Pubblichiamo il comunicato stampa che Giampiero Leo e Claudio Torrero, a nome del “Coordinamento Interconfessionale del Piemonte Noi siamo con voi”, e Paolo Candelari a nome del “Coordinamento A.G.ITE contro le armi atomiche, tutte le guerre e i terrorismi” hanno diffuso sulla crisi afgana.
Noi siamo con il popolo afghano e col senso autentico della libertà
Il precipitare della situazione in Afghanistan, in tempi più celeri di qualsiasi immaginazione, ci induce a essere più che mai a fianco del popolo afghano - un popolo che da più di quarant’anni è dentro al tunnel della guerra; e a rivolgere un triplice appello.
Il primo è al governo italiano e alle istituzioni internazionali. Affinché nessuno sforzo sia risparmiato per tutelare chi ha ragione di temere in quel che accade: sia esigendo un’attenzione straordinaria e costante delle Nazioni Unite e del Consiglio di Sicurezza a salvaguardia dei diritti umani, sia predisponendo corridoi umanitari e tutto ciò che può condurre in salvo chi è in pericolo.
Il secondo appello è ai talebani, che governeranno l’Afghanistan in virtù di una vittoria ottenuta con le armi e non con il libero consenso. Si sentano comunque responsabili dell’incolumità e della dignità delle donne e degli uomini dell’Afghanistan, ovvero appunto del rispetto dei diritti umani. Sappiano mantenere la promessa che hanno fatto, che non ci saranno cioè vendette; e un comportamento più mite di quanto non sia nelle aspettative possa contribuire a una loro diversa immagine presso l’opinione pubblica mondiale.
Il terzo appello è alla coscienza degli uomini e delle donne dell’Occidente. Affinché questo momento così avvilente sia fecondo di insegnamenti. In primo luogo è indubitabilmente chiaro che la democrazia non può e non deve essere esportata, e che una libertà imposta, non rispettosa dei percorsi di ciascuno, non è vera libertà. In secondo luogo è devastante, per quanto di continuo ricorrente nella storia, che nobili ideali siano usati per nascondere interessi ben precisi o la consueta politica di potenza; e quel che inesorabilmente ne deriva è il loro discredito. Bisogna allora veramente chiedersi se quegli ideali sono innanzitutto vivi qui da noi, nell’ambito della civiltà che ne è all’origine, al punto da poter dare la vita ed essere di esempio ad altri. Le ideologie totalitarie, religiose o laiche, hanno saputo smuovere i popoli, chiamandoli a grandi sacrifici; ne è in grado l’idea della libertà? Nella democrazia, al di là degli equilibri tra interessi e sistemi di potere, si può trovare un contenuto spirituale che la sorregga? Solo se la risposta sarà autenticamente affermativa, essa avrà un futuro.
Noi siamo con il popolo afghano e col senso autentico della libertà
Il precipitare della situazione in Afghanistan, in tempi più celeri di qualsiasi immaginazione, ci induce a essere più che mai a fianco del popolo afghano - un popolo che da più di quarant’anni è dentro al tunnel della guerra; e a rivolgere un triplice appello.
Il primo è al governo italiano e alle istituzioni internazionali. Affinché nessuno sforzo sia risparmiato per tutelare chi ha ragione di temere in quel che accade: sia esigendo un’attenzione straordinaria e costante delle Nazioni Unite e del Consiglio di Sicurezza a salvaguardia dei diritti umani, sia predisponendo corridoi umanitari e tutto ciò che può condurre in salvo chi è in pericolo.
Il secondo appello è ai talebani, che governeranno l’Afghanistan in virtù di una vittoria ottenuta con le armi e non con il libero consenso. Si sentano comunque responsabili dell’incolumità e della dignità delle donne e degli uomini dell’Afghanistan, ovvero appunto del rispetto dei diritti umani. Sappiano mantenere la promessa che hanno fatto, che non ci saranno cioè vendette; e un comportamento più mite di quanto non sia nelle aspettative possa contribuire a una loro diversa immagine presso l’opinione pubblica mondiale.
