La Storia, si dice, insegna e si ripete. Forse è vero che si ripete, ma spesso si ripete perché non insegna abbastanza o almeno non tutti sanno coglierne gli insegnamenti.
Leggo con interesse il nobile appello di alcuni accademici e premi Nobel ai governi mondiali, ripresa da Rovelli sulla stampa, per una riduzione delle spese militari a favore di un fondo globale da gestire dall’ONU per la riduzione dell’inquinamento ambientale.
Premetto che dopo una vita spesa nelle Forze Armate (e forse proprio per questo) sono tutt’altro che un guerrafondaio e devo ammettere che la proposta è accattivante.
Chi, infatti, non pensa che in un mondo globalizzato le spese per gli armamenti, oggi in vertiginoso incremento, non siano uno spreco e un esercizio ormai condannato dalla storia? E se poi questi fondi (2% per ciascun Paese è una bella cifra) fossero destinati al risanamento ambientale sarebbe magnifico.
Ma vorrei partire proprio dal risanamento ambientale e dalle giuste rivendicazioni degli ambientalisti e dei seguaci della coriacea, ispirata e determinata Greta. Chi ha annacquato (BLA, BLA, BLA!) più o meno apertamente il recente summit sull’ambiente, sono stati soprattutto i Paesi cosiddetti BRICS e gli USA, guarda caso quelli che più di ogni altro hanno incrementato le spese militari nell’ultimo decennio.
E veniamo alla storia. In passato nessun trattato per la riduzione delle spese militari ha evitato la guerra, anzi ha fatto il gioco di chi la guerra la voleva, vedasi i nazisti che erano i primi sostenitori delle conferenze per le riduzioni degli armamenti soprattutto verso le Marine, chissà perché…
Se gli inquietanti scenari che ci propone Federico Rampini nei suoi libri (La mano invisibile, Fermate la Cina, ecc.) sono in tutto o in parte veri e se si applica il sempre valido concetto del cui prodest, è abbastanza evidente la fonte ispiratrice di questa proposta. Se poi si tiene conto che nel Consiglio di Sicurezza ONU sono dominanti Russia e Cina e che quest’ultima controlla almeno il 50% delle Agenzie e Commissioni delle Nazioni Unite (sempre a detta di Rampini) il dubbio è d’obbligo.
Appelli come questo sono certamente accolti con favore dalle Nazioni democratiche (“quasi” tutte le Nazioni Europee e una gran parte della popolazione del Nord America) e trovano un appoggio strumentale da parte delle Nazioni o degli Stati/Partito meno democratici, abili nella propaganda e altrettanto abili nel nascondere al mondo gli affari di casa loro.
Quanto alle spese militari, ritengo che l’Europa (i paesi UE, per intenderci) nel suo complesso spenda troppo e male. La spesa militare complessiva UE è ampiamente superiore a quella USA ma con risultati decisamente più modesti. L’unico Paese europeo che spende efficacemente per la Difesa è la Gran Bretagna… ma purtroppo è Brexit!
Se oggi riunissimo tutte le Forze Armate UE sotto un’unica direzione politico/militare, avremmo l’amara sorpresa di scoprire enormi duplicazioni e gravi carenze capacitive e strategiche (tanto con, che senza Brexit). Abbiamo una semplice infinità di battaglioni di fanteria, di aerei più o meno da combattimento, di naviglio minore, ma siamo gravemente carenti in termini di assetti strategici e ne cito solo alcuni.
Droni e sistemi intelligence (sorveglianza), aerei da trasporto wide body (mobilità e flessibilità operativa), CYBER DEFENCE e soprattutto CYBER WARFARE (le guerre future), artiglierie, portaerei, sottomarini nucleari, forze anfibie, aerei da combattimento di 5a e 6a generazione (tutti assetti che fanno parte della vecchia e dimenticata DETERRENZA, pilastro fondamentale della “dissuasione” verso i prepotenti), logistica comune (non just-in-time ma reale per una indispensabile resilienza alle emergenze, come ci ha dimostrato l’attuale pandemia) e infine capacità di comando (abbiamo sovrabbondanza di comandi grandi e piccoli interforze, europei e NATO, ma non una chiara e netta linea di comando né, in molti casi, la prova della capacità di esercitarlo realmente quel comando).
E che dire delle Guardie Costiere europee totalmente disomogenee e scoordinate da un Paese all’altro, anche in termini di struttura e di catena di dipendenza (in una Nazione UE la Guardia Costiera è a gestione privata), ma nel complesso dotata di un incredibilmente numeroso coacervo di mezzi navali e aerei grandi e piccoli, che superano nel totale le Guardie Costiere del mondo.
È vero che gli accordi SALT hanno portato alla riduzione degli arsenali nucleari delle due Superpotenze, ma non toccano le altre più o meno “super” potenze dotate del nucleare. Sono accordi nati dall’evidente sovrabbondanza di ordigni nucleari da ambo le parti, non certo per buonismo, ma per precisi calcoli economici. E non dimentichiamo, infine, che la tanto temuta deterrenza nucleare ci ha regalato oltre 50 anni di relativa pace e benessere (è cinico dirlo lo so, ma è l’evidenza storica).
