire imponendo il proprio interesse nazionale anche a costo di minare alcune costruzioni comuni dell’Europa, come la moneta.
    Dunque, come si può pensare di fare affidamento su un Paese dalle prospettive socio-economico così incerte e precarie come la Germania per le future tappe del percorso di integrazione europea, e tantomeno di affidarle nei fatti il dominio su una forza militare europea, che storicamente non merita, che certamente userebbe per obiettivi diversi dagli interessi nazionali italiani, e che costituirebbe una costante minaccia per la pace nel mondo?
    Ma forse sono questioni che il naturale epilogo delle varie crisi concomitanti in atto, ci toglierà di mezzo in un modo o nell’altro nel prossimo futuro, creando le basi, pur ad un prezzo che potrebbe essere altissimo, se non vi sarà una iniziativa politica all’altezza della situazione, di una nuova ripartenza, della rinascita di un nuovo umanesimo capace di raccogliere l’eredità e la lezione della Seconda Guerra Mondiale, che attualmente paiono misconosciute nei loro punti fondamentali.

  7. Ogni cammino impegnativo non può essere affrontato in solitudine. Bisogna trovare dei compagni che condividano la meta. Se cerco in giro quanti siano contemporaneamente contro l’asserito fondamentalismo climatico (i negazionisti del fenomeno, perché non lo si combatte senza abbandonare le fonti energetiche fossili), contro quello terapeutico-pandemista (i no-vax espliciti o meno), essendo anche euro-scettici (perché lo sono coloro che pensano possibile una qualche Europa unita senza o contro Francia e Germania), trovo solo Trump e dintorni: in casa nostra, Meloni, Paragone, Borghi con una pattuglia di leghisti, qualche grillino e alcuni “intellettuali” in cerca di visibilità. Buon viaggio e tanti auguri a chi vuole intraprendere un tale percorso.

    • Caro Ladetto, ragionare intorno a un modello di società che non sia la fotocopia di quello distopico e anti-umano progettato dall’élite globalista di Davos, bensì improntato ai principi e ai valori costituzionali e a quelli dell’Insegnamento sociale della Chiesa, penso non significhi affatto stare in compagnia dei populisti, nostrani o stranieri che siano. Al contrario! Quelli non hanno risposte, sono solo capaci di vivere di rendita con i problemi che agitano.
      Credo che dobbiamo rimettere nei nostri discorsi il sale dell’anelito all’avanzamento della democrazia, nel senso che auspicava Aldo Moro, anziché appiattirci su un disegno che dei diritti e della libertà dimostra sempre più di voler fare a meno. Richiami tre questioni enormi, ambiente, uso politico dei problemi sanitari ed Europa: non si deve aver paura di un dibattito che prenda in considerazione tutti i lati dei problemi anche quelli che sono banditi dai media, per ordine di chi li controlla.
      Nel merito ribadisco solo quella che è una constatazione pur sofferta e spiacevole: finché la Germania rimarrà unità nessun solido avanzamento dell’integrazione europea sarà più possibile, anzi le sue rigide politiche economiche e la sua scellerata alleanza, nei fatti, con la Cina in funzione anti-americana, se non fermate, creano i presupposti per una implosione caotica e cruenta dell’Europa. E non sarebbe la prima volta nella storia che la Germania rovina l’Europa. Solo una adeguata iniziativa politica può evitare che gli avvenimenti prendano una tale piega. Nascondere la testa nella sabbia per non vedere l’insostenibilità del progetto globalista può solo aumentare i rischi di un epilogo infausto delle crisi in atto.

  8. Caro Giuseppe Davicino, per non tediare troppo i lettori con le nostre diatribe su Rinascita popolare, penso che sarebbe bene che, un giorno o l’altro, ci trovassimo a tu per tu (se non in carne ed ossa, almeno on line) per confrontarci, e reciprocamente chiarirci le idee. Ora, mi limito ad una osservazione, spero l’ultima sul tema dell’articolo. A me pare che quella élite globalista, di cui sono espressione i protagonisti di Davos (che giustamente intendi combattere), abbia, malgrado il riferimento alla globalizzazione, mente, corpo, braccio economico-finanziario e braccio armato negli Stati Uniti, piuttosto che in Germania, Francia, Cina, Russia od altrove.

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