Il terzo appello è alla coscienza degli uomini e delle donne dell’Occidente. Affinché questo momento così avvilente sia fecondo di insegnamenti. In primo luogo è indubitabilmente chiaro che la democrazia non può e non deve essere esportata, e che una libertà imposta, non rispettosa dei percorsi di ciascuno, non è vera libertà. In secondo luogo è devastante, per quanto di continuo ricorrente nella storia, che nobili ideali siano usati per nascondere interessi ben precisi o la consueta politica di potenza; e quel che inesorabilmente ne deriva è il loro discredito. Bisogna allora veramente chiedersi se quegli ideali sono innanzitutto vivi qui da noi, nell’ambito della civiltà che ne è all’origine, al punto da poter dare la vita ed essere di esempio ad altri. Le ideologie totalitarie, religiose o laiche, hanno saputo smuovere i popoli, chiamandoli a grandi sacrifici; ne è in grado l’idea della libertà? Nella democrazia, al di là degli equilibri tra interessi e sistemi di potere, si può trovare un contenuto spirituale che la sorregga? Solo se la risposta sarà autenticamente affermativa, essa avrà un futuro.
tutti in occidente siamo allibiti da quanto accade in Afganistan. Ma non possiamo fare attività di supplenza per esportare ancora una volta la “nostra civiltà”. Questo popolo va aiutato solo se intende essere aiutato. Personalmente non avrei limiti ad accogliere minori (fino a 6 anni) solo di sesso femminile per sottrarli al loro infame destino e solo se identficati in modo da poter permettere loro un domani di ricercare i loro genitori naturali.
Il documento manifesta una posizione equilibrata e pienamente condivisibile. E’ qualche cosa di assolutamente introvabile nei vari commenti che quotidianamente ci vengono proposti dai media. Ho sentito dire da parte di illustri personalità cose che non stanno in piedi o che mostrano ignoranza se non volontà di disinformazione. Mi soffermo in particolare su un fatto.
La via crucis a cui sono state condannate le donne afgane non comincia nel 1996 con l’avvento al potere dei talebani (come viene comunemente detto), ma nel 1992 con la vittoria dei mujaeddin realizzata con il sostegno pieno degli americani, dei sauditi e dei pakistani. Dal 1978 al 1996 i governi del PDPA, partito di ispirazione marxista, avevano emancipato le donne parificandone la condizione a quella degli uomini in tutti gli ambiti. Certo, tali governi ebbero il sostegno dell’armata rossa, ma ricordo che, dopo il ritiro di questa, il governo di Najibullah, col suo esercito, resse ancora per 2 anni, a dimostrazione che aveva più seguito nel paese di quanto ne abbia mai avuto quello filo-occidentale di Ghani, che in questi giorni, con la partenza americana, si è dissolto, insieme all’esercito, come neve al sole.
Con l’avvento dei mujaeddin vennero rimossi tutti i diritti delle donne. La sharia divenne la legge fondamentale del paese. Si introdussero il velo e la segregazione delle scuole femminili; la più parte delle attività lavorative venne preclusa alle donne; l’adulterio da parte della donna venne punito con la lapidazione. Soprattutto, giovani donne venivano rapite, costrette a matrimoni forzati, fatte prostituire dai mujaeddin, mentre quelle sospette di essere state favorevoli all’emancipazione venivano violentate ed uccise. Su tutto ciò silenzio allora di quanti in Occidente li avevano sostenuti, e silenzio anche oggi come se la schiavizzazione delle donne fosse nata con i talebani.
Altro tema di cui molti parlano a vanvera è quello inerente al dialogo, o semplicemente al come rapportarsi con i talebani. Ho sentito il professor Gianfranco Pasquino dire che non può esserci confronto quando ci sono questioni come la sharia assolutamente inaccettabile per noi. Ma dimentica che la sharia è legge in Pakistan, Indonesia, Arabia Saudita, Oman, Yemen, Kuwait, Emirati ed altri paesi con i quali le nazioni occidentali hanno rapporti, talora molto stretti ed amichevoli.
Ed ancora viene detto che i talebani sono terroristi e pertanto non si può parlare con loro. Il terrorismo è uno strumento di cui molti hanno fatto e fanno uso: lo impiegavano i mujaeddin finanziati e armati dall’Occidente; ed altrettanto lo hanno impiegato quanti in Siria sono scesi in campo contro Assad nel tentativo di ripetere l’operazione condotta in Libia contro Gheddafi. Certo preoccupa quando il terrorismo è usato contro di noi, ma è ipocrita far finta di niente se viene usato contro veri o presunti nostri “nemici”.