Quanto alle nostre spese militari, l’Italia è abbondantemente al di sotto il livello del 2% del PIL richiesto dalla NATO e soprattutto spendiamo oltre il 75% per nuovi investimenti (assegno in bianco o quasi all’industria) e meno del 25% per tenere in efficienza e aggiornate le capacità esistenti ovvero logistica, manutenzioni, addestramento e benessere (ovvero coesione motivazione e morale del personale, altro elemento fondamentale per dare credibilità e quindi deterrenza allo strumento militare).
Infatti, il nostro rapporto PSS (Per Soldier Spending) che rappresenta oggettivamente l’interesse della Nazione per l’efficienza delle sue Forze Armate è tra i più bassi d’Europa (non è così per gli investimenti verso l’industria della difesa che vede il rapporto PSI, ovvero Per Soldier Investing, a un livello decisamente più accettabile).
Un miglior equilibrio sarebbe opportuno soprattutto in questi tempi di grande incertezza delle relazioni internazionali, avviate verso sviluppi affatto diversi dalla direzione auspicata dagli estensori della proposta, che, ripeto, rispetto sotto il profilo idealistico.
* L’Autore è un Ammiraglio, già Capo di Stato maggiore della Marina e Capo di Stato maggiore della Difesa.
(Tratto da www.politicainsieme.com)
Leggo con interesse il nobile appello di alcuni accademici e premi Nobel ai governi mondiali, ripresa da Rovelli sulla stampa, per una riduzione delle spese militari a favore di un fondo globale da gestire dall’ONU per la riduzione dell’inquinamento ambientale.
Premetto che dopo una vita spesa nelle Forze Armate (e forse proprio per questo) sono tutt’altro che un guerrafondaio e devo ammettere che la proposta è accattivante.
Chi, infatti, non pensa che in un mondo globalizzato le spese per gli armamenti, oggi in vertiginoso incremento, non siano uno spreco e un esercizio ormai condannato dalla storia? E se poi questi fondi (2% per ciascun Paese è una bella cifra) fossero destinati al risanamento ambientale sarebbe magnifico.
Ma vorrei partire proprio dal risanamento ambientale e dalle giuste rivendicazioni degli ambientalisti e dei seguaci della coriacea, ispirata e determinata Greta. Chi ha annacquato (BLA, BLA, BLA!) più o meno apertamente il recente summit sull’ambiente, sono stati soprattutto i Paesi cosiddetti BRICS e gli USA, guarda caso quelli che più di ogni altro hanno incrementato le spese militari nell’ultimo decennio.
E veniamo alla storia. In passato nessun trattato per la riduzione delle spese militari ha evitato la guerra, anzi ha fatto il gioco di chi la guerra la voleva, vedasi i nazisti che erano i primi sostenitori delle conferenze per le riduzioni degli armamenti soprattutto verso le Marine, chissà perché…
Se gli inquietanti scenari che ci propone Federico Rampini nei suoi libri (La mano invisibile, Fermate la Cina, ecc.) sono in tutto o in parte veri e se si applica il sempre valido concetto del cui prodest, è abbastanza evidente la fonte ispiratrice di questa proposta. Se poi si tiene conto che nel Consiglio di Sicurezza ONU sono dominanti Russia e Cina e che quest’ultima controlla almeno il 50% delle Agenzie e Commissioni delle Nazioni Unite (sempre a detta di Rampini) il dubbio è d’obbligo.
Appelli come questo sono certamente accolti con favore dalle Nazioni democratiche (“quasi” tutte le Nazioni Europee e una gran parte della popolazione del Nord America) e trovano un appoggio strumentale da parte delle Nazioni o degli Stati/Partito meno democratici, abili nella propaganda e altrettanto abili nel nascondere al mondo gli affari di casa loro.
Quanto alle spese militari, ritengo che l’Europa (i paesi UE, per intenderci) nel suo complesso spenda troppo e male. La spesa militare complessiva UE è ampiamente superiore a quella USA ma con risultati decisamente più modesti. L’unico Paese europeo che spende efficacemente per la Difesa è la Gran Bretagna… ma purtroppo è Brexit!
Se oggi riunissimo tutte le Forze Armate UE sotto un’unica direzione politico/militare, avremmo l’amara sorpresa di scoprire enormi duplicazioni e gravi carenze capacitive e strategiche (tanto con, che senza Brexit). Abbiamo una semplice infinità di battaglioni di fanteria, di aerei più o meno da combattimento, di naviglio minore, ma siamo gravemente carenti in termini di assetti strategici e ne cito solo alcuni.
