Sarà di certo l'estate del ritiro occidentale dall'Afghanistan o delle manifestazioni no-vax e no-pass in molte piazze europee, ma a ben vedere è anche l'estate dello sport italiano. Mai come quest'anno tanto sugli scudi.
Dallo sport stiamo infatti ricevendo gioie ed emozioni a non finire, come confermano le Paralimpiadi di Tokyo consegnandoci un'Italia vincente. Un bottino enorme con 69 medaglie complessive suddivise tra 14 ori, 29 argenti e 26 bronzi. Medaglie che provengono dalle più svariate discipline con in testa il nuoto dove abbiamo fatto davvero la parte del leone. Poi c'è l'atletica, con quei 100 metri che, almeno adesso, sembrano esser diventati il nostro più formidabile marchio di fabbrica. Dalla pista proviene l'impresa - più unica che rara - di veder salire sul podio tre nostre atlete Ambra Sabatini, Martina Caironi e Monica Contrafatto. A loro dobbiamo dire grazie, così come a Bebe Vio o a Giulia Terzi, tanto per citare solo alcuni dei protagonisti della grande avventura giapponese.
Siamo di fronte ad una festa sportiva che fa bene a tutto il Paese che sta ritrovando, dopo il buio del Covid, una sua normalità. Intendiamoci, per quanto bello lo sport resta pur sempre soltanto un gioco e come tale va considerato, nelle sue giuste proporzioni, senza farlo debordare oltre rispetto alle complicate questioni del nostro tempo. Se però è evidente che le vittorie sportive non hanno effetti taumaturgici sui problemi nazionali è altrettanto vero che questi atleti, per come hanno saputo superare la propria disabilità, forniscono, anche senza volerlo, un modello di condotta per tutti noi. Non è retorica: è la pura realtà e bisogna riconoscerlo.
Dietro a questi straordinari risultati vi è impegno, fatica, determinazione. Vi è la volontà di lanciarsi oltre quegli ostacoli che la vita ha messo davanti: obiettivi da raggiungere per se stessi ma che finiscono per riverberarsi, come esempio, sull'intera collettività nazionale.
Riesce persin troppo facile confrontare la grandiosità dell'impegno di questi atleti, capaci di andare oltre i propri limiti, con la piccineria dei no-vax e dei no-pass, incapaci di uscire dal loro ristretto orizzonte personale. Anche a costo, e qui in fondo sta il vero limite - quasi una nemesi - di tutti gli egoismi, di non riuscire neanche più a discernere il proprio reale interesse, in questo caso la tutela della propria salute, cadendo nel più grossolano autolesionismo. A tutti è infatti chiaro come il virus colpisca, soprattutto, chi è privo di adeguate protezioni sanitarie.
Ma dimentichiamo le proteste insensate per tornare a parlare dei protagonisti di questi giochi che ci hanno tenuti incollati al teleschermo per due settimane. Al di là dell'esito finale delle gare, dove si vince come si può perdere, dalle Paralimpiadi scaturisce un messaggio di inclusività che deve essere la vera cifra della nostra convivenza civile. Non si può pensare alle persone diversamente abili solo quando compiono imprese eclatanti come quelle sportive, ma occorre allargare questa prospettiva alla nostra normale quotidianità.
Bisogna andare oltre la vetrina del grande evento mediatico. Occorre sostenere con servizi e supporti adeguati le famiglie che hanno dei figli disabili, a cominciare dalla scuola e della pratica sportiva. Ancora più in generale si tratta di progettare luoghi di lavoro ed abitativi veramente a misura di tutti, dalle strutture ai percorsi pedonali, dagli ascensori agli accessi ai locali pubblici o agli edifici privati. Troppi gradini ostacolano ancora la vita dei nostri connazionali con disabilità, rendendo loro inaccessibili molti spazi. E' tempo di investire maggiori risorse in questa direzione per rendere il Paese sempre più vivibile per tutti.
Il nostro futuro è un'Italia inclusiva e solidale dove le persone diversamente abili possano partecipare appieno alla crescita economica, sociale e civile. Questa la vera sfida che a partire dallo sport deve allargarsi alla nostra intera società.