Droni e sistemi intelligence (sorveglianza), aerei da trasporto wide body (mobilità e flessibilità operativa), CYBER DEFENCE e soprattutto CYBER WARFARE (le guerre future), artiglierie, portaerei, sottomarini nucleari, forze anfibie, aerei da combattimento di 5a e 6a generazione (tutti assetti che fanno parte della vecchia e dimenticata DETERRENZA, pilastro fondamentale della “dissuasione” verso i prepotenti), logistica comune (non just-in-time ma reale per una indispensabile resilienza alle emergenze, come ci ha dimostrato l’attuale pandemia) e infine capacità di comando (abbiamo sovrabbondanza di comandi grandi e piccoli interforze, europei e NATO, ma non una chiara e netta linea di comando né, in molti casi, la prova della capacità di esercitarlo realmente quel comando).
E che dire delle Guardie Costiere europee totalmente disomogenee e scoordinate da un Paese all’altro, anche in termini di struttura e di catena di dipendenza (in una Nazione UE la Guardia Costiera è a gestione privata), ma nel complesso dotata di un incredibilmente numeroso coacervo di mezzi navali e aerei grandi e piccoli, che superano nel totale le Guardie Costiere del mondo.
È vero che gli accordi SALT hanno portato alla riduzione degli arsenali nucleari delle due Superpotenze, ma non toccano le altre più o meno “super” potenze dotate del nucleare. Sono accordi nati dall’evidente sovrabbondanza di ordigni nucleari da ambo le parti, non certo per buonismo, ma per precisi calcoli economici. E non dimentichiamo, infine, che la tanto temuta deterrenza nucleare ci ha regalato oltre 50 anni di relativa pace e benessere (è cinico dirlo lo so, ma è l’evidenza storica).
Quanto alle nostre spese militari, l’Italia è abbondantemente al di sotto il livello del 2% del PIL richiesto dalla NATO e soprattutto spendiamo oltre il 75% per nuovi investimenti (assegno in bianco o quasi all’industria) e meno del 25% per tenere in efficienza e aggiornate le capacità esistenti ovvero logistica, manutenzioni, addestramento e benessere (ovvero coesione motivazione e morale del personale, altro elemento fondamentale per dare credibilità e quindi deterrenza allo strumento militare).
Infatti, il nostro rapporto PSS (Per Soldier Spending) che rappresenta oggettivamente l’interesse della Nazione per l’efficienza delle sue Forze Armate è tra i più bassi d’Europa (non è così per gli investimenti verso l’industria della difesa che vede il rapporto PSI, ovvero Per Soldier Investing, a un livello decisamente più accettabile).
Un miglior equilibrio sarebbe opportuno soprattutto in questi tempi di grande incertezza delle relazioni internazionali, avviate verso sviluppi affatto diversi dalla direzione auspicata dagli estensori della proposta, che, ripeto, rispetto sotto il profilo idealistico.
* L’Autore è un Ammiraglio, già Capo di Stato maggiore della Marina e Capo di Stato maggiore della Difesa.
(Tratto da www.politicainsieme.com)
Ritengo questa analisi lucida e molto probabilmente anche del tutto veritiera. Mi domando se in Italia è possibile attirare in modo efficace l’attenzione della politica su queste analisi prima di andare in pensione senza incorrere nelle conseguenze tipiche di coloro che sostengono tesi politically not correct. Non so rispondere, ma se qualcuno sa farlo senza tesi preconcette gliene sarei grato.
Che le spese siano ripartite malamente è un fatto, ma che si debbano aumentare è un altro! Cominciamo a ritirare i nostri soldati da tante parti del mondo. Tanto i risultati sono risibili! Le risorse risparmiate potrebbero essere impiegate nei settori suggeriti dall’Ammiraglio.
L’ammiraglio Binelli Mantelli ci dice che, allo stato attuale, le forze armate dei paesi dell’Unione (singolarmente e complessivamente) non sono in grado di essere operative in autonomia agendo al di fuori della Nato.
Non è un caso, e il fatto non è dovuto a inefficienza dei ministeri della difesa dei predetti Paesi. In qualche posto (al di là dell’Atlantico), si vuole che le cose vadano così. Nessuno infatti dubita che, con minore spesa, sarebbe possibile creare una forza militare europea efficiente, in grado di garantire una capacità autonoma di difesa, indispensabile per dare alla UE una dimensione politica internazionale che ne rifletta le potenzialità. Per questo, appunto, c’è chi non ne vuole sentire parlare, a cominciare dal segretario generale della Nato, che si fa portavoce non certo degli interessi dell’Unione.
Quando si afferma che la deterrenza ha garantito un periodo di pace, andrebbe anche ricordato il tenente colonnello Stanislav Petrov, che il 26 settembre 1983 (prendendo decisioni al limite delle sue prerogative) evitò il più che probabile scoppio di un conflitto nucleare: anche questa è evidenza storica. L’intervento dell’ammiraglio Binelli Mantelli porta a concludere che si tratta di spendere meglio ma non certo di meno. Ma non deve preoccuparsi: non è affatto vero che certi appelli “sono accolti con favore dalle Nazioni democratiche”. Quale politico ne ha parlato?