Dallo sport stiamo infatti ricevendo gioie ed emozioni a non finire, come confermano le Paralimpiadi di Tokyo consegnandoci un'Italia vincente. Un bottino enorme con 69 medaglie complessive suddivise tra 14 ori, 29 argenti e 26 bronzi. Medaglie che provengono dalle più svariate discipline con in testa il nuoto dove abbiamo fatto davvero la parte del leone. Poi c'è l'atletica, con quei 100 metri che, almeno adesso, sembrano esser diventati il nostro più formidabile marchio di fabbrica. Dalla pista proviene l'impresa - più unica che rara - di veder salire sul podio tre nostre atlete Ambra Sabatini, Martina Caironi e Monica Contrafatto. A loro dobbiamo dire grazie, così come a Bebe Vio o a Giulia Terzi, tanto per citare solo alcuni dei protagonisti della grande avventura giapponese.
Siamo di fronte ad una festa sportiva che fa bene a tutto il Paese che sta ritrovando, dopo il buio del Covid, una sua normalità. Intendiamoci, per quanto bello lo sport resta pur sempre soltanto un gioco e come tale va considerato, nelle sue giuste proporzioni, senza farlo debordare oltre rispetto alle complicate questioni del nostro tempo. Se però è evidente che le vittorie sportive non hanno effetti taumaturgici sui problemi nazionali è altrettanto vero che questi atleti, per come hanno saputo superare la propria disabilità, forniscono, anche senza volerlo, un modello di condotta per tutti noi. Non è retorica: è la pura realtà e bisogna riconoscerlo.
Dietro a questi straordinari risultati vi è impegno, fatica, determinazione. Vi è la volontà di lanciarsi oltre quegli ostacoli che la vita ha messo davanti: obiettivi da raggiungere per se stessi ma che finiscono per riverberarsi, come esempio, sull'intera collettività nazionale.
Riesce persin troppo facile confrontare la grandiosità dell'impegno di questi atleti, capaci di andare oltre i propri limiti, con la piccineria dei no-vax e dei no-pass, incapaci di uscire dal loro ristretto orizzonte personale. Anche a costo, e qui in fondo sta il vero limite - quasi una nemesi - di tutti gli egoismi, di non riuscire neanche più a discernere il proprio reale interesse, in questo caso la tutela della propria salute, cadendo nel più grossolano autolesionismo. A tutti è infatti chiaro come il virus colpisca, soprattutto, chi è privo di adeguate protezioni sanitarie.
Ma dimentichiamo le proteste insensate per tornare a parlare dei protagonisti di questi giochi che ci hanno tenuti incollati al teleschermo per due settimane. Al di là dell'esito finale delle gare, dove si vince come si può perdere, dalle Paralimpiadi scaturisce un messaggio di inclusività che deve essere la vera cifra della nostra convivenza civile. Non si può pensare alle persone diversamente abili solo quando compiono imprese eclatanti come quelle sportive, ma occorre allargare questa prospettiva alla nostra normale quotidianità.
Bisogna andare oltre la vetrina del grande evento mediatico. Occorre sostenere con servizi e supporti adeguati le famiglie che hanno dei figli disabili, a cominciare dalla scuola e della pratica sportiva. Ancora più in generale si tratta di progettare luoghi di lavoro ed abitativi veramente a misura di tutti, dalle strutture ai percorsi pedonali, dagli ascensori agli accessi ai locali pubblici o agli edifici privati. Troppi gradini ostacolano ancora la vita dei nostri connazionali con disabilità, rendendo loro inaccessibili molti spazi. E' tempo di investire maggiori risorse in questa direzione per rendere il Paese sempre più vivibile per tutti.
Il nostro futuro è un'Italia inclusiva e solidale dove le persone diversamente abili possano partecipare appieno alla crescita economica, sociale e civile. Questa la vera sfida che a partire dallo sport deve allargarsi alla nostra intera società.
In questa gloriosa circostanza è doveroso ricordare il fondatore delle paralimpiadi.
Il neurochirurgo Ludwig Guttman, ebreo tedesco fuggito dalla Germania poco prima dell’inizio della seconda guerra mondiale, divenne direttore del centro lesioni spinali di Stoke Mandeville ed ebbe l’idea di utilizzare anche lo sport nella terapia di recupero dei malati.
Da questa idea nacque il progetto di giochi olimpici per disabili che vennero organizzati per la prima volta, solo in Inghilterra, nel 1948.
Nel 1952 ci fu la prima edizione a livello internazionale.
Le prime olimpiadi moderne si svolsero a Roma nel 1960 con 400 atleti in carrozzina alla presenza di 5000 spettatori.
In quella occasione l’Italia conquistò 24 ori, 30 argenti e 24 bronzi per un totale di 74 medaglie.
Una doverosa e riconoscente memoria per l’ideatore dei giochi paralimpici Dr. Ludwig Guttman.